Sentenza della Cassazione
Interdetti tecnici e manager che truccavano i test per non chiudere il traffico
Nazionalizzare l'intera rete autostradale
Lo scorso 26 febbraio la Cassazione si è espressa in modo definitivo sulla misura cautelare della sospensione dal servizio e dalla professione nei confronti di dieci tra manager, ingegneri e tecnici della società Spea spa di Torino, accusati di avere deliberatamente falsificato i test su una dozzina di viadotti della rete di Autostrade per l’Italia e già definiti “professionisti talmente inaffidabili da non poter svolgere neppure la libera professione”
dal Tribunale del riesame di Genova.
Nell'ambito di un filone di inchiesta scaturito a seguito del crollo del Ponte Morandi, già a dicembre il Tribunale del riesame del capoluogo ligure aveva accolto la richiesta della Procura della Repubblica per l’interdizione dal servizio e dalla professione per tutti gli indagati, compreso l’ex amministratore delegato della società, Antonino Galatà.
Così hanno dovuto subire la misura cautelare della sospensione dal servizio e della libera professione per un anno, oltre al ricordato Galatà, il responsabile tecnico dei progetti Massimiliano Giacobbi, il capo delle verifiche tecniche di transitabilità dei trasporti eccezionali Marco Vezil, il coordinatore della sicurezza e responsabile della vigilanza Serena Alemanni e gli ingegneri Giampaolo Nebbia, Carlo Boccone, Carlo Grazioso Alioto, Giorgio Melandri, Carlo Casini e Fabio Sanetti.
Le indagini dei magistrati genovesi avevano evidenziato, infatti, un meticoloso e soprattutto sistematico sistema di falsificazione dei test, e conseguentemente delle relazioni finali, relativi alla sicurezza di oltre dieci ponti autostradali in tutta l'Italia: tali manufatti erano stati sottoposti dal Ministero delle Infrastrutture all'esame della società Spea spa proprio in quanto vi erano timori di possibili crolli totali o parziali, ma i ponti venivano inspiegabilmente considerati in perfetto stato dai rapporti realizzati dalle dieci persone indagate, e lo scopo era chiaramente di non fare chiudere al traffico i tratti autostradali interessati.
Dopo il crollo del Ponte Morandi, quando nell’agosto 2018 erano morte 43 persone per il cedimento della struttura, la Procura genovese aveva messo sotto controllo, tra l'altro, il telefono dei dirigenti di Spea, scoprendo così che esistevano anche altre strutture che rischiavano di fare la stessa fine del viadotto del capoluogo ligure, tanto che nel luglio del 2019 aveva chiesto l’arresto di Galatà e di altri quattro tecnici e dirigenti di Spea spa, ritenendo che ci fosse addirittura il pericolo di reiterazione del reato, ovvero che si continuasse a falsificare i rapporti sullo stato dei ponti autostradali italiani, e tra i manufatti interessati dalle false certificazioni ce ne sono alcuni situati in tratti estremamente trafficati, come il Paolillo sulla A16 Napoli-Canosa, il Pecetti sulla A26, il Bisagno sulla A-12 e il Veilino sulla medesima tratta.
È ovvio che bisogna chiedersi a chi sia giovata soprattutto tale falsificazione da parte di una società, la Spea spa, che veniva comunque pagata da Autostrade per l'Italia per le prestazioni professionali e tecniche indipendentemente dal risultato die rapporti, ed è ovvio che il soggetto che ne ha tratto il maggiore giovamento è proprio Autostrade per l'Italia, che a seguito di un rapporto negativo sui ponti si sarebbe vista chiudere i tratti interessati, con forti perdite.
La privatizzazione della rete autostradale si è rivelata perciò una gigantesca truffa ai danni del Paese, una frode generalizzata che è costata la vita di 43 persone nella tragedia del Ponte Morandi e che avrebbe potuto costare la vita ad altri automobilisti in altri ponti della penisola se tale tragedia non avesse portato alla luce la condotta criminale di quei tecnici al soldo, direttamente o indirettamente, di Autostrade per l'Italia, perché è impossibile pensare che dieci professionisti si siano giocati la loro carriera prestigiosa senza pensare contemporaneamente che siano stati abbondantemente foraggiati, per mentire, da chi aveva giganteschi interessi.
L'intera rete autostradale italiana deve quindi essere nazionalizzata.
La privatizzazione della rete autostradale non ha portato vantaggi alla collettività per ciò che riguarda la mobilità, anzi ha portato al degrado della rete da parte di chi ritiene che è preferibile rischiare vite umane piuttosto che investire denaro per la salvaguardia di quelle stesse vite, per cui la nazionalizzazione dell'intera rete autostradale è l'unica risposta al fallimento sociale della privatizzazione, che traduce tutto in profitto a favore dei capitalisti e che rende irrilevante il valore della vita umana e quello della sicurezza delle persone che viaggiano.
18 marzo 2020