Una vergogna che coinvolge i governi lombardo di “centro-destra” e di Milano di “centro-sinistra”
Anziani morti nascosti al Trivulzio e in altre Rsa lombarde
Quasi 2 mila i decessi ufficiali; nel bergamasco morto un ospite su 5
“Al lavoro senza tutele Siamo stati noi medici e infermieri a diffondere il contagio”
Omicidio colposo ed epidemia colposa. Con queste accuse il 10 aprile è stato iscritto nel registro degli indagati Giuseppe Calicchio, direttore generale del Pio Albergo Trivulzio (Pat) di Milano.
È il primo indagato inserito nel fascicolo d'inchiesta aperto dai sostituti procuratori Mauro Clerici e Francesco De Tommasi, componenti del pool diretto dall'aggiunto Tiziana Siciliano, per provare a fare luce sui circa 150 decessi registrati alla Baggina dallo scoppio dell'epidemia di Covid.
Insieme a Calicchio la Procura ha deciso di iscrivere nel registro degli indagati anche l’Azienda servizi alla persona “Istituti milanesi Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio”, da cui lo storico istituto geriatrico milanese dipende, come ente giuridico responsabile, e le Rsa ad esse collegate: Principessa Jolanda e Frisia di Merate.
Al vaglio degli inquirenti ci sono anche le convenzioni con una dozzina di altre società e cooperative che lavorano all’interno del Pat per individuare eventuali altre responsabilità nella mancata applicazione dei protocolli di sicurezza e dei dispositivi di isolamento e di protezione individuale atte a prevenire il diffondersi del contagio.
Nel mirino degli inquirenti ci sono anche tre dirigenti dell'Istituto Palazzolo - Don Gnocchi di Milano. Si tratta del direttore generale Antonio Dennis Troisi, del direttore sanitario Federica Tartarone e del direttore dei servizi medici socio-sanitari Fabrizio Giunco. Oltre a loro, è indagato anche Papa Wall Ndiaye, presidente del consiglio d'amministrazione di Ampast, la cooperativa di cui fanno parte coloro che lavorano nella struttura. Le ipotesi di reato sono anche per loro di epidemia colposa e omicidio colposo. L'inchiesta è coordinata dal Pm Letizia Mocciaro.
Le varie inchieste, che interessano una dozzina di altre Rsa milanesi, fra cui figurano la Sacra Famiglia di Cesano Boscone, la Rsa Ferrari del quartiere milanese di Corvetto e la casa di riposo Borromea di Mediglia, sono partite in seguito alle denunce del personale medico e sanitario e dei familiari dei pazienti deceduti e coinvolgono non solo i vertici delle varie Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) ma chiamano direttamente in causa anche i governi lombardo di “centro-destra” e di Milano di “centro-sinistra” che addirittura hanno vergognosamente cercato di occultare la strage di quasi duemila anziani deceduti nelle varie Rsa lombarde dall’inizio dell’emergenza.
Basti pensare che fino al 6 aprile l’assessore regionale al Welfare Giulio Gallera ha più volte sostenuto che in tutto marzo erano appena 18 le persone positive e morte per Covid al Pat. Pur sapendo benissimo che i numeri di decessi dichiarati dai vertici del Pat erano di gran lunga inferiori ai dati reali e che nella prima settimana di aprile si è registrata una media di sette morti al giorno nei vari reparti del Trivulzio.
Mentre il governatore Attilio Fontana e il sindaco di Milano Giuseppe Sala, da cui dipende il Pat, nel tentativo di scrollarsi di dosso ogni responsabilità, hanno immediatamente nominato una commissione d’inchiesta sulle Rsa, presieduta da Mauro Agnello, già direttore dell’Agenzia dei controlli sul sistema socio-sanitario lombardo. Allo scaricabarile prende parte anche l'assessore Gallera, secondo cui sarà “una commissione di altissimo livello, autonoma e indipendente che vogliamo faccia una valutazione che si basi sui dati”; mentre la direzione del Pat ha comunicato che “per rispetto dei lavori delle commissioni” e alla luce del procedimento penale in corso “si asterrà dal fornire dichiarazioni, agli operatori dell’informazione”.
Intanto Confcooperative e Legacoop Lombardia hanno inviato una lettera al governatore Fontana per ricordargli: “Abbiamo più e più volte esposto la nostra preoccupazione per la carenza e le criticità nell’approvvigionamento di Dpi – si legge nella missiva –. Riteniamo che queste carenze abbiano condotto alle criticità più volte sottolineate e denunciate nella gestione dell’emergenza nel comparto sociosanitario rispetto alle strutture ospedaliere. Le polemiche e le inchieste di questi giorni sulle Rsa ci danno tristemente ragione”.
Ma non c’è solo Milano a piangere le vite spezzate dei tanti nonni ricoverati nelle Rsa. Molto drammatica appare anche la situazione di Bergamo nelle cui Rsa nel solo mese di marzo sono morte oltre 1.100 persone, il 21% del totale degli ospiti.
Lo denunciano Spi-Cgil, Fnp-Cisl, Uilp-Uil, sulla base dei dati forniti dalle associazioni che raggruppano le case di riposo sul territorio: “Purtroppo anche in questi giorni assistiamo ad un macabro ballo sull’esatta dimensione del fenomeno nelle Rsa della provincia di Bergamo”, sottolineano i sindacati. La situazione più tragica è alla Rsa di Nembro, il centro maggiormente colpito della val Seriana: lì, a marzo sono morte 32 persone, cioè il 36,8% degli ospiti contro i soli 3 decessi registrati invece a marzo 2019.
Almeno altri 89 decessi si registrano alla Fondazione Carisma di Bergamo, una delle strutture più ampie della provincia. Il macabro calcolo arriva dalla Cisl. Mentre la Fp-Cisl di Bergamo denuncia che tra le cause di questa strage ci sono proprio “i ritardi di chi è preposto nelle scelte da adottare. E poi dispositivi di protezione individuale che non arrivano, che forse secondo alcuni non servono, che non vanno usati perché intimidiscono gli ospiti”.
Ma la cosa che fa ancora più rabbia è che proprio nei giorni in cui decine di anziani, fragili e indifesi, venivano lasciati soli, morivano e si infettavano, tutta l’area tecnico-amministrativa era alle prese con la spartizione del premio di risultato di ben 580 mila euro suddiviso tra i responsabili della dirigenza medica e amministrativa.
La determina numero 75/2020 porta la firma della responsabile dell’area tecnico- amministrativa, Rossella Coladonato, e dispone che alla “dirigenza amministrativa e tecnica e titolari di posizione organizzativa” e a quella dell’area sanità viene corrisposto il premio di risultato per il 2019 e di una quota del 2018. Ovvero circa 397 mila euro per la dirigenza medica, 39,5 mila euro per quella non medica e 148 mila per quella tecnica e amministrativa. Per un ammontare medio di circa 7 mila euro a testa per gli 84 dirigenti della struttura.
Profitti realizzati sulla pelle dei ricoverati e degli ammalati di Covid-19 col favore della Regione Lombardia che l'8 marzo, in piena emergenza sanitaria, individuava proprio le residenze per anziani come strutture di supporto agli ospedali promettendo loro una sorta di indennizzo giornaliero (150 euro per ricoverato) e soprattutto un incremento futuro dei rimborsi, per le prestazioni offerte da questi «enti erogatori».
Una manna per il Trivulzio che, infatti, non solo si fa carico di una ventina di pazienti infetti ma diventa il centro di smistamento di malati alle Rsa regionali con l'obiettivo di aumentare la propria quota di mercato in campo sanitario. Tutto il resto, a cominciare dalla salute dei ricoverati e dalla messa in sicurezza delle strutture e degli operatori sanitari, è stato messo in secondo piano.
Ecco perché il contagio da coronavirus all’interno della struttura è stato negato per settimane, tanto da vietare perfino l’uso delle mascherine ai medici e al personale sanitario.
Nel più importante polo geriatrico italiano, raccontano diversi operatori socio-sanitari: “Abbiamo visto infermiere rimaste a casa con la febbre che sono state fatte rientrare a contatto gli anziani dopo pochi giorni di malattia. Colleghi malati e finiti in quarantena costretti a tornare in ospedale senza che nessuno gli facesse il tampone”. Per giorni, al Trivulzio, l’epidemia correva. “E a diffonderla, in molti reparti, eravamo proprio noi: medici che nessuno ha protetto”.
“Al Principessa Jolanda ho visto l’epidemia arrivare senza che nessuno di noi potesse fare nulla, senza che ci venisse dato modo di proteggere noi stessi. E chi curiamo - racconta un altro dottore - Al primo piano c’erano 18 pazienti. È qui che il virus ha colpito per primo, prima di passare al secondo piano. Tutti hanno avuto la febbre, sei se ne sono già andati, tutti con la stessa causa di morte: insufficienza respiratoria. Volevamo proteggerli. Non ci è stato consentito”.
Ecco a cosa è ridotto il tanto sbandierato “fiore all'occhiello della sanità italiana”.
Altro che “siamo tutti sulla stessa barca”; altro che “non lasceremo da solo nessuno” come continua a ripetere come un mantra il premier Conte!
15 aprile 2020