Ecatombe di medici, infermieri e ausiliari
Mandati al macello soli e senza adeguate protezioni

 
L'11 aprile scorso, in base all'ultimo aggiornamento pubblicato sul sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chiurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), risultava che ben 109 medici sono morti a causa del coronavirus a partire a partire dall'11 marzo fino all'8 aprile. Si tratta di uomini e donne, italiani e stranieri, medici generici e specialisti, professionisti nel pieno della loro attività e pensionati che avevano deciso di riprendere servizio per l'emergenza sanitaria, morti in molte parti d'Italia.
Sullo stesso sito il presidente della Federazione, dott. Filippo Anelli, scrive un vero e proprio atto di accusa contro la disorganizzazione del sistema sanitario che ha lesinato ai medici, e al resto del personale sanitario, anche i più elementari strumenti di protezione nella lotta contro l'epidemia: “fa rumore - scrive Anelli - il numero degli operatori sanitari contagiati, che costituiscono ormai il 10% del totale. Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus. È una lotta impari, che fa male a noi, fa male ai cittadini, fa male al paese“.
Lo stesso Anelli, in un altro intervento nel sito della Federazione che presiede, prosegue nel suo atto di accusa, scrivendo che la maggior parte dei medici deceduti “erano medici di medicina generale, mandati a combattere a mani nude contro il virus, senza gli adeguati dispositivi di protezione dpi [ovvero dispositivi di protezione individuale, imposti dalla legislazione per ogni tipologia di attività lavorativa in base al rischio della stessa, n.d.r.], ma anche pneumologi, medici penitenziari, medici legali. Ora vorremmo che lo Stato fosse unito, senza divisioni tra il Governo centrale e le Regioni, tra le Regioni e i Comuni, ma in una leale collaborazione nel tutelare i suoi medici“.
Anche il dott. Silvestro Scotti, segretario della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), sindacato che raggruppa i medici di famiglia, ha lanciato l'allarme senza risparmiare accuse al sistema sanitario nazionale, scrivendo a sua volta alcuni giorni fa nel sito dell'associazione che “le protezioni che stanno iniziando ad arrivare sono importanti ma vanno garantite nel tempo. Con la nostra campagna Fimmg-Cittadinanzattiva abbiamo raccolto 1 milione di euro e stiamo acquistando dpi per i medici di base. Ora, però, rischiamo ancora di pagare per ciò che non è stato fatto prima ed i morti potrebbero aumentare. Ad oggi sono almeno 30 i medici in terapia intensiva“.
Oltre che per i medici, la situazione è assai difficile anche per gli infermieri: in un'intervista all'ANSA dell'11 aprile scorso Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), ha confermato “il decesso di altre due infermiere impegnate sul campo contro il Covid-19, a Bergamo e Cremona“ che porta il numero dei morti tra gli infermieri a 28, affermando che i contagi nella categoria professionale sono “al ritmo di 200-300 infermieri in più contagiati ogni giorno ed il totale dei contagiati è arrivato a circa 7mila su 180mila infermieri impiegati nei reparti contro il Covid-19“.
Anche la Mangiacavalli non ha risparmiato accuse contro la disorganizzazione del sistema sanitario: a proposito dei dispositivi di protezione individuale - quali mascherine, tute, calzari, guanti - ha affermato che “spesso sono privi delle autorizzazioni necessarie o del marchio CE. In ogni caso si naviga a vista, di giorno in giorno“.
Stando ai dati dell'Istituto Superiore di Sanità aggiornati al 12 aprile, gli operatori sanitari contagiati dal coronavirus erano 15.891, pari a oltre il 10% del totale che lo stesso giorno risultavano essere 146.321, e in tale numero vengono presi in considerazione non soltanto medici e infermieri, ma anche le ostetriche, una delle quali è deceduta, i farmacisti, che contano 7 morti in tutta l'Italia, gli autisti delle ambulanze, cinque dei quali sono finora deceduti, e gli operatori socio sanitari, 14 dei quali finora risultano deceduti, ma per questi ultimi si tratta sicuramente di una stima fortemente ridotta.
Infatti, anche se non esiste ancora un albo ufficiale, in Italia si contano dai 330.000 ai 350.000 operatori socio sanitari attualmente in attività nell'ambito sia del Servizio Sanitario Nazionale sia delle strutture private, e ancora non ci sono dati sufficienti per comprendere cosa sia realmente accaduto o stia accadendo nelle residenze sanitarie assistenziali per persone non autosufficienti e nelle case di riposo per anziani: l'Istituto Superiore di Sanità, sulla base di questionari inviati, ha stilato già due report, il più recente dei quali è del 6 aprile, nell'ambito del progetto denominato 'Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie'. Dal citato report emerge che, rispondendo al questionario circa la positività o meno del personale al tampone per il SARS-COV-2, “su 560 strutture che hanno risposto a questa domanda 97 (17,3%) hanno dichiarato una positività per SARS-CoV-2 del personale della struttura“.
Consideriamo un vero e proprio crimine contro questi lavoratori impegnati quotidianamente nell'attuale emergenza sanitaria non avere fatto tutto quanto possibile per salvaguardare la loro salute e rivendichiamo con forza che il governo e tutte le autorità regionali diano assoluta priorità alla tutela della salute di tutti coloro che operano nell'ambito della sanità e dell'assistenza sociosanitaria.
 
 
 

15 aprile 2020