Non cedere alle pressioni della Confindustria: non è l'ora dell'apertura generale delle aziende
Nazionalizzare le grandi aziende e le banche

 
Alla fine, nell'ultimo decreto di Conte del 10 aprile, alcune attività sono state riaperte con decorrenza 14 aprile. Oltre a librerie, cartolibrerie e negozi per bimbi, il via libera è stato dato alle aziende forestali, industria del legno, imprese di macchine agricole, commercio di fertilizzanti e prodotti chimici per l'agricoltura e manutentori del paesaggio e del verde pubblico. Le restrizioni per molte aziende restano ma tante altre attività legate all'agricoltura e alla silvicoltura, potranno riprendere la strada verso la normalità.
Le altre misure restrittive (oltre alle consuete su spostamenti, distanza sociale, ecc.) valide finora per il 60% delle aziende, dal momento che nel nostro Paese siamo ben lontani dal netto calo di contagi da Coronavirus, sono state prorogate al 3 maggio. Su questo punto però Conte lascia intravedere un'apertura spiegando: "Se anche prima del 3 maggio si verificassero le condizioni, cercheremo di provvedere di conseguenza. (...) ipotizziamo una ripresa delle attività a pieno regime ma con protocolli rigorosi. Non possiamo debellare il virus. Dovremo conviverci”.
 

Tutto incentrato sulla “Fase 2”
"Il lavoro per la fase 2 è già partito – sostiene Conte -, non possiamo aspettare che il virus sparisca dal nostro territorio. Servirà un programma articolato e organico su due pilastri: un gruppo di lavoro di esperti e il protocollo di sicurezza nei luoghi di lavoro".
Già scelto anche il responsabile della task force che guiderà la seconda fase, un uomo delle grandi multinazionali e dell'alta borghesia, massimo dirigente di Vodafone e di RCS Mediagroup, Vittorio Colao, "un manager - spiega Conte - tra i più stimati anche all'estero... Dobbiamo studiare processi razionali per ripensare l'organizzazione della nostra vita”.
Ecco quindi un supermanager delle multinazionali alla guida del team, che farà senz'altro gli interessi della borghesia spacciandoli come “interessi di tutti”.
Ma quando inizierà la fase 2? Per le aziende dovrebbe essere già partita da un pezzo.
 

I protocolli e le pressioni di Confindustria
“In questo gravissimo contesto, la salute è certamente il bene primario”, sono le parole di facciata che Confindustria usa per aprire la strada al disegno di riapertura immediata di tutte le attività produttive nonostante il perdurare dell'emergenza sanitaria.
O meglio, fosse stato per l'associazione degli imprenditori, mai si sarebbe chiusa una sola attività produttiva poiché – secondo loro – sarebbero state sufficienti regole e protocolli per produrre in sicurezza.
I fatti sono lì a dimostrare che ciò non è vero e che, complice il criminale ritardo dello Stato nell'approvvigionamento di dispositivi di sicurezza individuale in un sistema sanitario al collasso, le lavoratrici ed i lavoratori di tutti i settori sono stati mandati al macello in massa, fino al primo blocco produttivo che ne ha “salvaguardati” una minima parte, quando però i buoi erano già scappati e il virus già dilagava anche fra gli occupati delle attività definite essenziali. Peraltro sono rimasti aperti moltissimi comparti economici non essenziali, come Leonardo e la produzione di armi, oltre che infinite altre aziende che hanno goduto delle deroghe rilasciate a manica larga dai prefetti.
Ora, a curva in stallo, e proprio nel momento in cui sia l'OMS che ISS raccomandano cautela per non vanificare tutto, Confindustria delle 4 regioni più colpite torna all'assalto chiedendo al governo la riapertura “ordinata ed in piena sicurezza” in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, che rappresentano il 45% del PIL italiano, pena “il rischio in più di non riuscire più a rimettere il Paese in marcia”. Confindustria, in sostanza, minaccia con tre parole: tracolli di fatturato, chiusure, licenziamenti.
Per farlo, gli industriali chiedono una “roadmap” che superi la logica dei codici Ateco, la velocizzazione delle autorizzazioni doganali per le merci e dell’ISS per i dispositivi di sicurezza prodotti in deroga alle normative sanitarie, e tante misure di finanziamento a fondo perduto che supportino gli investimenti delle imprese nella sicurezza. È chiaro che non sono solo le aziende del Nord che premono, ma è tutta Confindustria di Boccia che insiste, incurante di aver causato il contagio e la morte di centinaia di lavoratori pretendendo di continuare a produrre ad ogni costo.
Alla base dell'appello confindustriale c'è una rinnovata collaborazione con governo, regioni e sindacati che, dietro al ricatto della salvaguardia dei salari, ha come unica preoccupazione la ripresa dei profitti, ignorando i pareri degli organismi sanitari che invitano alla cautela.
 

La Fiom frena gli industriali ma la CGIL tentenna
“Le pressioni di Confindustria e degli industriali sono cieche - afferma Re David, segretaria generale della Fiom CGIL - più dura l’epidemia, più a lungo l’economia non si riprenderà. Deve essere la comunità scientifica a dirci quando sarà il momento di riaprire”.
Anche per la Fiom, dunque, non è giunta l'ora di riaprire la produzione su larga scala, ed è sotto gli occhi di tutti che proprio in un tessuto industriale come quello del Nord, il virus si è diffuso maggiormente proprio perché non sono state disposte tempestivamente le chiusure delle imprese, e Bergamo e Brescia ne sono la dimostrazione lampante.
La segretaria della Fiom aggiunge: “Occorre ridisegnare le fabbriche perché questa situazione durerà a lungo e quindi prevedere i distanziamenti, le sanificazioni, le riduzioni dell’orario di lavoro per salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, anche quelli degli appalti. In questo senso stiamo siglando protocolli e linee guida in molte aziende. Il governo attraverso la comunità scientifica avrà il compito di definire i tempi e le modalità delle riaperture”. Un ragionamento che rimane prigioniero dell'insufficiente protocollo del 14 marzo fra governo e sindacati e che, soprattutto, mette nelle mani del governo stesso ogni decisione in merito alla riapertura stessa.
Per di più Landini aveva spacciato per grande successo le piccole modifiche alle riaperture aziendali previste nel precedente decreto, lasciandolo sostanzialmente intatto. Lo sciopero fu proclamato su spinta delle lavoratrici e dei lavoratori che dopo il 21 marzo, in particolare in Lombardia e più in generale in tutto il nord, si erano rifiutati di entrare in fabbrica a produrre beni dichiarati essenziali ma che in realtà non lo erano; la conferma del blocco per altri 200 mila lavoratori aveva scongiurato lo sciopero che nessuno dei vertici sindacali voleva.
Cosa intenderanno fare allora adesso se il governo cederà alle pressioni di Confindustria contro il parere delle autorità sanitarie? Sembra molto poco.
Fra l'altro, solo per fare alcuni esempi fra i clamorosi, FCA ha siglato un accordo con i sindacati per riaprire la produzione. Certamente non si dirà che le automobili siano un bene di primaria necessità, e nonostante tutti gli accorgimenti di sanificazione degli ambienti e del mantenimento delle distanze – dando per scontato che siano poi eseguiti correttamente e sistematicamente – la mobilità che ne scaturisce e il lavoro stesso rimangono senz'altro rischi potenziali di contagio.
 

Le aziende devono rimanere chiuse e le grandi fabbriche nazionalizzate assieme alle banche
Mentre si fanno sempre più incalzanti e asfissianti le pressioni di Confindustria, certa di poter dettare con la prepotenza padronale di sempre le agende di governo, la comunità scientifica è concorde nel dire che le attività aperte prematuramente rispetto alla discesa della curva epidemica dovranno essere richiuse e che pertanto, senza stabilità, è meglio non procedere.
In Vietnam, per esempio, dove sono stati molto più capaci dell'Italia nel contenere il numero dei contagi, hanno riaperto al turismo e hanno dovuto fronteggiare una seconda ondata del virus più forte della prima, ed alla fine, oltre ad aumentare spese mediche e morti, hanno dovuto chiudere di nuovo, allungando i tempi della ripartenza.
È altrettanto evidente che, se tutta la comunità scientifica sostiene la forte riduzione degli spostamenti, pensare di rimettere in moto le fabbriche contemporaneamente e senza le necessarie misure per tutelare la salute dei lavoratori e la sicurezza sul territorio, è da criminali interessati unicamente dalla salvaguardia dei profitti capitalistici.
È giusto, come sostiene la Fiom, ridisegnare le fabbriche prevedendo i distanziamenti, le sanificazioni, le riduzioni dell’orario di lavoro, tuttavia il liberismo non garantirà mai, per sua natura, la salute e la sicurezza dei lavoratori che sarà sempre subalterna agli interessi dei padroni per i quali i propri dipendenti sono esclusivamente soggetti da sfruttare. Il profitto sarà garantito, la salute e la sicurezza no.
Oltre a rivendicare la parte economica, con la cassa integrazione per tutti pari al 100% del salario, in aggiunta a un immediato “reddito di quarantena” di 1.200 euro che assicuri un reddito agli operatori sociali, dipendenti di cooperative, lavoratori del terzo settore, al piccolo lavoro autonomo, agli stagionali, compreso chi svolge lavoro nero o “grigio” altrimenti costretti alla fame, occorre ribadire con forza la necessità di tenere ancora chiuse le fabbriche e di nazionalizzare le grandi aziende strategiche e le banche. Il fiume di aiuti che il governo ha promesso deve andare ai lavoratori, agli artigiani e alle piccole aziende, non certo alle grandi imprese capitalistiche.
È questa l'unica strada per strappare la produzione di beni essenziali alle dinamiche di mercato e con esse il destino di coloro che vi lavorano, ripristinando salario, salute e sicurezza. Allo stesso modo le banche che sempre, ma in particolare in momenti di difficoltà, dovrebbero svolgere la loro funzione di credito e di ripartenza e non tentare, direttamente o indirettamente, di lucrare sulla crisi come puntualmente accade.
Rivendichiamo la nazionalizzazione delle grandi aziende e delle banche, anche se siamo consapevoli che in regime economico capitalistico ciò possa risultare difficile da conquistare e difendere stabilmente. È per questo che in momenti particolarmente difficili come questo, in cui le necessità dell'emergenza sanitaria potrebbero annebbiare le vere necessità di classe, non dobbiamo dimenticare mai che il socialismo e solo il socialismo è la stella polare del proletariato e dei marxisti-leninisti, che ne sono l'avanguardia.
 
 
 

15 aprile 2020