Coronavirus nelle RSA
Aumentano le vittime tra gli ex ospiti della “Domus Aurea” di Chiaravalle
In corso le indagini della Procura di Catanzaro
Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria
Continuano ad aumentare i morti per Covid-19 tra gli ex ospiti della residenza sanitaria “Domus Aurea” di Chiaravalle Centrale, un piccolo comune del catanzarese.
L’emergenza sta diventando sempre più grave e preoccupante: ormai il contagio sembra essersi esteso a macchia d’olio. La ventesima vittima è un’anziana signora che si trovava ricoverata in terapia intensiva presso l’ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro. Nel momento in cui scriviamo, si registrano oltre 70 contagiati tra ospiti e dipendenti. Nei giorni scorsi, l’ufficio del procuratore Nicola Gratteri, dopo gli esposti presentati dai familiari di alcuni degenti, ha aperto un fascicolo per cercare di fare luce su quanto accaduto e appurare eventuali negligenze e responsabilità penali dopo il primo caso accertato all’interno dell’RSA. Molti gli interrogativi da chiarire a cominciare dall’autorizzazione e dall’accreditamento concesso dalla regione Calabria alla “Domus Aurea” ad erogare i servizi assistenziali pur non disponendo dei requisiti richiesti; e del mancato possesso del certificato antimafia che le residenze sanitarie private devono ottenere per lavorare con le pubbliche amministrazioni. Ma facciamo un passo indietro, cercando di ricostruire in base ai documenti emersi, le varie fasi di questa drammatica vicenda.
L’origine del contagio epidemiologico all’interno della Rsa “Domus Aurea”
A portare il coronavirus all’interno della struttura per anziani sembra essere stata un’operatrice socio-sanitaria originaria di Serra San Bruno, un comune della provincia di Vibo Valentia, distante una trentina di chilometri da Chiaravalle Centrale. È questa l’ipotesi abbozzata nella relazione del dg del Dipartimento Sanità della Regione Calabria, Antonio Belcastro. In base a quanto scritto, il 25 febbraio scorso a Serra San Bruno si sarebbe celebrato un funerale a cui avrebbero partecipato insieme alla cittadinanza alcuni parenti del defunto provenienti dall’Emilia-Romagna, una delle regioni più interessate dall’epidemia, fu in quella triste circostanza che il “paziente zero” avrebbe contratto il virus.
L’8 marzo in occasione della festa della donne, essendo titolare di un agriturismo, il “paziente zero” di Serra San Bruno avrebbe ospitato all’interno del suo locale un pranzo di famiglia alla cui tavola era presente l’operatrice che prestava servizio presso la RSA di Chiaravalle, e che successivamente in data 22 marzo sottoposta a tampone, sarebbe risultata positiva al Covid-19.
La scoperta del focolaio e l’immobilismo della regione Calabria
Il 23 marzo una paziente della “Domus Aurea” inizia ad accusare i primi sintomi, ha la febbre alta e fatica a respirare. Il giorno successivo le sue condizioni di salute si aggravano, viene così trasportata d’urgenza all’ospedale Pugliese di Catanzaro. Il 25 marzo viene sottoposta a tampone risultando positiva. Finalmente, si intuisce la gravità della situazione e scattano i controlli all’interno della struttura; vengono inviati 4 operatori sanitari per effettuare lo screening attraverso il tampone “rino-faringeo” ma ormai è troppo tardi, il virus ha iniziato a diffondersi pericolosamente. Il risultato inizia a farsi pesante, il 26 marzo il numero degli ospiti positivi aumenta a 48 assieme ad altri 13 operatori. Il giorno successivo, 8 anziani “bisognevoli di ricovero ospedaliero” vengono trasferiti al nosocomio di Catanzaro, mentre gli altri 40 “asintomatici o pauci sintomatici”, rimangono isolati all’interno della struttura. Gli operatori risultati positivi vengono posti in quarantena mentre quelli negativi continuano a prestare assistenza agli ospiti senza disporre di adeguati strumenti di sicurezza. Il 30 marzo la situazione precipita, iniziano a morire i primi anziani che rimangono per ore nei loro letti prima di essere portati via. Lo stesso giorno, un’ispezione dei Nas e dell’Asp, stabilisce che tutti i pazienti presenti all’interno della “Domus Aurea” gestita dalla Salus MC Srl, devono essere ospedalizzati. A nulla valgono i numerosi appelli lanciati dell’amministratore unico Domenico De Santis: “Mi sono rivolto a tutte le organizzazioni possibili e immaginabili, ho comunicato tutto al presidente della Repubblica, al ministro della Salute, al presidente del Consiglio, anche ai vertici della Regione. Tutti sono rimasti silenti”. Si cerca allora di chiedere aiuto all’ospedale di Lamezia Terme che non accetta la richiesta di trasferimento perché non adeguatamente attrezzato. Solo il 2 aprile la regione autorizza il trasferimento di tutti gli anziani della RSA al policlinico universitario “Mater Domini”, chiudendo la struttura. Ma nel frattempo la “bomba sanitaria” è scoppiata il numero dei decessi sale a 9 mentre molti altri versano in condizioni disperate.
Gravi responsabilità del governo locale e nazionale
In un videomessaggio Facebook, la neo-governatrice della Calabria, Jole Santelli (FI), ha dichiarato di essersi attenuta alle disposizioni ministeriali - un documento del 25 marzo che in realtà riguarda più la prevenzione che la gestione del contagio.
Eppure, prima che scoppiasse il “caso Chiaravalle” aveva affermato: “Se il Covid-19 entra nelle RSA vanno blindate perché altrimenti corriamo rischi enormi”. Alla luce di quanto accaduto nei giorni immediatamente successivi, si era consapevoli che si sarebbe potuta verificare una strage ma nulla si è fatto per prevenirla o quantomeno contenerla, perdendo tempo prezioso e giocando a “scarica barile”. Un comportamento irresponsabile e criminale che ha messo ancora una volta a nudo l’incompetenza dei politicanti borghesi al servizio del regime capitalista e neofascista (che ci considerano tutti sulla stessa barca) totalmente impreparati a fronteggiare l’emergenza locale e nazionale di Covid-19, e la deficienza di un SSN che non può disporre, a causa dei pesanti tagli ai finanziamenti pubblici degli ultimi dieci anni, di strutture adeguate per fornire ai pazienti le cure mediche necessarie.
In tutta Italia le RSA, in larga parte gestite dai privati, sono ormai diventate focolai incontrollati di coronavirus dove più di un degente sarebbe morto senza che il contagio venisse nemmeno accertato. Non deve stupire, per il sistema capitalista gli anziani ospitati nelle RSA vengono considerati semplici clienti da cui ricavare profitto.
Noi marxisti leninisti continueremo a rivendicare una sanità pubblica, universale, gratuita, gestita con la partecipazione diretta dei lavoratori e delle masse popolari, che disponga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e sia finanziata tramite la fiscalità generale.
Invitiamo altresì regioni e comuni, a creare nuove residenze e centri diurni pubblici e gratuiti per gli anziani anche non autosufficienti con la presenza di personale medico qualificato e di sostegno, coinvolgendo i familiari dei "ricoverati" nella gestione di queste strutture.
15 aprile 2020