Conte cede a Confindustria e apre altre aziende
Gli operai pretendono di essere trattati come tutti gli altri, non come carne da macello sull'altare del profitto capitalistico
Con la conferenza stampa del 26 aprile e l'ennesimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) che ne è scaturito, si è aperta la cosiddetta “fase 2”, o “della ripartenza”, o ancora della “convivenza” con il virus.
Sui commenti della stampa e dei media l'aspetto principale che viene sottolineato è che per adesso non cambia quasi niente. Nel senso che molte delle attività economiche sono state riaperte il 4 maggio e anche dopo, in sostanza come era stato annunciato precedentemente, mentre alcune Regioni e associazioni padronali, a partire da Confindustria, auspicavano un accorciamento dei tempi.
Quella di un Conte che si è opposto ai governatori leghisti, ai partiti della destra, a Renzi e agli imprenditori, cioè i soggetti principali che premevano per una riapertura generalizzata, ci sembra una narrazione che non corrisponde alla realtà. Soprattutto per quanto riguarda le fabbriche perché il governo, su questo fronte, ha allargato ulteriormente le concessioni, ma la cosa è passata quasi in sordina.
Nei notiziari e sul web si è discusso soprattutto della chiusura delle scuole, che riapriranno a settembre, della riapertura dei negozi al dettaglio fissata per il 18 maggio e dei ristoranti per il primo giugno, della possibilità di fare attività motoria seppur distanziati, della possibilità di spostarsi solo all'interno della stessa regione, del divieto delle funzioni religiose.
Tutto questo perché i dati relativi alla diffusione del coronavirus, dei ricoverati in terapia intensiva, dei guariti e dei morti, pur essendo da giorni in calo, a detta di tutti gli esperti, non permettono ancora di considerare la pandemia in via di esaurimento e un aumento dei flussi delle persone, specie nei luoghi affollati, potrebbe di nuovo invertire la tendenza.
Ma se per tanti settori le date delle aperture vengono confermate o posticipate, per gli operai questo non vale. Il governo li ha dichiarati immuni per decreto! Di fronte alle pressioni della Confindustria e del suo nuovo presidente, il falco Carlo Bonomi, dal 27 aprile hanno potuto riaprire le “imprese e distretti manifatturieri orientati all’export e la cui prolungata sospensione, quindi, rischia di far perdere al Paese quote di mercato”. In particolare automotive, moda e macchine agricole.
Una circolare interministeriale ha chiarito che tali attività rientrano tra quelle di “rilevanza strategica per l'economia nazionale” che già potevano rimanere aperte assieme a quelle considerate “essenziali”. Con la stessa causale possono riaprire le aziende del comparto costruzioni, ma solo per i cantieri su dissesto, scuola, carceri e edilizia residenziale pubblica. Con la comunicazione ai prefetti e il sistema del silenzio-assenso, basta dirsi “legato all’export” o collegati alla stessa filiera e il gioco è fatto.
Con questa nuova concessione del governo in Toscana sono ripartite almeno 400 aziende del distretto tessile di Prato e altrettante di quello della pelle in provincia di Pisa, gli orafi di Arezzo, la nautica della Versilia. In Veneto ha già riaperto più del 60% delle aziende: da giorni lavorano alla De Longhi di Treviso e nella stessa provincia il 27 ha iniziato anche la Electrolux di Susegana.
Nel frattempo proseguono le graduali riaperture degli stabilimenti metalmeccanici. Fca ha riaperto i cancelli a oltre 700 operai a Melfi, così com'è ripresa l’attività per i lavoratori campani del reparto stampaggio dello stabilimento di Pomigliano d’Arco e del reparto di logistica a Nola. Si tratta invece di un'apertura a pieno regime quella che caratterizza il ritorno al lavoro dei 6mila dipendenti della Sevel di Atessa in Abruzzo, joint venture
con il gruppo francese Psa, che produce veicoli commerciali.
Riapertura anticipata rispetto al 4 maggio anche per l'azienda produttrice d'impianti frenanti Brembo, nei suoi stabilimenti di Curno, Mapello e Sellero, nella martoriata provincia di Bergamo dove i morti per coronavirus sono stati migliaia. Lo stesso ha fatto l'azienda motociclistica Ducati di Borgo Panigale, vicino Bologna. Ripresa graduale per la Whirlpool a Napoli, la stessa fabbrica che comunque la multinazionale americana vuole chiudere.
E Cgil, Cisl e Uil? Non pervenute, altro che aziende ostaggio dei sindacati, come ha dichiarato l'aspirante duce d'Italia, il leghista Salvini. Mentre Confindustria, associazioni delle piccole e medie industrie, i commercianti, pressavano il governo, le segreterie confederali se ne sono state buone buone, raccomandando solo di rispettare la sicurezza, lasciando alle Rsu e Rsl il compito di verificarlo sul posto di lavoro. Nelle aziende più grandi e sindacalizzate questo sta avvenendo, ma in quelle più piccole, che sono la stragrande maggioranza, è molto più difficile.
I sindacati dovevano invece pretendere una restrizione per lasciare aperte solo le aziende veramente essenziali fino al 4 maggio, e anche oltre almeno per le zone più colpite dal virus e minacciare, per poi mantenere l'impegno, lo sciopero se ciò non fosse avvenuto, oltre a chiedere il salario al 100% per tutti coloro che sono costretti a rimanere a casa.
Prima o poi fabbriche, uffici, magazzini e negozi dovranno riaprire, ma i lavoratori vogliono e devono rientrare solo quando la pandemia da Covid-19 sarà sotto controllo e comunque in luoghi di lavoro sanificati e con tutti i sistemi di sicurezza e prevenzione. Soprattutto pretendono di essere considerati come tutti gli altri e non come carne da macello da sacrificare sull'altare del profitto capitalistico.
6 maggio 2020