Dati Istat sulla violenza domestica in regime di “lockdown”
Aumentata la violenza sulle donne ai tempi del Covid-19
Gli effetti del lockdown
antivirus stanno pesando come macigni sulle spalle delle donne. Nella rilevazione Istat dal 1° marzo al 16 aprile, sono state 5.031 le telefonate al numero antiviolenza istituzionale 1522, cioè il 73% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Le donne che hanno chiesto aiuto sono 2.013, +59%. Per l'Istat le denunce per maltrattamenti in famiglia sono diminuite del 43,6%, quelle per omicidi di donne del 33,5%, tra le quali risultano in calo dell’83,3% le denunce per omicidi femminili da parte del partner, ma spiega anche che per “poter dare una lettura adeguata del fenomeno sarà necessario un periodo di riferimento più lungo”. Rimane il fatto che dal 4 marzo al 9 maggio, in pieno lockdown
imposto dal dittatore antivirus Conte, 10 donne hanno perso la vita per mano dei loro partner. Con loro da gennaio 2020 sono 24 le vittime di femminicidio, e dall'inizio dell'emergenza virus 10, circa una ogni 6 giorni.
Mentre per il Lazio, il tasso di incidenza passa dal 6,8% del 2019 al 12,4% dello stesso periodo del 2020, per la Toscana, dal 4,8% all’8,5% per 100 mila abitanti. Le donne vittime di violenza in questo periodo chiamano di più rispetto allo stesso periodo del 2019 anche dalla Sardegna e dall’Umbria.
Le donne che hanno chiamato per violenza subita sempre al numero istituzionale sono 1.543: per avere informazioni sul servizio 1522 (28,3%), per manifestare altre situazioni di disagio diverse dalla violenza (17,1%). Nel 60,6% dei casi le chiamate arrivano tra le 9 e le 17; quelle durante la notte e la mattina presto, solitamente in numero minore, hanno raggiunto il 17,5% durante il lockdown.
Il 45,3% delle vittime ha paura per la propria incolumità o di morire; il 72,8% non denuncia il reato subito. Nel 93,4% dei casi la violenza si consuma tra le mura domestiche, nel 64,1% si riportano anche casi di violenza assistita.
Questi i dati rilevati dal numero governativo 1522, mentre per la rete D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) tra il 6 aprile e il 3 maggio 2020 il numero delle donne che si sono rivolte per la prima volta a un centro antiviolenza è cresciuto notevolmente: su 2.956 donne che si sono rivolte a un centro antiviolenza della rete D.i.Re 979 di esse sono “nuove” pari al 33% del totale. Un dato in continua crescita soprattutto con l'entrata del Paese nella “fase 2” del lockdown
, cioè quel poco di libertà di movimento in più ha permesso a molte donne di “evadere” dal proprio partner violento e chiedere aiuto. Sale dunque il numero delle donne che per la prima volta si sono rivolte a un centro antiviolenza D.i.Re: da 836 tra il 2 marzo e il 5 aprile a 979 tra il 6 aprile e il 3 maggio, ovvero 143 in più, pari a un incremento del 17%.
Ricordiamo che nella prima fase D.i.Re aveva diramato dati preoccupanti per il calo di denunce specie di donne che per la prima volta si rivolgevano ai centri antiviolenza.
È aumentata anche la percentuale di donne che tra marzo e aprile hanno avuto bisogno di alloggio in una casa rifugio che sale dal 5% per periodo compreso tra il 2 marzo e il 5 aprile al 6% del periodo compreso tra il 6 aprile e il 3 maggio 2020.
Rimane comunque basso, seppure in crescita, il numero delle richieste arrivate ai centri antiviolenza della rete D.i.Re tramite il numero antiviolenza governativo 1522: tra il 6 aprile e il 3 maggio sono state il 4,6%, mentre erano state il 3% nel periodo 2 marzo-5 aprile 2020.
I dati diramati sia dall'Istat che da D.I.Re sono comunque la punta di un iceberg per quanto riguarda la violenza subita dalle donne all'interno delle quattro mura domestiche. Non vi è dubbio che le misure di quarantena, di convivenza forzata e di coprifuoco attuate da Conte hanno aggravato le situazioni di violenza sulle donne all'interno del nucleo familiare. In più l'indipendenza economica, che riteniamo indispensabile per strappare le donne dalla violenza maschile familiare, oggi più che mai ai tempi del Coronavirus, viene minata dal pericolo dei licenziamenti, dalla messa in cig, dalla chiusura di servizi indispensabili come asili nido, scuole di ogni ordine e grado, centri diurni per gli anziani e per i portatori di gravi patologie neurodegenerative col pericolo che molte di esse saranno costrette ad allontanarsi dal mondo del lavoro per occuparsi dei figli e dei familiari a carico e a soccombere ad un partner violento.
Questi dati confermano che non siamo sulla stessa barca, come amano predicare Conte e i partiti istituzionali. L’emergenza sanitaria non ha annullato ma accentuato, rendendole ancor più macroscopiche, le disuguaglianze sociali, territoriali e di sesso.
20 maggio 2020