Sull'appello dei ricercatori di più di 650 università di tutto il mondo per il cambiamento dopo la pandemia
Impensabile la democratizzazione delle imprese senza il passaggio del potere dalla borghesia al proletariato
La collaborazione di classe e il riformismo rafforzano il capitalismo
II Lavoro: Democratizzazione, De-mercificazione, Risanamento Ambientale è il titolo dell'appello sottoscritto finora da oltre 3.000 accademici e ricercatori di più di 650 università del mondo sul sito democratizingwork.org e pubblicato il 16 maggio in contemporanea su 41 testate internazionali; in Italia i promotori hanno scelto Il Manifesto
. Il documento parte da una serie di considerazioni sulla situazione in particolare economica che si è creata nel corso della crisi sanitaria e sollecita un cambiamento nel mondo per il dopo pandemia, rilanciando però uno dei cavalli di battaglia delle correnti riformiste internazionali: una democratizzazione delle imprese che sarebbe possibile costruire a partire dalla partecipazione di rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione aziendali che è una oramai logora e fallimentare ipotesi di cambiamento. L'appello semina illusioni di cambiamento ma è impensabile la democratizzazione delle imprese senza il passaggio del potere dalla borghesia al proletariato.
Certo che, come sostiene l'appello, dall'esperienza contro il coronavirus si è avuto conferma che “chi lavora è molto di più che una semplice risorsa” e che” il lavoro non può essere ridotto a una mera merce”; come pure che la salute delle persone e la cura di chi è più vulnerabile non possono essere governati unicamente dalle leggi di mercato. Ma quando dalle giuste considerazioni passa a dichiarare che occorre evitare che succedano queste cose, l'appello non riesce ad andare oltre una formale richiesta di “coinvolgere” chi lavora nelle decisioni relative alle loro vite e al loro futuro nel luogo di lavoro, democratizzando le imprese e de-mercificando il lavoro. Garantendo a tutti un impiego utile e riunire le forze collettive necessarie per poter preservare la vita sul nostro pianeta.
Seppur i firmatari riconoscano che in Germania, Olanda e nei paesi scandinavi i vari tipi di cogestione sperimentati dopo la Seconda Guerra Mondiale siano stati un passo insufficiente, li rilanciano senza però specificare come gli investitori di capitale che “monopolizzano le aziende” dovrebbero cedere la maggioranza del consiglio, ossia il potere ai rappresentanti dei lavoratori. Senza quello non è possibile neanche realizzare il minimo obiettivo dichiarato nell'appello di “ridurre le enormi diseguaglianze salariali e assicurare che aumentino i redditi più bassi”.
Richiamando l’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che afferma che ogni persona ha diritto al lavoro, l'appello si rivolge ai governi che dovrebbero “in nome delle società democratiche dai quali vengono scelti e alle quali devono rispondere, e in nome dell’obbligo che tutti abbiamo di assicurare l'abitabilità del nostro pianeta” “appoggiare le imprese a condizione che queste adottino delle nuove pratiche, attendendosi a requisiti ambientali esigenti e introducendo strutture interne di governo democratico”. Non saranno i padroni a spalancare le porte dei consigli di amministrazione come pure non saranno i governi borghesi a fare in modo che cambi il sistema che vede le imprese “gestite con l’obiettivo di massimizzare il profitto”, quei governi che finora hanno assorto al loro compito istituzionale di difendere sempre e comunque gli interessi dei capitalisti nazionali, di sostenere le esigenze imperialiste nazionali d'intesa o contro i paesi capitalisti concorrenti e di tenere soggiogati i lavoratori e le masse popolari. Per restare in tema di pandemia, che ha spinto i promotori a lanciare l'appello, è emerso con ancora più evidenza come i governanti del capitalismo e dell’imperialismo dei vari paesi non abbiano fatto nulla per prevenire e per fronteggiare le emergenze sanitarie e hanno fatto prevalere le leggi del mercato capitalista al diritto alla salute della popolazione.
Sì, è possibile “scegliere un’altra strada”, come afferma l'appello ma non è quella indicata perché la collaborazione di classe e il riformismo non servono alla classe operaia, ai lavoratori e alle masse popolari, rafforzano il capitalismo. Non è vero che siamo tutti sulla stessa barca, “le barche sono due, quella delle forze del capitalismo e quella delle forze anticapitaliste. L’una e l’altra hanno rematori diversi e destinazioni opposte”, ricordava il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI nel recente editoriale per il 43° Anniversario della fondazione del Partito. Solo un esempio: per effetto della crisi sanitaria, nei primi tre mesi dell'anno venivano licenziati negli Usa quasi 40 milioni di lavoratori, quelli ufficiali calcolati secondo le richieste di disoccupazione perché quelli reali sono molti di più, mentre i primi quattro miliardari americani, Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffett e Mark Zuckerberg, che già avevano un patrimonio pari a più della metà della popolazione americana messa insieme, moltiplicavano le loro ricchezze. I corrieri di Amazon rischiavano il contagio sul lavoro, il capo Jeff Bezos in neanche tre mesi era più ricco di 25 miliardi di dollari.
27 maggio 2020