Israele
Netanyahu e Gantz si spartiscono il potere concordi per annettere mezza Cisgiordania
La mattina del 24 maggio il riconfermato primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu teneva la prima riunione dell'esecutivo, appena insediato dopo che una settimana prima aveva ottenuto il via libera, con 73 voti a favore e 46 contrari, del parlamento sionista; chiusa la riunione si recava alla prima udienza del processo presso la Corte di Gerusalemme, che dalla poltrona di premier aveva più volte rinviato, dove è incriminato per corruzione, frode e abuso di potere.
La trattativa tra Netanyahu e lo speaker della Knesset Benny Gantz, i leader del Likud e di Blu e Bianco, era iniziata dopo il voto del 2 marzo e durava fino al 20 aprile quando annunciavano di aver raggiunto un accordo per la formazione di un governo nazionale di emergenza che prevede un premier in carica a rotazione; i primi 18 mesi toccavano a Netanyahu. Era la soluzione trovata dal regime sionista per far fronte alla crisi politica, arrivata alla terza tornata elettorale in meno di un anno senza sciogliere il nodo della magggioranza in parlamento dove le due formazioni si equivalgono e alla crisi sanitaria da coronavirus, con la minoranza araba israeliana abbandonata a se stessa, e alla imminente crisi economica.
Anche le ultime elezioni politiche del 2 marzo avevano consegnato al Likud solo il ruolo di primo partito ma senza una maggioranza in parlamento. Tanto era bastato a Netanyahu per rilanciarsi come punto di riferimento della politica sionista imperialista che con l'appoggio di Trump puntava all'annessione formale dei territori palestinesi. Un gioco facile dato che anche il rivale Gantz voleva la stessa cosa e il patto antipalestinese ha costituito la parte sostanziale dell'intesa per la spartizione del potere tra i due leader sionisti. Che annunciavano entro l'1 luglio la presentazione alla Knesset una legge per l’estensione della sovranità israeliana sulla Valle del Giordano e gli insediamenti dei coloni nella Cisgiordania palestinese occupata da Israele nel 1967. I centri abitati palestinesi e qualche pezzo di campagna non ancora distrutta dai buldozer sionisti resteranno sotto la legge militare israeliana.
All'alleanza di governo partecipano anche i partiti della destra religiosa e nazionalista che erano già nella precedente coalizione e i Laburisti che, quasi cancellati dagli elettori, si guadagnano due posti da ministro, col presidente laburista Amir Peretz quello di ministro dell’economia e il suo vice, Itzik Shmuli, leader nel 2011 del movimento degli “indignati” israeliani, quello di ministro del Welfare. Gantz invece perdeva un pezzo della sua coalizione che si oppone alla vergognosa giravolta del generale passato dalla posizione “mai” con Netanyahu, definito un “pericolo per la democrazia”, al sostegno per tenerlo sullo scranno governativo per altri 18 mesi.
Del nuovo esecutivo non farà parte il ministro della Sanità israeliano, il rabbino Yaakov Litzman della destra ortodossa, che si dimetteva il 22 aprile sommerso dalle accuse per la fallimentare gestione della crisi del coronavirus. Non tanto perché ha ritardato l'assistenza alle comunità arabe o ignorato i villaggi beduini nel Neghev non riconosciuti dallo Stato o perché ha diffuso le istruzioni per prevenire il contagio solo in lingua ebraica, tanto che l'ong Adalah di Haifa lo ha denunciato per discriminazione sanitaria nei confronti della minoranza araba, quanto per non aver chiuso le sinagoghe, ritenendo determinante l'intervento del messia per porre fine all’epidemia. Positivo al test, ha costretto alla quarantena metà governo ed è diventato un capro espiatorio dell'esecutivo uscente.
27 maggio 2020