Abrogata la legge sui vitalizi in Calabria
La regione costretta al dietrofront dopo che l’aveva approvata il 26 maggio scorso
Dal corrispondente della Calabria
Martedì 26 maggio, il Consiglio regionale della Calabria presieduto dal forzista Domenico Tallini, si riuniva a porte chiuse per approvare in meno di due minuti e all’unanimità la legge 5/2020. Si introduceva un’indennità di fine mandato che anche i consiglieri decaduti per vari motivi avrebbero potuto maturare purché avessero regolarmente versato i contributi per l’intero arco della legislatura.
La legge, proposta da Giuseppe Graziano dell’Udc e da lui presentata prima della votazione con un lapidario “si illustra da sé”, scatenava a livello nazionale una valanga di polemiche e veniva strumentalizzata soprattutto da parte dei Cinquestelle e del suo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio che ne auspicava l’abrogazione: “Davvero surreale. Non posso rimanere in silenzio davanti a una cosa del genere - affermava - mentre i cittadini hanno serie difficoltà economiche e le imprese sono colpite duramente dalla crisi, la regione Calabria reintroduce il vitalizio”.
E Tallini si arrampicava sugli specchi dicendo: “I vitalizi in Calabria sono stati aboliti da tempo. Non vedo dov’è lo scandalo, a fronte di 38mila euro di contributi versati in una legislatura si maturerebbe un’indennità di fine mandato, a 65 anni, da 600 euro netti al mese”. Salvo poi ritornare sui suoi passi: “L’errore è stato quello di lasciare intendere che il beneficio poteva estendersi con la contribuzione volontaria anche ai consiglieri dichiarati decaduti”. Ah, ecco l’errore! Ecco dove si annidava lo scandalo!
In verità, il giorno dell’approvazione in aula, i consiglieri che avevano votato in fretta e furia la legge, erano stati tratti in inganno (sì, ma da chi non si sa) perché non volevano di certo sottoscrivere un documento che avrebbe comportato un aumento dei costi della politica. Dopo tanto scalpore suscitato nell’opinione pubblica, Tallini si affrettava a riconvocare in seduta straordinaria il Consiglio regionale, che il 3 giugno abrogava la legge e poneva fine alla grottesca vicenda.
In un delicato periodo di crisi economica, dove le martoriate masse calabresi senza un reddito fisso e senza i tanto decantati aiuti governativi e istituzionali, sono relegate a vivere nella povertà e nell’emergenza sanitaria causata non solo dalla pandemia di coronavirus ma anche dai rifiuti, che giornalmente marciscono davanti le abitazioni, noi marxisti-leninisti italiani riteniamo vergognoso e inaccettabile che un Consiglio regionale si sia riunito “segretamente” per approvare in tempi record una legge che avrebbe garantito ai servi del regime capitalista e neofascista, una pensione di 600 euro netti pagata con soldi pubblici e dopo soli 5 anni di legislatura. Bisogna ricordare che il 60% degli italiani dopo anni e anni di duro lavoro e contributi versati all’Inps, percepisce una pensione al di sotto dei 750 euro mensili. È questo il punto centrale su cui ruota l’intera questione, non certo l’estensione del beneficio anche ai cosiddetti consiglieri “decaduti”.
E meno male che siamo tutti sulla stessa barca! Una debacle clamorosa, la conferma che non c’è nulla di buono da aspettarsi dai politicanti borghesi e dalle giunte regionali siano esse di “centro-destra” o “centro-sinistra” per questo vanno denunciate, smascherate e combattute attraverso la lotta di classe e la creazione delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo; per la Calabria governata dal popolo e al servizio del popolo!
10 giugno 2020