Nonostante il sabotaggio del governo egiziano nell'inchiesta sull'assassinio di Giulio Regeni
Conte autorizza la vendita di due navi militari al boia al-Sisi
I genitori del giovane ricercatore: “Questo governo ci ha tradito”

“Per l’Italia è arrivato il momento di cambiare passo e atteggiamento nei rapporti con l’Egitto. Lo stallo con l’Egitto non è più tollerabile. Per noi la verità sull’omicidio di Giulio è una priorità che non può subire alcuna deroga”.
A prometterlo, a più riprese, era stato il ducetto a Cinquestelle Di Maio il quale, in qualità di neo ministro degli Esteri, l'8 ottobre 2019, incontrò alla Farnesina i genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio, per comunicargli ufficialmente l'impegno di tutto il governo Conte II, insediatosi da poco più di un mese, nella ricerca della verità e degli assassini del giovane ricercatore friulano dell'università di Cambridge, rapito a Il Cairo il 25 gennaio 2016 dalla polizia segreta, barbaramente torturato nelle prigioni del regime fascista del dittatore egiziano Al-Sisi e infine ritrovato cadavere nove giorni dopo lungo l'autostrada per Alessandria.
Otto mesi dopo, al contrario di quanto era lecito aspettarsi, Conte e Di Maio hanno cambiato completamente idea e l’8 giugno hanno dato via libera alla vendita all’Egitto di due navi da guerra classe FREMM per un valore da 1,2 miliardi di dollari costruite in Italia da Fincantieri nell'ambito di un progetto di collaborazione fra le maggiori industrie belliche italo-francesi. Tra l'altro, per ironia della sorte, una delle due fregate, la “Emilio Bianchi”, è stata varata il 25 gennaio scorso proprio il giorno del quarto anniversario del sequestro Regeni.
A sbloccare l’affare ci ha pensato la sera del 7 giugno lo stesso premier Conte con una telefonata diretta al dittatore egiziano per assicurarlo che le due navi, inizialmente destinate alla Marina militare italiana, sono pronte a salpare per Il Cairo certificando così un nuovo strettissimo legame politico e affari commerciali tra l’Italia e il regime fascista di Al-Sisi che mai in questi quattro anni ha collaborato per trovare i nomi dei sequestratori, torturatori e assassini di Giulio Regeni.
La notizia ha suscitato la sacrosanta indignazione dei coniugi Regeni che fino ad ora avevano sempre creduto alle false promesse di Conte e Di Maio convinti di scoprire tutta la verità sull'assassinio del loro giovane figlio.
“E invece ora questo governo – accusano giustamente Paola e Claudio Regeni, insieme al loro legale Alessandra Ballerini - ci ha tradito” e Conte per la dodicesima volta da quando è premier ci ha presi in giro perché, con perfetta faccia di bronzo, al termine della telefonata con Al-Sisi e la chiusura dell'affare ha vergognosamente “ribadito la collaborazione giudiziaria nel caso Giulio Regeni”.
“Ci sentiamo traditi. Ma anche offesi e indignati dall’uso che si fa di Giulio” hanno ribadito i Regeni. “Perché ogni volta che si chiude un accordo commerciale con l’Egitto, ogni volta che si certifica che quello di Al Sisi è un governo amico, tirano in ballo il nome di Giulio come a volersi lavare la coscienza. No, così non ci stiamo più”.
La verità è che fin da gennaio scorso Conte aveva annunciato la vendita delle due fregate e nessuno, in questi sei mesi, ha avuto il coraggio di denunciare e di opporsi all'operazione ivi compreso Leu e cosiddetti “pezzi del Partito democratico e Movimento 5 Stelle” che a parole si dicono contrari a ogni forma di collaborazione politica e commerciale con il dittatore egiziano ma poi, nei fatti, non muovono un dito per impedire che ciò avvenga.
Specie se si pensa che l’affare delle due fregate FREMM rientra in un contratto di forniture belliche ancora più ampio che prevede anche la vendita di pattugliatori navali, cacciabombardieri e aerei addestratori M346. Nell’ambito di un legame, sulla vendita di armi, solidissimo con l’Egitto tanto che ormai da mesi il regime di Al Sisi è in cima alla lista dei migliori clienti dell’industria bellica italiana.
“Le navi e le armi che venderemo all’Egitto serviranno per perpetuare quelle violazioni dei diritti umani contro le quali abbiamo sempre combattuto” denunciano giustamente i genitori di Giulio e il loro avvocato, da sempre in prima linea, dopo l’assassinio del figlio, per difendere i diritti umani in Egitto. Dove in questi anni sono stati arrestati, e tenuti in carcere per mesi, anche uno dei loro consulenti, Mohammed Abdallah, e Amal Fathy, moglie di Mohammed Lotfy, segretario dell’organizzazione a cui si sono rivolti per seguire la loro difesa, l’Ecrf.
“Lo abbiamo detto dal principio: la nostra battaglia non è soltanto per Giulio ma per tutti i Giulio di Egitto” aggiungono ancora i Regeni col pensiero rivolto soprattutto a Patrick Zaki, il giovane attivista, ricercatore egiziano di 27 anni, dell’università di Bologna, arrestato il 7 febbraio scorso e tutt'oggi detenuto senza un regolare processo nelle carceri di Al-Sisi il quale in questi quattro anni e mezzo ha detto solo bugie e inscenato depistaggi ivi compreso l’omicidio di cinque innocenti ingiustamente accusati dell’omicidio di Giulio.
Da più di un anno, da quando cioè sono stati iscritti nel registro degli indagati sei agenti della National Security (il servizio segreto civile egiziano) accusati del sequestro di Giulio, il regime di Al-Sisi ha interrotto ogni collaborazione giudiziaria con la procura di Roma che attende ancora gli esiti di alcune rogatorie.
La verità è che da quando il corpo di Regeni è stato “ritrovato”, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte non hanno fatto altro che ripetere come un mantra che “non ci accontenteremo di meno che della verità”; “che il caso Regeni è in cima all'agenda di governo” ma di fatto non hanno mosso un dito contro il regime del boia al-Sisi .
Occorre invece, come hanno indicato fin da subito il PMLI e “Il Bolscevico”, interrompere immediatamente tutte le relazioni diplomatiche e tutti gli accordi economici, politici, commerciali e militari con il regime egiziano, promuovere azioni in tutte le sedi internazionali per accusarlo di violazione dei diritti umani e applicargli le relative sanzioni e pretendere che altrettanto facciano le autorità della UE.
Bisogna costringere il governo italiano a chiedere il rilascio immediato di Patrick Zaki che si trova dal 7 febbraio 2020 in detenzione preventiva fino a data da destinarsi. Rischia fino a 25 anni di carcere per dieci post di un account Facebook che la sua difesa considera ‘falso’, ma che hanno consentito alla magistratura egiziana di formulare pesanti accuse di “incitamento alla protesta” e “istigazione a crimini terroristici”.
 

17 giugno 2020