Gli “Stati generali” schierati con le imprese capitalistiche
Collaborare col governo Conte vuol dire aiutare il regime capitalista neofascista a uscire dalla crisi sacrificando gli interessi delle masse lavoratrici e popolari
La Confindustria vuole di più
Anticapitalisti, uniamoci contro il capitalismo e il suo governo, per il socialismo e il potere politico del proletariato
Dei nove giorni degli “Stati generali” che Conte ha convocato a Villa Pamphili i più importanti sono stati senz'altro il secondo, che ha visto l'incontro con le organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil la mattina, le altre il pomeriggio, tra le quali anche Usb, Cobas, Unicobas, Cub), e il quarto, in cui si è svolto l'incontro con Confindustria e le altre organizzazioni imprenditoriali dell'industria, dei trasporti e delle costruzioni. Sicuramente sono stati i più significativi per capire da che parte si schiera il suo governo nel conflitto di classe tra gli interessi del proletariato e delle masse lavoratrici e popolari, da una parte, e quelli della borghesia e del padronato, dall'altra, che si è riacutizzato durante la pandemia, al di là della retorica nazionalista che vuole “tutti gli italiani nella stessa barca”.
In questo conflitto Conte si colloca in apparenza in una posizione di intermediazione, e anzi con questi “Stati generali” ha voluto accreditarsi come un soggetto “super partes”, un “garante” politico capace di conciliare in un unico progetto riformista nazionale le richieste e le pressioni più svariate provenienti delle “parti sociali”, in particolare dai sindacati e dal padronato. Ma in realtà la sua scelta di fondo è nettamente dalla parte delle imprese, e il suo dialogo coi sindacati è funzionale solo al tentativo di cooptarli in un “patto sociale” per salvare il sistema capitalista italiano dalla bancarotta. Lo si è capito già dal discorso introduttivo all'incontro con i sindacati nella giornata del 15 giugno, in cui ha presentato le linee di fondo del “Piano di rilancio” abbozzato dal governo, che dopo gli “Stati generali” dovrà essere messo a punto per fare da base, a settembre, al progetto più ristretto da presentare in sede europea per avere accesso ai miliardi del “Recovery fund”.
L'incontro di Conte con le organizzazioni sindacali
Alle organizzazioni sindacali Conte ha offerto il salario minimo, la detassazione dei rinnovi contrattuali, un “documento unico di regolarità contributiva su appalti e subappalti” (a compensazione, si presume, della revisione o abolizione del codice degli appalti), un non meglio precisato “contrasto al caporalato e al lavoro nero”, l'incentivazione del welfare contrattuale e la “promozione della contrattazione di secondo livello”. È palese, nel complesso di queste proposte, l'adozione della linea confindustriale che punta a spostare il peso della contrattazione dal livello nazionale a quello aziendale e individuale, al fine di abolire prima o poi del tutto i contratti collettivi, nonché la linea dello sblocco e della deregolamentazione delle “grandi opere” divoratrici di risorse e di ambiente.
Sul piano normativo il premier offre la “rimodulazione dell'orario di lavoro”, anche in funzione di un aumento del telelavoro da casa, o “smart working”, che non ha nulla a che vedere con la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, tema riproposto con forza anche dalla pandemia, ma anzi prefigura nuove forme di sfruttamento ed alienazione del lavoro. Si parla poi di inserimento lavorativo dei giovani, ma promettendo solo di eliminare “le fattispecie più precarie” dei contratti. Si parla infine di “incentivare la partecipazione e la co-gestione dei lavoratori in azienda”, che mira scopertamente a guadagnare la collaborazione dei vertici sindacali con governo e padronato con la prospettiva di una loro cooptazione nei Consigli di amministrazione delle imprese sul modello tedesco.
Come hanno risposto i vertici dei principali sindacati alle offerte di Conte? Anna Maria Furlan e Carmelo Barbagallo in maniera quasi entusiastica, evocando entrambi la necessità di una sorta di nuovo “patto sociale” sul modello della “concertazione” pattuita col governo Ciampi nel 1993. In particolare la segretaria della Cisl ha proposto “un'alleanza, un patto forte tra il governo, le istituzioni, le parti sociali, per individuare 4 o 5 obiettivi prioritari su cui concentrarsi”. Il segretario Uil ha parlato di “ridisegnare il Paese con un Patto che coinvolga tutti”. Landini è stato un po' più prudente, proponendo di procedere per singoli capitoli per arrivare, dove possibile, a dei “protocolli d'intesa”.
Per il segretario della Cgil il modello è quello del “protocollo sulla sicurezza nei posti di lavoro” stipulato con governo e padronato nel pieno della pandemia. Ma in sostanza anche lui, pur proponendo un modello che “mette al centro la persona, il lavoro con i diritti, la giustizia sociale, un modello fondato sul rispetto dell’ambiente e sulla salute e la sicurezza delle persone”, non ha escluso in linea di principio l'approccio proposto da Conte: “Questo vogliamo fare e su questa base – ha ribadito in proposito - il governo deve sapere che avrà noi al suo fianco se segue queste strade: se dovesse ascoltare altre sirene avremo altri atteggiamenti”.
La “democrazia negoziale” del falco Bonomi
Ancor prima dell'incontro del 17 giugno a Villa Pamphili, Carlo Bonomi ha alzato il tiro su Conte con una serie di dichiarazioni per sottolineare l'inconsistenza del suo “Piano di rilancio” e notificargli le richieste degli industriali, riassunte in un volume col titolo “Italia 2030”: “Mi aspettavo dal governo un piano ben dettagliato con un calendario e obiettivi specifici. Questo piano non l’ho visto e sarei curioso di leggerlo”, ha ironizzato il presidente di Confindustria in un'intervista al quotidiano francese “Les Echos”, bacchettando la linea del governo che “sta scegliendo di favorire l’assistenza invece di liberare l’energia del settore privato”. E in un'altra dichiarazione ha aggiunto che “se prendiamo alcuni esempi come Alitalia ed Ilva vediamo i danni che ha prodotto la presenza dello Stato nelle imprese”: questo tanto per sgombrare subito dal tavolo qualsiasi ipotesi di ritorno ad una presenza dello Stato nelle imprese private, o peggio ancora di nazionalizzazioni di imprese in difficoltà.
Bonomi ha anticipato alla stampa anche le linee guida dell'agenda confindustriale, a cominciare dal concetto centrale di “democrazia negoziale”, intesa come “una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura”. Una concezione di stampo neocorporativo che presuppone appunto un nuovo “patto sociale” tra imprese, governo e sindacati. Non a caso al libro della Confindustria hanno collaborato economisti e intellettuali della “sinistra” liberale come Marcello Messori (dalemiano d'origine e vicino alla Cgil) e Giuliano Amato. In particolare la “democrazia negoziale” è ripresa da un saggio dell'economista Carlo Trigilia, ex ministro per la Coesione territoriale nel governo Letta.
Bonomi pretende, Conte lo rassicura
Oltre a presentare il suo modello di negoziazione, nell'incontro della quarta giornata, il falco confindustriale ha alzato ulteriormente la posta chiedendo perentoriamente che il governo paghi immediatamente i 50 miliardi di debiti arretrati con le aziende private e restituisca anche i 3,4 miliardi di accise sull'energia ancora trattenute dallo Stato. Ha chiesto anche un ulteriore taglio - e stavolta strutturale - delle tasse alle imprese; ma soprattutto ha messo sul tavolo quelle che gli industriali considerano le loro tre priorità irrinunciabili: l'aumento della produttività, con il corollario della revisione della contrattazione privilegiando quella aziendale, attraverso un “percorso dal basso tra imprese e sindacati, una visione condivisa del nuovo lavoro e i diritti alla formazione permanente e del welfare aziendale”; la “misurazione di qualità ed efficacia della spesa pubblica”, che sottintende evidentemente un suo robusto taglio; e la riduzione del debito pubblico, con un “ragionevole percorso di abbattimento del debito” di durata decennale da concordare con la Ue: il che presuppone nuove politiche di lacrime e sangue per i lavoratori e le masse popolari.
La durezza di toni di Bonomi risponde ad esigenze tattiche, per alzare il prezzo delle richieste al governo, non per farlo cadere; ben sapendo che al momento non ci sono alternative a Conte, soprattutto ora che c'è in ballo la trattativa con l'Europa per i miliardi del “Recovery fund”, del Mes e del Sure, a cui il padronato tiene moltissimo, e che il premier la sta conducendo in prima persona. Mentre un governo di “centro-destra” a guida Salvini sarebbe automaticamente tagliato fuori dalla partita, anche solo per sua stessa scelta.
Nel suo discorso introduttivo Conte si era comunque genuflesso anticipatamente al falco confindustriale, dedicando tutta l'ultima parte del suo intervento a rassicurarlo che le misure del governo “per buona parte anche consistente sono dedicate al sostegno delle imprese”, in particolare a favorire la loro ricapitalizzazione; che verso le imprese il suo governo non ha “nessun pregiudizio ideologico”, anzi condivide la filosofia di Milton Friedman secondo cui “l'obiettivo di un'impresa è produrre guadagno”; e che comunque non solo non ha “una concezione collettivista della produzione o statalista dell'economia”, ma è disposto anche a “intervenire in punta di piedi quando c'è da offrire un sostegno diretto alle aziende”.
Contro il “patto sociale” rilanciare la lotta di classe
Da quanto detto risulta perciò evidente che gli “Stati generali” di Conte si schierano nettamente con le imprese capitalistiche, e il disegno che da essi va prendendo corpo è quello confindustriale della “democrazia negoziale”, che altro non è che un nuovo “patto sociale” collaborazionista e neocorporativo tra imprese e governo da una parte e vertici sindacali dall'altra, che mira a far uscire il regime capitalista neofascista dalla crisi sacrificando gli interessi, i diritti e le conquiste delle masse lavoratrici e popolari. E restringendo ulteriormente il diritto di sciopero e di manifestazione e la democrazia borghese, come si è cominciato a sperimentare durante questa pandemia.
Questo disegno si può combattere e sconfiggere solo rilanciando la lotta di classe, nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro, nelle piazze e in tutto il Paese, contro il capitalismo e il governo trasformista e liberale del dittatore Conte che ne rappresenta e difende gli interessi di fondo, e per costruire dal basso un Grande Sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati per difendere e portare avanti gli interessi e gli obiettivi esclusivi del proletariato e di tutte le masse lavoratrici e popolari.
Gli anticapitalisti hanno il dovere di unirsi in questa lotta, al di là delle diverse posizioni politiche e partitiche, prendendo coscienza che affinché essa possa portare a conquiste avanzate e durature occorre inquadrarla nella lotta più generale e di respiro strategico per l'abbattimento del capitalismo e la conquista del socialismo. Solo il socialismo e il potere politico del proletariato potranno far uscire veramente e in maniera definitiva l'Italia dallo sfruttamento, dalla disoccupazione, dalla miseria, dalle disuguaglianze sociali e territoriali, dalle emergenze sanitarie, dalle avventure militari imperialiste e dal fascismo del XXI secolo.
24 giugno 2020