Caporalato tra Calabria e Basilicata
60 arresti, 14 aziende sequestrate per associazione per delinquere
200 braccianti, trattati come scimmie, costretti a lavorare nei campi in turni di lavoro massacranti
Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria
Associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, (ossia “caporalato”) favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Queste le gravissime accuse che hanno portato all’arresto di 60 persone riconducibili a due organizzazioni criminali operanti tra Calabria e Basilicata, precisamente nelle provincie di Cosenza e Matera.
La maxioperazione condotta dal comando provinciale della Guardia di finanza di Cosenza, scattata all’alba del 10 giugno ha visto impiegati oltre 300 uomini che, coadiuvati dai militari dei Reparti di Catanzaro e Crotone, hanno dato esecuzione all’ordinanza emessa dal gip del tribunale di Castrovillari, Luca Colitta, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica, Flavio Serracchiani.
Poste sotto sequestro anche 14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e 2 in provincia di Cosenza, insieme a 20 automezzi utilizzati per trasportare i 200 braccianti reclutati a lavorare nei campi in turni massacranti, che in base a quanto emerso dalle intercettazioni ambientali venivano chiamati “scimmie” e trattati come tali. Considerati non uomini, che grazie alla loro forza-lavoro garantiscono produttività e ricchezza al vitale settore delle filiere agroalimentari, ma animali senza diritti e dignità da spremere e sacrificare sull’altare del massimo profitto capitalistico, abbandonati alla mercé di caporali e imprenditori senza scrupoli.
Due le organizzazioni scoperte.
La prima, composta da 16 caporali che dirigevano e controllavano l’attività illecita reclutando i braccianti anche attingendo dai Cas locali e stabilendo le condizioni di impiego e trasporto presso le diverse aziende, contabilizzando le giornate che poi venivano pagate con somme di denaro di gran lunga inferiori al lavoro prestato. 8 i sub-caporali, definiti come la “longa manus” dei primi per la gestione della manodopera. 22 gli imprenditori-utilizzatori che attraverso uno sporco sistema di assunzioni fittizie, riuscivano a ottenere ingenti risparmi fiscali e previdenziali.
Coinvolto nella vicenda anche un dipendente pubblico del comune di Rossano che abusando delle sue funzioni, favoriva l’organizzazione rilasciando carte d’identità e certificati di residenza per permettere alle aziende agricole di “regolarizzare” l’assunzione dei migranti.
La seconda, composta da 13 soggetti che per garantire lo sfruttamento della manodopera a basso costo, l’immigrazione clandestina, nonché la permanenza sul territorio nazionale degli “irregolari” mediante permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, organizzava finti matrimoni salvo poi decorsi i termini di legge, attivarsi subito per avviare il procedimento di separazione e divorzio.
Una vicenda davvero ignobile perché vede ancora una volta interessati lavoratori bisognosi e indifesi scampati alla fame e alla guerra (generate dal capitalismo e dall’imperialismo) rifugiatasi nel nostro Paese per cercare condizioni di vita migliori e che invece non le trova, cadendo in fine vittima del caporalato.
Fenomeno questo, alimentato e protetto dalle istituzioni democratico-borghesi. Inclusi i governi guidati dal dittatore Conte al servizio del regime capitalista e neofascista; iniziando con l’approvazione degli infami decreti sulla sicurezza fortemente voluti dall’aspirante duce dei fascisti del XXI secolo, Matteo Salvini, che vanno immediatamente aboliti, e finendo col deludente accordo raggiunto sulla regolarizzazione dei migranti agricoli del cosiddetto decreto “rilancio”, che nonostante le lacrime ipocrite della ministra Bellanova, non è stato in grado di torcere un solo capello agli schiavisti delle campagne.
24 giugno 2020