Il caso Palamara scoperchia il marciume che c'è nella magistratura
Elezione diretta e popolare dei membri del CSM

Luca Palamara, il magistrato al centro dell'inchiesta di Perugia sullo scandalo già emerso un anno fa delle nomine pilotate ai vertici delle procure e degli intrecci perversi tra correnti della magistratura e partiti del regime neofascista, di cui abbiamo parlato ampiamente sul n. 23/2019 e sul n. 19/2020, è stato espulso il 19 giugno dall'Associazione nazionale magistrati, di cui era stato presidente tra il 2008 e il 2012.
L'ex pm della procura di Roma, ex membro del Consiglio superiore della magistratura nonché boss della potente corrente Unità per la Costituzione, è stato espulso dal Comitato direttivo centrale dell'ANM per “gravi e reiterate violazioni del codice etico”, un provvedimento mai applicato nella storia del sindacato delle toghe per un suo ex presidente: e questo sottolinea tutta la gravità della crisi che ha investito l'ordine giudiziario, dopo le dimissioni già presentate dagli attuali presidente e segretario dell'associazione, attualmente in carica solo per il disbrigo degli affari correnti, e dopo la catena di dimissioni di membri del CSM coinvolti nella stessa inchiesta. Ma in attesa che essa arrivi a processo, egli sembra avere tutta l'intenzione di non rassegnarsi a recitare il ruolo di capro espiatorio e di voler anzi trascinare con sé molti altri personaggi coinvolti nel sistema corruttivo e clientelare di cui era al centro, lasciando presagire sviluppi ancor più dirompenti della clamorosa vicenda.
Intanto, nell'apprendere dell'espulsione, Palamara ha diffuso alla stampa un documento di quattro pagine con le motivazioni difensive che a suo dire avrebbe letto alla ANM se questa non glielo avesse impedito (accusa che i vertici dell'associazione respingono in quanto procedura non prevista dallo Statuto); documento che a fronte di qualche ammissione di colpa è pieno di allusioni, accuse e chiamate in correo e che si conclude non a caso con l'avvertimento “non farò il capro espiatorio di un sistema”.
 

“Non ho mai agito da solo. Troppo facile pensarlo”
Nel documento il magistrato centra infatti tutta la sua autodifesa sull'argomento che egli non era il solo ad esercitare certe pratiche, e che la vicenda principale che ha portato alla sua espulsione – quella delle cene del maggio 2019 in un hotel della capitale in cui si decidevano i vertici delle principali procure a cominciare da quella di Roma, tra lui a nome di Unicost, diversi consiglieri del CSM oggi dimissionari, il deputato renziano del PD (oggi di IV), ex membro del CSM e referente della corrente Magistratura indipendente, Cosimo Maria Ferri, e l'ex ministro renziano Luca Lotti – faceva parte di una consuetudine “normale” e consolidata negli anni: un “sistema delle correnti” che “ora mi condanna, spesso mi insulta, perché a torto o a ragione individua in me l’unico responsabile di tutto... ma deve essere chiaro che non ho mai agito da solo. Sarebbe troppo facile pensare questo”.
“Sia la guida dell’ANM che l’attività di consigliere del CSM mi hanno portato ad avere frequenti e costanti rapporti con la politica e con il mondo istituzionale”, sottolinea Palamara, e in quella veste “ci si relaziona con gli esponenti degli altri gruppi per trovare estenuanti accordi su chi nominare capo di un ufficio, su chi mandare in Cassazione o alla DNA (Direzione nazionale antimafia, ndr) o alla commissione concorso, su come fare comunicati contro questo o quel malcapitato politico di turno”. “Tutte queste attività – e, in particolare, le nomine dei dirigenti giudiziari – sono il frutto di estenuanti accordi politici”, prosegue il magistrato, precisando che “talvolta esse conducono alla designazione di persone degnissime e meritevoli”, ma “in alcuni casi hanno seguito solo logiche di potere, nelle quali il merito viene sacrificato sull'altare dell'appartenenza”.
“Ognuno aveva qualcosa da chiedere, ognuno riteneva di vantare più diritti degli altri, anche quelli che oggi si strappano le vesti”, insiste Palamara, che a questo punto inserisce le sue - per ora solo allusive - minacce di ulteriori rivelazioni: “Penso ad esempio ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ancora oggi ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo di Unità per la Costituzione, o addirittura ad alcuni di quelli che ancora oggi siedono nell’attuale Comitato direttivo centrale e che forse troppo frettolosamente hanno rimosso il ricordo delle loro cene o dei loro incontri con i responsabili giustizia dei partiti politici di riferimento. Sarebbe bello che loro raccontassero queste storie”.
 

“Dietro ogni nomina ci sono cene e accordi tra correnti”
Il documento si conclude con l'impegno a dimettersi “solo se ci sarà una presa di coscienza collettiva ed insieme a me si dimetteranno anche tutti coloro che hanno fatto parte di questo sistema, per dare oggi la possibilità a tutti quei magistrati che ingiustamente ne sono rimasti penalizzati di attuare un reale rinnovamento della magistratura”. In una successiva intervista all'Huffington Post , Palamara ha ribadito la sua linea difensiva e le sue accuse all'intero sistema correntizio della magistratura intrecciato con la politica, rivelando che il famigerato manuale Cencelli “si applica anche alla magistratura”, che “dietro ogni nomina ci sono cene, discussioni, accordi tra correnti”, e che anche “la politica vuole contare. I laici del CSM vogliono contare. E, lo ricordo, questi ultimi sono eletti dal parlamento. Dalla politica. Non dimentichiamoci che gli ultimi vicepresidenti del CSM sono stati dei politici” (Legnini prima ed attualmente Ermini, entrambi del PD e già di area renziana, ndr).
Palamara ha rivelato anche che l'anno cruciale per l'esplosione di questo sistema e della guerra per bande che oggi dilania la magistratura è stato il 2007 (dopo che con la legge Mastella erano già stati centralizzati tutti i poteri d'inchiesta nelle mani dei capi delle procure), “quando si decise che il criterio preminente per le nomine non sarebbe stato più l’anzianità. Non si doveva optare per chi era magistrato da più tempo, ma per chi era più bravo. Ma il punto è questo: chi lo decide chi è più bravo? E da qui il carrierismo, l’attitudine di alcuni magistrati ad autoproporsi ai leader delle correnti. E tutto il resto”.
Bisognerebbe anche aggiungere che un altro anno chiave fu il 2014, quando con un decreto legge l'allora governo di Renzi, appoggiato anche da Berlusconi col quale aveva stretto il famigerato “patto del Nazareno”, abbassò l'età pensionabile dei magistrati da 75 a 70 anni, determinando una corsa a rinnovare i vertici di centinaia di procure: “Nella consiliatura a cui ho preso parte (al CSM, ndr), sono stati nominati più di mille nuovi dirigenti”, tra cui alle Procure di Milano, Napoli, Palermo “solo per citarne alcune”, sottolineava infatti il magistrato nel suo documento difensivo.
 

Segnali di nuove scosse in arrivo
Particolarmente rivelatore, in questo grave contesto, l'esempio che Palamara riporta nell'intervista riguardo le nomine alla DNA. Richiesto di precisare se si riferisse anche alla mancata nomina al suo vertice del pm antimafia Nino Di Matteo, egli non solo la conferma, precisando che “in quel caso è stato penalizzato perché non apparteneva a una corrente”; ma ha confermato indirettamente anche la recente deposizione di Di Matteo davanti alla Commissione parlamentare Antimafia in cui, riportando una confidenza fattagli dall'allora pm Ingroia, parlò del tentativo di abboccamento con la procura di Palermo che nel 2012 il Quirinale intraprese per abbuiare le intercettazioni che coinvolgevano Napolitano in margine alla trattativa Stato-mafia: quel tentativo di mediazione avrebbe dovuto avvenire proprio per tramite di Palamara, che non ha smentito né confermato, limitandosi a buttare lì un ambiguo “se mi chiameranno nelle sedi opportune a spiegare cosa facevo in quei mesi, lo riferirò”.
Che ci possano essere nuove scosse di terremoto in arrivo che allarghino lo scandalo ad altri soggetti e ambienti della magistratura lo pensano in molti e lo ha fatto capire anche il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, nell'annunciare dieci azioni disciplinari per Palamara, Ferri e altri otto magistrati già noti, tra cui i cinque ex togati del CSM dimessi l'anno scorso (Antonio Lepre, Luigi Spina, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli), l’ex pm romano Stefano Fava, l’ex pm della DNA Cesare Sirignano più due magistrati segretari del CSM, per uno dei quali la richiesta di giudizio disciplinare era già stata avanzata: “Ci sono conversazioni (intercettazioni depositate in varie tranche a Perugia, ndr) che riguardano anche consiglieri del CSM in carica. Ma dobbiamo fare un lavoro completo che consenta di selezionare le diverse condotte”, ha dichiarato Salvi. Lo stesso Palamara ha fatto depositare dai suoi legali una corposa lista di testi, tra magistrati e politici, in vista del suo processo disciplinare la cui prima udienza è convocata per il 21 luglio prossimo.
È quindi sempre più evidente che il marcio che il caso Palamara ha scoperchiato nella magistratura non può essere circoscritto a pochi magistrati corrotti e collusi con le cosche politiche borghesi, ma è solo la parte affiorante di un marciume ben più profondo e generalizzato che permea – fatta salva l'eccezione di alcuni magistrati estranei al sistema correntizio e ancora ligi all'indipendenza della loro funzione - l'intero ordinamento giudiziario in quanto parte integrante delle marce e corrotte istituzioni del regime capitalista neofascista, insieme a Quirinale, governo, parlamento e amministrazioni locali.
 

Il pericolo di un'ulteriore irreggimentazione della magistratura
Il pericolo ora è che da questa crisi – come regolarmente è successo dopo ogni crisi istituzionale del regime neofascista – il sistema giudiziario ne esca ancor più a destra, verso una magistratura ancor meno indipendente e più assoggettata al potere politico di adesso, visto che lo scandalo è cavalcato proprio da quelle forze della destra neofascista, capeggiata dal duce dei fascisti del XXI secolo, Salvini, con a fianco Berlusconi e Meloni, a cui si aggiungono i renziani, che da sempre hanno contribuito in prima fila al sistema correntizio e corruttivo imperante ai vertici della magistratura e del CSM. Le stesse forze che ora ritornano a bomba con il vecchio cavallo di battaglia piduista della separazione delle carriere tra giudici e pm per arrivare una volta per tutte ad assoggettare completamente il potere giudiziario a quello del governo e dei partiti politici; approfittando della difficoltà in cui si dibatte la “sinistra” borghese, coinvolta in prima fila in questo scandalo, e dell'ambiguità del M5S sul tema della separazione delle carriere e dell'indipendenza dei magistrati.
“Dobbiamo stare attenti che questa non sia l’occasione per un attacco all’indipendenza della magistratura“, ha detto infatti in merito alla ventilata “riforma” del CSM il segretario dimissionario dell’ANM Giuliano Caputo. Un concetto su cui ha insistito non senza pessimismo anche il presidente dimissionario Luca Poniz: “Speriamo di non dover ricordare il principio di autonomia che il CSM è chiamato a tutelare e che ha legame con la democrazia”.
Per noi marxisti-leninisti l'indipendenza della magistratura è solo un'illusione, in quanto in una società divisa in classi anche la magistratura riflette l'ideologia e gli interessi della classe dominante, cioè oggi della classe dominante borghese in camicia nera. Ciò non toglie che seguendo l'insegnamento di Lenin dobbiamo batterci e chiamare a battersi tutte le forze anticapitaliste, antifasciste e democratiche, contro il nero disegno neofascista e piduista della separazione delle carriere e della controriforma del CSM e per preservare per quanto possibile quel minimo di indipendenza dei giudici che ancora resiste agli assalti del potere esecutivo. In questo quadro è giusto rivendicare l'elezione diretta e popolare dei membri del CSM, sottraendo così dalle grinfie dei governi e dei partiti borghesi questo importante organo preposto a giudicare i magistrati e decidere sulle loro carriere e destinazioni.


1 luglio 2020