Per accudire il primo figlio
37mila lavoratrici costrette a lasciare il lavoro
Il governo non assicura i servizi per la prima infanzia e i servizi di cura
Il 24 giugno in videoconferenza organizzata dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro in collaborazione con la Consigliera nazionale di parità, è stata presentata la Relazione 2019 sulle convalide delle dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri.
Nel corso del 2019, sono stati complessivamente emessi 51.558 provvedimenti di convalida, un numero superiore rispetto al 2018 che risultavano 49.451 (+ 4%). I provvedimenti di dimissioni che sono stati adottati dagli Ispettorati territoriali del lavoro sono 47.759 (circa 93%); quelli dei Servizi ispettivi della Sicilia 1.883 (circa 4%); quelli della Provincia autonoma di Bolzano 1.092 (2%) e quelli della Provincia autonoma di Trento 824 (circa 2%).
La relazione evidenzia che la maggior parte dei provvedimenti ha riguardato, come di consueto, le lavoratrici madri. Le donne che hanno abbandonato il lavoro nel 2019 sono state 37.611 circa il 73% del totale percentuale che risulta invariata a quella del 2018. Un altro dato costante alle relazioni degli anni precedenti è che la maggior parte delle lavoratrici che si licenziano hanno un figlio solo o sono in attesa del primo: il 60% circa del totale.
La motivazione più ricorrente che spinge le lavoratrici madri ad abbandonare il lavoro si legge nella relazione è la “difficoltà di conciliare l'occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole” (20.730 casi, il 35%). Nel particolare questa motivazione è suddivisa in: assenza di parenti di supporto in 15.505 casi, pari a circa il 27% del totale; elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (esempio asilo nido o baby sitter) in 4.260 casi pari al 7% del totale; mancato accoglimento al nido in 965 casi pari a circa il 2% del totale.
Su 10.856 lavoratori e lavoratrici che adducono la causa del loro licenziamento “volontario” all'azienda in cui prestano la loro attività lavorativa ben 6.713 casi (in prevalenza donne) hanno come motivazione le condizioni di lavoro particolarmente gravose e difficilmente compatibili con la cura dei figli.
Emerge da questi dati come sia stretta la correlazione fra l'occupazione femminile e l'esistenza o meno di servizi alla prima infanzia e di cura come gli asili nido, atti a sollevare le donne dall'oneroso carico della cura dei figli. Ma tali servizi sono insufficienti nel nostro Paese, prendiamo ad esempio gli asili nido, fra pubblici e privati coprono a malapena il 25% dei bambini sotto i tre anni.
Un'esigenza ignorata da tutti i governi sia di destra sia di “centro-sinistra”. I tagli alla spesa pubblica si sono abbattuti come una mannaia anche sui servizi alla prima infanzia, nati per essere pubblici grazie alle dure lotte del movimento operaio e femminile negli anni '70, oggi sono comparati a quelli privati e con rette impossibili per molte famiglie.
Anche il governo del dittatore antivirus Conte non si distingue dai suoi predecessori. In tutti i decreti ministeriali emanati in fase di “ripartenza” dall'emergenza sanitaria non ha previsto lo stanziamento di un solo centesimo per la realizzazione o il potenziamento dei servizi all'infanzia e di cura. Non se ne parla neanche nel “Family Act” elaborato su proposta della ministra delle Pari opportunità Elena Bonetti (ex PD passata a Italia Viva di Renzi) che, parole di Conte: “sosterrà la genitorialità e servirà a contrastare la denatalità, favorire la crescita dei bambini e giovani e la conciliazione della vita familiare con il lavoro, soprattutto femminile”, e come? Contrapponendo agli asili nido e ai servizi per la prima infanzia premi ai padroni per promuovere una più pressante flessibilità lavorativa per le lavoratrici, con tanto di smart working e telelavoro. Nella speranza di prendere due piccioni con una fava: una donna che lavora da casa, secondo il dittatore antivirus Conte, può prendersi cura anche dei figli.
Alla luce di questi dati allarmanti sull'abbandono del lavoro da parte delle donne ci auspichiamo che il movimento delle donne, sceso nuovamente in campo il 26 giugno su invito di NUDM contro il governo Conte e le discriminazioni di sesso e di genere, abbracci anche la battaglia strategica per la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, necessari per strappare le donne alla disoccupazione e alla doppia schiavitù.
8 luglio 2020