Rapporto Istat 2020 sulla situazione del Paese
Il sistema sanitario nazionale era impreparato all'emergenza coronavirus
Le disuguaglianze sono aumentate
Nel rapporto Istat 2020 sulla situazione del Paese, presentato il 3 luglio a Montecitorio dal presidente dell'Istituto Gian Carlo Blagiardo, emerge chiaramente che il sistema sanitario nazionale si è trovato impreparato ad affrontare l'emergenza sanitaria per il coronavirus.
Le cause sono da attribuire ai tagli alla spesa pubblica che hanno riguardato il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) nel corso degli ultimi 15 anni, in particolare rileva il Rapporto: “dal 2010 al 2018 in media annua la spesa sanitaria pubblica è aumentata solo dello 0,2 per cento e il numero di posti letto è diminuito dell’1,8 per cento”. Ridotta anche la spesa per gli investimenti delle Aziende Sanitarie scesi da 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi nel 2018. I tagli alla spesa pubblica hanno interessato anche il personale che risulta fortemente diminuito: nel periodo 2012-2018, il comparto sanità ha registrato una riduzione di 25.808 unità, i dati riguardano solo i dipendenti a tempo indeterminato, oggi il nostro Paese dispone di circa 40 medici ogni 10 mila residenti, un dato inferiore rispetto alla Germania che dispone di 42,5 medici ogni 10 mila residenti. Il confronto con la Germania peggiora ulteriormente per quanto riguarda il personale infermieristico: 58 infermieri per ogni 10 mila abitanti contro i 129 della Germania.
Al 31 dicembre del 2019, con la pandemia alle porte, l’Italia contava su 66.481 medici specialisti nell’area dell’emergenza, delle malattie infettive, di quelle dell’apparato respiratorio o cardiovascolare e della medicina interna; appena il 35% del totale dei medici specialisti, aumentati solo del 5,2% rispetto al 2012, con ampie differenze per tipo di specializzazione: si sono accresciuti gli anestesisti, gli specialisti dell’emergenza e delle malattie dell’apparato cardiovascolare, mentre si è ridotta la già esigua dotazione di specialisti delle malattie infettive e tropicali.
Il Rapporto sottolinea anche la notevole diminuzione dei posti letto ospedalieri: nel 1995 erano 356 mila, pari a 6,3 per 1.000 abitanti che nel 2018 sono drasticamente scesi a 211 mila, con 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti.
Anche l’assistenza territoriale, che ruota attorno alla figura del medico di medicina generale ossia il cosiddetto “medico di famiglia”, ha subito un ridimensionamento: nel 2018 il personale addetto alle cure primarie ammontava a circa 43 mila medici di medicina generale e 7.500 pediatri di libera scelta, con una diminuzione, rispetto al 2012, di 2.450 unità per i primi e 157 per i secondi.
I tagli alla sanità pubblica hanno investito anche le strutture gestite dalle Asl che erogano l’assistenza clinica specialistica e diagnostica strumentale: secondo il dato del 2017 sono complessivamente 5,8 ogni 100 mila abitanti, con una diminuzione dalle 6,4 del 2009, mentre le strutture gestite dal privato in regime di convenzione con il SSN sono 8,8 ogni 100 mila abitanti, laddove nel 2009 erano 9,7. Infine, nel corso degli anni, si è osservata una riduzione dell’assistenza ambulatoriale: nel 2017, sono state effettuate 1 miliardo e 257 milioni di prestazioni, il 6,5% in meno di quelle effettuate nel 2009. Tutto questo osserva il Rapporto “è avvenuto in un Paese dove la popolazione anziana – ossia la componente naturalmente più propensa ad esprimere una domanda in ambito sanitario – si è accresciuta, tra il 2002 e il 2019, di 3,1 milioni di ultrasessantacinquenni, più della metà dei quali ultraottantenni (1,8 milioni)”.
Oltre all'inadeguatezza del sistema sanitario nazionale di fronte all'emergenza sanitaria dovuta al coronavirus il Rapporto Istat rileva un'altra emergenza emersa prepotentemente nella pandemia, quella rappresentata dalle diseguaglianze. “Sul fronte sia della povertà assoluta che delle disuguaglianze nel mercato del lavoro – afferma il Rapporto -, l’Italia è entrata nell’emergenza COVID-19 dopo aver vissuto un periodo di costante peggioramento della situazione”. A seguito della recessione del 2009, si legge nel Rapporto: “l’incidenza della povertà assoluta è raddoppiata nel 2012, triplicandosi per bambini e giovani, e peggiorando ulteriormente nel Mezzogiorno e per le famiglie operaie e con capofamiglia disoccupato. Da quel momento in poi il livello non si è più ridotto fino al 2019, allorché l’incidenza tra le famiglie è passata dal 7,0% del 2018 al 6,4% e quella individuale dall’8,4 al 7,7%”. Le disuguaglianze sono aumentate anche sul piano occupazionale: gli uomini, i giovani di 25-34 anni, il Mezzogiorno e i meno istruiti non hanno ancora recuperato i livelli e i tassi di occupazione del 2008. Inoltre, oggi l'emergenza coronavirus ha messo in crisi occupazionale i servizi, in particolare il turismo e la ristorazione, settori dove la presenza femminile è più massiccia e purtroppo molto spesso precaria e irregolare. A questo va aggiunto la crescita del part time involontario, così come della segregazione di genere delle professioni, contribuiscono a disegnare un quadro di diseguaglianze che colpiscono maggiormente giovani, donne e Mezzogiorno. Il Rapporto spiega: “Nella difficile situazione economica generata dalle misure di contrasto alla pandemia, la presenza di una consistente porzione di occupazione non regolare rappresenta un ulteriore fattore di fragilità per molte famiglie. Si stima che siano circa 2,1 milioni le famiglie dove è presente almeno un occupato irregolare - oltre 6 milioni di individui - e la metà di esse include esclusivamente occupati non regolari”.
Il Rapporto Istat conferma ciò che il PMLI denuncia da sempre. Del resto l'emergenza sanitaria provocata dal coronavirus ha fatto emergere con prepotenza i mali del capitalismo aumentando le disuguaglianze sociali, territoriali e di sesso già esistenti nel nostro Paese. I quasi 35.000 morti, il personale medico, infermieristico e ospedaliero costretto a lavorare in turni massacranti, in alcuni casi mandati allo sbaraglio senza avere gli opportuni dispositivi sanitari finanche le mascherine, in reparti sprovvisti di posti letto e dei macchinari essenziali, necessari per affrontare l'emergenza sanitaria in corso hanno messo a nudo le tragiche conseguenze dello smantellamento del Sistema sanitario nazionale pubblico sistematicamente attuato dai governi sia di “centro-destra” che di “centro-sinistra” del regime neofascista capitalista, nessuno escluso, tantomeno il governo del dittatore antivirus Conte, che non hanno fatto niente per prevenire le emergenze sanitarie se non distruggere il SSN pubblico con il regionalismo, spezzettandolo in ventuno regni autonomi a favore della sanità privata.
15 luglio 2020