A Piacenza i carabinieri spacciavano, torturavano, ricettavano ed estorcevano
Sequestrata la caserma dei carabinieri camorrista
I carabinieri intercettati: “Noi come Gomorra, siamo irraggiungibili”. I superiori non controllavano o erano conniventi.
L'Arma è un corpo marcio
Per la prima volta nella storia del nostro Paese, un'intera caserma viene sequestrata dalla Magistratura.
I fatti, gravissimi ma non senza precedenti, sono avvenuti alla Caserma “Levante” di via Caccialupo, in pieno centro a Piacenza, dove sostanzialmente tutti (fatta eccezione per una recluta che si trovava lì per un periodo di prova ed in seguito trasferita) i carabinieri in servizio, svolgevano la loro attività criminale, debitamente coperti per uno scambio di reciproci favori, dai loro superiori.
Ad oggi sono sei i militari arrestati: oltre al capo della banda Giuseppe Montella, gli appuntati Salvatore Cappellano, Angelo Esposito, Giacomo Falanga e Daniele Spagnolo, mentre il comandante di stazione Marco Orlando è ai domiciliari ed anche il capo della compagnia piacentina Stefano Bezzeccheri è indagato. Vi sono inoltre altri quattro sottoposti a misure cautelari ai quali si aggiungono dodici civili finiti sotto inchiesta di cui sette in manette, quattro ai domiciliari e uno denunciato a piede libero. La caserma è stata commissariata e ora ha un nuovo comandante e altri appuntati.
I magistrati Matteo Centini e Antonio Colonna, coordinati dal procuratore piacentino Grazia Pradella, hanno disposto gli arresti dopo sei mesi di indagini condotte dalla Guardia di Finanza; procedimento scaturito dalle dichiarazioni di un ufficiale dell’Arma che, nell’ambito di una testimonianza per un’altra inchiesta, aveva rivelato fatti inquietanti avvenuti alla “Levante” che gli erano stati presentati da un confidente il quale, convocato, aveva a sua volta riferito alcune frasi ricevute da uno spacciatore pestato dai carabinieri poi finiti sotto inchiesta, riconoscendo fra i picchiatori proprio l’appuntato Giuseppe Montella.
I carabinieri artefici di una vera e propria associazione a delinquere
I reati contestati vanno dal traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, all’arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falsità ideologica e le intercettazioni hanno evidenziato una prassi camorristica sia nella pratica dei reati, sia nel modo di porsi e negli atteggiamenti dei carabinieri, come l’ostentazione della ricchezza ed il denaro sopra a tutto, unito al compiacimento della loro stessa attività che essi stessi definivano “una associazione a delinquere, una piramide”, certi anche dell’impunità che probabilmente qualcuno gli prometteva. “A noi non arriveranno mai”, si confidavano con regolarità.
Nei fatti la banda dei carabinieri, sequestrava droga – ed in particolare marjuana e cocaina – dagli spacciatori concorrenti, trattenendosene parte per sé e rivendendola attraverso una rete di pusher alle loro dipendenze, in un territorio nel quale avevano “l’esclusiva”. Chi sgarrava, veniva arrestato e picchiato e poi spesso integrato nella loro stessa rete, ma solo dopo essersi fatto fare un “selfie” con i propri aguzzini. Inoltre non si facevano mancare niente: decine di auto e moto costose a volte estorte con violenza alle concessionarie, ed anche festini a base di droga e sesso in caserma dove erano costrette a parteciparvi prostitute e transessuali, proseguite anche nel periodo del lockdown quando Piacenza era una città blindata a causa del Covid in piena zona rossa.
In quella occasione trapela significativamente che il “sistema” di Montella e compagnia è coperto e protetto, e che, più in generale, la complicità nell’”Arma” è pressoché totale: in sostanza la centrale dei carabinieri viene allertata da una telefonata nella quale una vicina del Montella denuncia la festa che si sta tenendo nell'abitazione dell'appuntato, ma invece di intervenire, i carabinieri chiamano lo stesso Montella offrendosi di fargli sentire la voce – anonima - della telefonata di denuncia per fargli capire chi potesse essere stato a fare la soffiata, e porgono le proprie scuse per non aver stroncato sul nascere la segnalazione.
Una complicità che però vigliaccamente si è sgretolata negli interrogatori, quando Montella non ha esitato a chiamare in causa tutti gli altri rifiutando di essere considerato il capo della banda, mentre gli altri carabinieri hanno immediatamente puntato il dito contro di lui; due modi diversi, smentiti entrambi dalle intercettazioni che non lasciano adito a dubbi circa il coinvolgimento di tutti, col fine di trovare la via giusta per guadagnare qualche sconto di pena addossando le responsabilità maggiori agli altri.
Un sistema in odore di ‘Ndrangheta, coperto e protetto dai superiori
Ma la copertura va oltre rispetto ai colleghi sul campo. Infatti, tra la caserma Levante ed il Comando Provinciale dei Carabinieri dal quale essa stessa dipende, ci sono poco più di due chilometri, ed appare evidente che là dentro non si potesse non sapere nulla di quanto da tempo stava accadendo a Piacenza. La militaristica e asfissiante gerarchia interna poi ha a disposizione strumenti per monitorare cosa avviene nelle caserme come le visite periodiche del comandante della compagnia e soprattutto le ispezioni settimanali, durante le quali per regolamento devono essere approfonditi tutti gli aspetti legati alla burocrazia interna e alla gestione penale di ciascuna stazione.
Sul tema dei controlli il Gip Milani afferma che il Maggiore Bezzecchieri “Veniva informato costantemente delle operazioni in corso e, ciò nonostante, non aveva mai sollevato eccezioni arrivando addirittura a complimentarsi con loro. Era ossessionato dalle prospettive di carriera”.
In realtà ciò basterebbe a smentire che, come risuona prepotente in ogni tv o giornale da qualche giorno, “l’Arma è un corpo sano”. Nelle 326 pagine dell’ordinanza del gip Luca Milani si legge che l’andazzo non era affatto un segreto. Ne era a conoscenza il superiore diretto, il maggiore Stefano Bezzecchieri, comandante della Compagnia Piacenza che spingeva l’appuntato Montella a fare più arresti con garanzia dell’impunità, perché, si legge nell’ordinanza, “in presenza di risultati in termini di arresti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai loro sottoposti”. Una pratica quindi “legalizzata” nell’Arma per vantaggi e carriere sulla quale nessuno dei tre comandanti provinciali che si sono succeduti a Piacenza dal 2017 ad oggi (Corrado Scattaretico, Michele Piras – ora capo della segreteria generale della neo ministra delle infrastrutture e dei trasporti, e Stefano Savo) ha avuto nulla da dire.
Insomma, chi sapeva nella migliore delle ipotesi ha taciuto, se non coperto, e la procuratrice ha chiesto il sequestro degli ordini di servizio delle operazioni di Montella ed i registri delle uscite per capire quanto i superiori sapessero di come veniva gestita la stazione, ed anche la copia dei certificati di encomio formale che il gruppo, per gli arresti a ripetizione, riceveva da Bologna, su proposta del comando provinciale di Piacenza, e che erano un bel fertilizzante alle carriere di tutti.
Insomma l’inchiesta con tutta probabilità ha dimensioni enormi, e contorni ancora da definire.
Su La Repubblica
infatti, Roberto Saviano scrive che l’attività dei carabinieri di Piacenza difficilmente può essere stata realizzata senza accordi con la ‘Ndrangheta, la cui presenza è già nota a Piacenza almeno dal 2019 quando fu arrestato Giuseppe Caruso, il presidente del Consiglio comunale fascista di Fratelli d’Italia.
Secondo lo scrittore infatti la gestione della piazza farebbe pensare addirittura ad accordi con la malavita organizzata, e lo dimostrerebbe anche il fatto che i carabinieri della "Levante", quasi tutti di origine campana e calabrese, hanno un legame strettissimo con gli spacciatori Daniele Giardino e i suoi fratelli; una pista che porterebbe direttamente alle organizzazioni criminali calabresi e alla mediazione con loro. “Il patto tra crimine organizzato e carabinieri infedeli è la parte più oscura e che merita approfondimento di questa incredibile storia”, così Saviano chiude il suo articolo.
L’Arma è marcia come gli altri apparato della macchina statale borghese
I fatti di Piacenza sono forse particolari per le modalità con le quali – alla luce del sole – la banda svolgeva la propria attività criminosa, ma assolutamente non isolati: basti pensare alle ultime vicende che hanno gettato ombre – o meglio certezze – sulla “Benemerita” e sulle altre forze dell’ordine borghese: solo per fare alcuni esempi, il caso Cucchi che, dopo un decennio di menzogne, depistaggi, calunnie e falsificazioni che ha coinvolto anche i massimi vertici della catena di comando, si è chiuso con diverse condanne di militari, oppure l’inchiesta ancora in corso ai 26 militari dell’Arma di Aulla (Massa Carrara), accusati di 188 capi di imputazione diversi, per gli abusi pestaggi, minacce e violenza sessuale compiuti in divisa anche nei confronti di stranieri. Nel mezzo, tantissimi altri casi analoghi di abusi, soprusi, carriere, corruzione e favori che spingono l’Arma dei Carabinieri, al pari delle altre “forze dell’ordine”, al destino comune di ogni apparato della macchina statale borghese.
Come scritto recentemente sulle colonne di questo giornale a proposito dell’inchiesta “Palamara” che ha coinvolto le alte sfere della magistratura, in una società divisa in classi come la nostra, in tutti gli organismi di regime si riflettono l’ideologia, gli interessi e la morale della classe dominante, oggi dunque quelli della borghesia in camicia nera.
Ecco perché la corruzione, l’arricchimento, il clientelismo ed il potere a qualsiasi costo sono “valori” borghesi che permeano anche le “forze dell’ordine”, le prime fra l’altro, il braccio armato che si solleva in armi non solo contro la cosiddetta “criminalità”, ma anche reprimendo proteste e lotte sociali, dal G8 di Genova ai frequenti scioperi dei lavoratori o le manifestazioni studentesche, per difendere gli interessi di della classe borghese al potere.
Ecco perché questa vicenda non ci sorprende. Procedano pure le indagini e si accertino le responsabilità anche in questo vergognoso caso; per risolvere la questione però ci vuole ben altro; una società socialista con un suo Stato socialista, e con un esercito rosso composto dal popolo e che abbia come unico scopo la difesa degli interessi e del benessere del popolo stesso.
29 luglio 2020