Elezioni presidenziali in Bielorussia
Il dittatore revisionista Lukashenko rieletto con la frode
Le masse oppositrici scendono in piazza chiedendo le sue dimissioni. Gli operai in sciopero gli gridano: “Vattene via”. Le donne in prima fila. Quattro morti, centinaia i feriti, 80 i dispersi, oltre sette mila detenuti, tra cui i leader operai degli scioperi
Putin cerca di mantenere il controllo della Bielorussia, che è conteso dagli Usa e dalla Ue
Il 17 agosto Alexander Lukashenko, appena rieletto presidente della Bielorussia per la sesta volta consecutiva nelle contestatissime elezioni del 9 agosto, in visita alla fabbrica di trattori Mzkt di Minsk era accolto dagli operai in sciopero da fischi e grida di “vattene, vattene”. La sua risposta era che non ci sarebbero state nuove elezioni e che un nuovo voto ci poteva essere solo "dopo una riforma costituzionale e non sotto pressione della piazza" e il 31 agosto annunciava che i giudici della della Corte Costituzionale stavano già lavorando a modifiche della principale legge del Paese che successivamente sarebbe stata pubblicamente discussa e sottoposta al voto di approvazione. La speranza che la protesta si sgonfi nel tempo è una delle tattiche del regime revisionista di Minsk, assieme a quella della repressione delle manifestazioni dell'opposizione. Nel breve periodo nessuna delle due tattiche funzionava, a partire dagli scioperi che proprio il 17 agosto si svolgevano nelle acciaierie, nelle fabbriche automobilistiche, energetiche e minerarie, alla radiotelevisione pubblica, negli ospedali rivendicando la cessazione delle violenze da parte delle forze repressive e la consegna alla giustizia dei responsabili, il rilascio dei prigionieri politici, le dimissioni del presidente, il riconoscimento delle elezioni come illegittime e la nomina di nuovi candidati. Un appuntamento quotidiano, mantenuto fino a questo momento, era diventato nei giorni precedenti il concentramento in piazza Indipendenza a Minsk, nel tardo pomeriggio, e il corteo fino al carcere di Okrestina per chiedere la liberazione dei fermati.
Secondo i dati finali della Commissione Elettorale Centrale resi noti il 14 agosto, il presidente uscente è stato confermato nella carica con l'80% dei voti, una vittoria nettissima sulla principale rivale, la leader dell'opposizione liberale Svetlana Tikhanovskaya arrivata al 10% dei consensi. Una vittoria che il dittatore revisionista Lukashenko si era preparato anche con l'arresto o l'esclusione dal voto dei principali leader dell'opposizione liberale che ancor prima del 9 agosto avevano fatto partire una protesta contro la farsa elettorale apparecchiata dal regime revisionista.
Così come nelle ultime tre elezioni presidenziali, l'opposizione contestava l'esito del voto e nei giorni tra quello del voto, il 9 agosto, e la proclamazione dei risultati prendeva il via una valanga di proteste, con le donne spesso in prima fila; la rivale, prima di riparare nella vicina Lituania, sosteneva di aver avuto più del 60% dei consensi, le masse oppositrici scendevano in piazza accusando l'inamovibile presidente, incollato alla sua poltrona dal 1994, di essere stato rieletto con la frode e chiedendo le sue dimissioni. Una protesta che non è stata fermata dalla criminale repressione poliziesca che in pochi giorni causava quattro morti, centinaia i feriti, 80 dispersi e oltre settemila detenuti, tra cui i leader operai degli scioperi proclamati nelle fabbriche e nel pubblico impiego. Dopo lo sciopero e le manifestazioni del 17 agosto quasi tutti gli arrestati sono stati liberati ma fra il centinaio ancora in carcere ci sono una parte dei leder operai e dell'opposizione.
La situazione in Bielorussia "si sta stabilizzando", assicurava il presidente russo Vladimir Putin il 27 agosto, ma intanto minacciava un intervento ricordando che sarebbe previsto dagli accordi nel settore della sicurezza tra i due paesi: Lukashenko "vorrebbe che gli fornissimo assistenza adeguata, se necessario. Ho detto che la Russia adempirà a tutti i suoi obblighi". E annunciava di aver formato una riserva di agenti delle forze dell'ordine che possono andare in Bielorussia, ma "non ci andranno finché gli estremisti non cominceranno ad appiccare il fuoco ad auto e case". Se ci fossero problemi in Bielorussia ci pensa il nuovo zar del Cremlino che ritiene il paese una appendice della Russia, un ultimo tassello tra la Lituania, la Polonia e l'enclave russa di Kaliningrad del quale non può perdere il controllo. Finora erano andati a vuoto i suoi tentativi di annettere formalmente il paese che è sempre stato una repubblica autonoma, tentativi bloccati da Lukashenko che guadagnatosi nel 1994, dopo la dissoluzione dell'Urss sociaimperialista conclusa da Gorbaciov, la carica di primo presidente della appena nata Repubblica e si è costruito a Minsk un potere personale finora inattaccabile. Non è detto però che l'aiuto che ha chiesto a Putin sia gratuito; intanto incassava le congratulazioni del presidente russo: "noi consideriamo valide queste elezioni, ne riconosciamo la legittimità. Mi sono congratulato con Aleksandr Grigoriyevich Lukashenko per la sua vittoria".
Com'è loro abitudine sostengono la sua dittatura fascista il partito “comunista” revisionista della Bielorussia nonché i partiti revisionisti di altri paesi, al punto che 17 partiti revisionisti dell'ex repubbliche sovietiche hanno voluto esprimere pubblicamente con un documento la loro solidarietà al regime bielorusso. A conferma che, come avvertiva Mao, i revisionisti al potere finiscono per istaurare la “dittatura della borghesia, una dittatura della grande borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano”
La ricchezza della Bielorussia si basa su agricoltura e industria meccanica e sulla raffinazione del petrolio russo acquistato a prezzo di favore e rivenduto sul mercato europeo con profitti che servivano a mantenere il meccanismo di uno stato sociale andato in crisi con la fine degli sconti di Mosca, il calo dei prezzi dei prodotti energetici e dei profitti che anche a Minsk sono stati affrontati con privatizzazioni, tagli ai servizi e alle pensioni, ai diritti dei lavoratori per attirare investimenti stranieri. Una caduta del livello di vita e di lavoro delle masse popolari che ha aperto spazi di azione alle opposizioni borghesi e alla propaganda imperialista che individuava un punto debole nei domini della concorrente Russia proprio al suo confine; una situazione che ha alimentato un malcontento fra le masse che Lukashenko sconta dopo l'ennesima forzatura per mantenere il potere.
Lo spregiudicato dittatore revisionista ha provato a giocare su diversi tavoli e ha ricercato nuovi partner da affiancare intanto alla Russia. Primo fra tutto la Cina di Xi Jinping, attivissima nel cogliere le occasioni per entrare anche nei mercati dei paesi dell'Est europeo con la nuova Via della Seta che arriva fino alla Bielorussia. E non a caso Xi è stato il primo capo di Stato a congratularsi col riconfermato presidente e a sottolineare il partenariato strategico e militare definito tra i due paesi, una alleanza strategica comprata dai socialimperialisti di Pechino a suon di centinaia di migliaia di dollari in investimenti. Ha provato a giocare la carta dell'imperialismo americano con la visita a Minsk giusto un anno fa del Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e nello scorso febbraio del segretario di Stato Mike Pompeo, guadagnandosi a maggio un rifornimento di petrolio per coprire la riduzione di quello russo e il 10 agosto un comunicato post elezione che nello stile roboante della Casa Bianca assomiglia a un buffetto di circostanza: gli Usa sono "profondamente preoccupati per lo svolgimento delle elezioni presidenziali che non è stato libero ed equo". Il 20 agosto Pompeo aggiungerà un monito a che non ci siano interventi esterni che una settimana dopo Putin sbeffeggerà con la minaccia di intervento e con una mano sulla spalla del figliol prodigo bielorusso. Putin cerca di mantenere il controllo della Bielorussia e non è detto che l'imperialismo americano si limiti a stare a guardare, può sempre contare sull'azione dei regimi reazionari dei confinanti Polonia e Lituania nonché della Nato per partecipare alla contesa che vede in campo anche la Ue.
La potenza imperialista europea minacciava di non riconoscere l'esito del voto e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, annunciava il 19 agosto l'adozione di sanzioni mirate contro i responsabili "delle violenze sui manifestanti, della repressione e della falsificazione delle elezioni, che non sono state eque né libere e non hanno rispettato gli standard internazionali". Sanzioni non contro il paese ma individuali, quindi sostanzialmente inefficaci che avranno bisogno di altri dieci giorni di elaborazione affinché ministri degli esteri dell'Ua a Berlino dispongano l'introduzione di "graduali" sanzioni individuali a una ventina esponenti del goveno di Minsk. Salva la faccia ma resta un'atteggiamento di compiacenza verso il dittatore revisionista Lukashenko e il padrino russo.
Nelle cronache dei mezzi di informazione dei paesi imperialisti è palese il tifo per le opposizioni sconfitte con la frode nelle urne ma non ancora nelle piazze dove la protesta continua pur sotto la minaccia ventilata da Putin di un intervento militare della Russia. Al momento la contraddizione principale da risolvere è rappresentata dalla battaglia contro la dittatura di Lukashenko e per il rispetto della sovranità nazionale della Bielorussia, un compito che spetta alla classe operaia e alle masse popolari bielorusse. Pur essendo evidente che l'alternativa al dominio della corrente della borghesia rappresentata dai revisionisti e appoggiata dall'imperialismo russo non può essere quella della corrente liberale appoggiata dall'imperialismo occidentale. Come insegna l'esperienza dell'Ucraina passata da una dittatura borghese revisionista a una dittatura borghese reazionaria.
I partiti revisionisti di diversi paesi, tra cui il PC di Rizzo e il PCI, si sono schierati col rinnegato e revisionista Lukashenko. Il PMLI invece sta col popolo bielorusso, ed è contro qualsiasi ingerenza dell'imperialismo russo e degli imperialismi americano ed europeo.
La Bielorussia, indipendentemente da chi la governa, ha il diritto all'indipendenza e alla sovranità nazionale. Così come il popolo bielorusso ha il diritto di decidere da solo il suo destino e il regime della Bielorussia.
2 settembre 2020