Libano
Strage di Stato a Beirut
157 morti, 5.300 feriti, centinaia i dispersi, 300 mila sfollati, mezza città distrutta. L'Italia invia 500 militari
L’esplosione del 4 agosto di un ingente quantitativo di sostanze chimiche ammassate senza misure di sicurezza in un deposito nel porto di Beirut da quasi 7 anni, una bomba a orologeria colpevolmente ignorata dai governi libanesi, ha causato una strage, una strage di Stato che ha dato altri argomenti alla forte protesta popolare dall'ottobre scorso contro i governanti corrotti e il sistema clientelare e per una maggiore democrazia. Una protesta che aveva portato alle dimissioni lo scorso 29 ottobre dell'allora premier, Saad Hariri, sostituito l'11 febbraio da Hassan Diab che prometteva di accogliere le richieste della protesta e risanare una situazione economica e sociale sempre più difficile per le masse popolari e ulteriormente aggravata dalla pandemia di coronavirus. Diab non ha realizzato nulla di quanto promesso e la strage del 4 agosto lo confermava, la protesta di piazza ripartiva e lo costringeva a annunciare il 10 agosto le dimissioni. Il presidente Michel Aoun le accoglieva pregandolo di continuare a gestire gli affari dell’esecutivo fino alla nomina di un nuovo premier.
Il bilancio dell'esplosione del deposito di sostanze chimiche nel porto di Beirut, di cui al momento è chiara quantomeno la criminale responsabilità dei governi degli ultimi 7 anni, è pesantissimo: 157 morti, 5.300 feriti, centinaia i dispersi, 300 mila sfollati, 3 ospedali, silos di stoccaggio di generi alimentari, mezza città ridotta in macerie con danni materiali valutati in almeno 15 miliardi di dollari.
Diab nell'annunciare le dimissioni cercava di scaricare la sua parte di responsabilità dichiarando che la strage è "un crimine prodotto dalla corruzione endemica”, una "corruzione più grande dello Stato”, di un sistema che non ha neanche scalfito in sei mesi di governo e quale ultimo atto rimetteva il caso all'esame del Consiglio giudiziario supremo, l'organismo che si occupa dei crimini che violano la sicurezza nazionale del Libano, i crimini politici e di sicurezza dello Stato. Non aveva però ritirato lo stato di emergenza e i poteri speciali assegnati all’esercito e alle forze di sicurezza interna che solo due giorni prima nella capitale avevano causato oltre 700 feriti con le selvagge cariche ai manifestanti tornati in piazza contro il governo. E che hanno continuato la protesta anche dopo l'annuncio delle dimissioni del governo rilanciando la richiesta di una democratizzazione delle istituzioni contro i consueti valzer di poltrone che riciclano gli stessi protagonisti.
Tra i nomi in ballottaggio alla guida del nuovo esecutivo era stato fatto il nome dell'ex premier, il sunnita Saad Hariri già cacciato dalla protesta popolare ma in grado di rispondere alle esigenze dei paesi imperialisti che tengono sotto un giogo il Libano, dagli Usa all'ex potenza coloniale Francia, dall'Iran madrina di Hezbollah ai paesi arabi del Golfo, alla nuova arrivata Russia; i vicini sionisti di Tel Aviv applicano la diplomazia dei bombardamenti e colpiscono a loro piacimento fino a Beirut sotto gli occhi complici del contingente Unifil dell'Onu presente nel sud del paese e del suo comandante italiano. Ha battuto tutti sul tempo il presidente francese Emmanuel Macron, il primo a precipitarsi a Beirut a incontrare i presidenti della Repubblica, del Consiglio e del Parlamento libanesi, il cattolico Michel Aoun, il sunnita Hassan Diab e lo sciita Nabih Berri. Mentre era in visita al porto devastato dall'esplosione ha certamente sentito i manifestanti che gli gridavano "rivoluzione, il popolo vuole la caduta del sistema" si è allineato sostenendo che in Libano "dobbiamo ricostruire la fiducia, ma questa presuppone la rifondazione di un nuovo ordine politico e profondi cambiamenti”. Giusto ma il modello esistente è quello costruito dai suoi predecessori all'Eliseo e quello che ha in testa al momento lo ha discusso al telefono con Putin; il Libano fa parte di quella zona mediorientale dove la regia della spartizione imperialista è nelle mani della coalizione guidata dalla Russia. Nuovo premier è stato designato Mustafa Adib, l'ex ambasciatore di religione sunnita in Germania che possiede anche la cittadinanza francese, assai gradito all'imperialismo francese.
Non ha atteso a muoversi nemmeno l'imperialismo italiano preoccupato di mantenere gli spazi conquistati in Libano di primo partner commerciale europeo del paese e secondo in assoluto dopo la Cina; Conte e il ministro della Difesa Guerini inviavano due navi e un contingente di 500 tra soldati e marinai, che si aggiungono ai circa 1.200 presenti nel contingente Unifil, per mettere in piedi un ospedale da campo e per la rimozione delle macerie al porto di Beirut. Una "missione umanitaria" che sarebbe tale se messa in atto dalla protezione civile mentre il ruolo dei militari è anche quello di mostrare il tricolore imperialista nelle crisi e nelle guerre in corso, come in Libia a Misurata.
Nulla sembrerebbe poter modificare il complesso meccanismo istituzionale lasciato in eredità al Libano dai colonialisti francesi che non segue la regola di una testa un voto. Un meccanismo che in un gioco di equilibri sempre più precario spartisce le diverse cariche istituzionali tra le diverse componenti religiose e politiche e ha favorito il dilagare della corruzione in un paese sprofondato in una crisi economica e politica senza precedenti, un sistema messo oramai nel mirino dalla protesta popolare.
2 settembre 2020