Con la mediazione di Trump
Accordo di pace tra Israele e Emirati Arabi
I palestinesi: “Una pugnalata alla schiena”

 
Per capire il significato dell'accordo che avvia la normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati arabi uniti (Eau) raggiunto dal premier sionista Benjamin Netanyahu e dall’erede al trono di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, e che è stato annunciato il 13 agosto dal regista dell'operazione, il presidente americano Donald Trump, bastano i sintetici commenti dei protagonisti: "Grande successo oggi! Storico accordo di pace tra due nostri grandi amici", lo definiva Trump nella conferenza stampa dove annunciava che la firma definitiva era in programma alla Casa Bianca entro tre settimane e preparava la scena per una nuova rappresentazione a effetto da spendere nella campagna elettorale presidenziale oramai in dirittura d'arrivo dopo le fanfare suonate a vuoto per magnificare il cosiddetto Accordo del Secolo lanciato nei mesi scorsi; un "giorno storico" per il premier sionista. Infine il principe ereditario e ministro della Difesa emiratino Mohammed bin Zayed Al-Nahyan elencava i settori dell'intesa che saranno compresi nel documento definitivo. Sono previsti specifici accordi su investimenti, turismo, voli diretti, sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, energia, sanità, cultura, ambiente e l’istituzione di rappresentanze diplomatiche. Intanto, nel luglio scorso, i due governi hanno firmato un'intesa, fatta passare come una collaborazione nella lotta contro il Covid-19, tra la società di teconologia avanzata Gruppo 42 ccon sede a Abu Dhabi e la Rafael, la principale azienda israeliana nel campo della tecnologia militare che apre una sua base nel Golfo, di fronte all’Iran. Una significativa premessa per un "accordo di pace".
La piena normalizzazione dei rapporti tra i due paesi prevista a fine negoziato non fa altro che portare alla luce del giorno una realtà di costanti rapporti sviluppati da anni, perché fra i sionisti di Tel Aviv e i governi dei paesi arabi del Golfo Persico la pace effettiva anzi la collaborazione attiva va avanti da anni, solo accelerata negli ultimi con la presidenza Trump in funzione anti iraniana. L'intesa ha due segni chiari, cancellare la questione palestinese e rinsaldare l'asse a guida sionista contro l'Iran. Messa in tasca quella con gli Emirati, Netanyahu festeggiava e con Trump invitava altri paesi, dall’Oman al Bahrain al Sudan a stringere per la conclusione di negoziati simili già avviati.
Il primo commento da parte palestinese era del leader dell’Olp Saeb Erekat che definiva l’accordo “una pugnalata alla schiena”. Il membro del Comitato esecutivo dell’Olp Hanan Ashrawi dichiarava che "Israele viene premiato per non dichiarare apertamente cosa sta facendo alla Palestina illegalmente dall’inizio dell’occupazione. Gli Emirati sono usciti allo scoperto con la loro segreta normalizzazione con Israele". Hamas e Jihad islamica respingevano l'accordo e invitavano alla protesta popolare; in Cisgiordania nei cortei i manifestanti bruciavano bandiere degli Emirati e immagini del principe emiratino.
"Abu Dhabi ignora i suoi doveri nazionali, religiosi e umanitari nei confronti della causa palestinese", denunciava l’Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen, che neanche un mese fa credeva di aver compattato il mondo arabo nella condanna del piano annessionista di Tel Aviv sulla Cisgiordania occupata. Abu Mazen respinge la corretta soluzione di un solo Stato in Palestina e resta attaccato all'ipotesi dei due Stati, che tra l'altro gli garantirebbe una poltrona in quello palestinese; i suoi alleati arabi viaggiano oramai sulla normalizzazione dei rapporti coi sionisti e la conseguente cancellazione della questione palestinese.
Se Teheran accusava gli Emirati di “complicità con i crimini di Israele”, il presidente turco Erdogan denunciava il “tradimento della causa palestinese” da parte di Abu Dhabi e si riproponeva strumentalmente come nuovo paladino di una causa che gli interessa solo fino a quando è funzionale ai suoi progetti egemonici locali.
Plaudiva all'accordo il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi, che tiene sigillata la striscia di Gaza dalla parte egiziana d'intesa coi sionisti, è stretto alleato degli Emirati in Libia dalla parte del generale Haftar e protagonista tre anni e mezzo fa dalla nascita della “Nato araba”, l'alleanza militare voluta da Trump in chiave anti-Iran con Giordania, Arabia saudita ed Emirati. Freddi i consensi da parte dell'Arabia Saudita, il paese finora apparentemente guida indiscussa del fronte dei paesi arabi che hanno intrapreso la politica di abbandono della causa palestinese e di riavvicinamento coi sionisti. Anzi i media di Riad hanno dato la notizia parlando di "normalizzazione in cambio di nulla" con un unico vincitore, Benjamin Netanyahu, e invocando la creazione di uno Stato palestinese. Quale che siano le ragioni della apparente freddezza del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, distolto in parte dalle guerre interne al clan dei Saud per la succesione al re, la politica saudita continua a calpestare i sacrosanti diritti del popolo palestinese.
La parte finale della discussione sull'intesa raggiunta a metà agosto sotto la regia della Casa Bianca ha probabilmente causato il rinvio dell'annessione ufficiale di un bel pezzo della Cisgiordania, Valle del Giordano compresa, annunciato da Netanyahu per l'1 luglio scorso e rinviata all'ultimo momento. Dalla Casa bianca si sosteneva che il governo di Tel Aviv aveva accettato di sospendere temporaneamente l’annessione formale dei territori palestinesi, da Abu Dhabi si sottolineava che l’accordo prevede lo stop al piano; prima l'intesa poi l'annessione, chiariva Netanyahu che comunque non avrebbe avuto nessun problema a invertire le due situazioni.
Anche gli Emirati non avrebbero fatto comunque retromarcia, impegnati a occupare per la prima volta un ruolo da protagonista nella contesa tra le potenze imperialiste che puntano all'egemonia locale, tanto che magnificavano l'intesa come una spinta a costruire la pace in Medio Oriente “attraverso la soluzione dei due Stati“. La soluzione pensata dall'imperialismo che è servita solo a riconciliare Egitto e Giordania con gli occupanti sionisti di Tel Aviv nei precedenti accordi di pace e a negare i diritti palestinesi; una soluzione ancora riproposta e appoggiata dai paesi imperialisti europei della Ue fra cui l'Italia. La Farnesina comunicava che “l’Italia accoglie con favore l’annuncio dell’accordo di normalizzazione delle relazioni fra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Auspichiamo che tale importante passo possa contribuire alla pace e alla stabilità in Medio Oriente. In tale quadro, la decisione israeliana di sospendere l’annessione di porzioni della Cisgiordania costituisce uno sviluppo positivo, che ci auguriamo possa favorire la ripresa dei negoziati diretti tra israeliani e palestinesi nella prospettiva di una soluzione a due Stati giusta, sostenibile e duratura, che l’Italia continua a sostenere con convinzione quale unica alternativa per assicurare pace e prosperità in tutta la regione”. Neanche una incertezza da parte del governo Conte per stare dalla parte dell'imperialismo sionista.
Eppure almeno un dubbio sulle intenzioni di pace di due paesi impegnati fino al collo nei conflitti locali poteva venire. I sionisti allungano quotidianamente la lista dei palestinesi assassinati nei territori occupati e non hanno mai rispettato la sovranità dei pesi vicini e continuano a colpire dalla Siria al Libano; gli Emirati non se ne sono persi uno, dalla guerra di aggressione allo Yemen guidata dall'Arabia Saudita all'appoggio coi droni alle milizie del generale Haftar in Libia. Ossia da una partecipazione attiva nella coalizione dei paesi arabi reazionari di matrice sunnita che contende la leadership imperialista nella regione mediorientale e nel Mediterraneo orientale ai nuovi concorrenti sunniti Turchia e Qatar che si sono aggiunti allo storico nemico, l’Iran sciita.

2 settembre 2020