Nei distretti industriali di Bergamo, Brescia, Milano, Torino e Bologna
Le operaie guadagnano il 40% in meno degli operai
In Italia 6 milioni di lavoratori guadagnano meno di mille euro
Il capitalismo non potrà mai garantire alle donne la piena parità
Il capitalismo, con la sua concezione patriarcale della società e un sistema economico e produttivo fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla ricerca del massimo profitto, non potrà mai garantire alle donne la piena parità rispetto agli uomini sia sul piano economico e men che meno sul piano sociale e dell'emancipazione dalla schiavitù domestica e familiare.
Questa è l'amara verità confermata dalla ricerca condotta nei mesi scorsi dall’osservatorio sindacale della CGIL Valle Camonica Sebino dal titolo “Salari e pensioni: disuguaglianze, ingiustizie e povertà” presentato a fine agosto presso la sede della CGIL di Darfo Boario Terme.
L'indagine si basa sull’acquisizione di numerosi dati relativi alle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del settore privato e sugli importi mensili e annui di tutte le tipologie di pensione del comprensorio camunio-sebino e nelle cinque province più industriali d’Italia: Bergamo, Brescia, Milano, Torino e Bologna.
Lo studio prende in esame il periodo 2014-2018 (antecedente la spaventosa crisi economica e sociale innescata dalla pandemia) ma già caratterizzato da "condizioni economiche e produttive molto variegate" evidenziando l'ampliamento nel tempo delle differenze retributive tra lavoratrici e lavoratori a parità di mansioni e condizioni contrattuali; la crescita del lavoro precario, l'incremento delle disuguaglianze e la compressione delle tutele e dei diritti sindacali.
La ricerca, composta in tutto da 9 capitoli, nelle parti sesta, settima, ottava e nona, confronta le retribuzioni medie dei dipendenti dei settori privati (esclusa l’agricoltura) divisi per fasce d’età e per genere; le retribuzioni lorde medie annue dei dipendenti dei diversi settori merceologici divisi per qualifica, genere, tempo pieno e tempo parziale; le retribuzioni lorde medie annue dei dipendenti pubblici della provincia di Brescia e in Italia, divisi tra tipologia di contratto (tempo determinato e tempo indeterminato) e per genere e le prestazioni pensionistiche distinte per tipologia di pensione e per genere.
Un confronto fra diversi indicatori che però restituisce sempre lo stesso risultato, e cioè che il divario salariale fra una operaia e un operaio a parità di livello contrattuale e mansioni svolte è del 40%, a scapito delle donne.
Tradotto in soldoni risulta ad esempio che un operaio del Bresciano con un contratto a tempo indeterminato nel 2018 guadagnava in media 26 mila e 69 euro lordi annui, mentre la sua collega donna solamente 15 mila 213 euro, con un gap del 41, 64%.
La ricerca denota anche che questo divario cresce, anziché diminuire, nel corso degli anni: questo significa che generalmente, dopo aver avviato una famiglia, la donna o cade nella schiavitù domestica magari lasciando il lavoro per occuparsi della casa o dei figli, o non ha gli stessi aumenti stipendiali degli uomini. Aumenti peraltro sempre meno consistenti per i lavoratori di ambo i sessi.
Un altro dato molto significativo che emerge dalla ricerca riguarda le bestiali condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori in varie parti del territorio nazionale e in particolare in quei distretti industriali meno sindacalizzati.
Significativo a tal proposito è il dato relativo alle retribuzioni della Vallecamonica Sebino dove l'indagine su un campione di circa 1.000 lavoratori ha evidenziato una differenza retributiva che oscilla tra il 25 e il 30% fra chi gode di una contrattazione integrativa aziendale o territoriale e chi non ce l'ha.
I dati raccolti infatti certificano che in Italia ci sono quasi sei milioni di lavoratori e lavoratrici che guadagnano meno di mille euro al mese. Sono loro che hanno pagato e continueranno a pagare maggiormente le crisi cicliche del capitalismo dal momento che negli ultimi anni non hanno avuto alcun miglioramento salariale a fronte del forte innalzamento del costo della vita.
Mentre gli stipendi dei quadri e dirigenti aziendali sono ulteriormente aumentati in virtù degli aumenti elargiti unilateralmente dalle aziende.
In tutte le province messe a confronto ci sono pesanti differenze tra operai e impiegati, tanto che si va dai 47,07 euro di media giornaliera di un'operaia ai 463,91 di quella di un dirigente uomo. La differenza è proporzionalmente costante per tutte le qualifiche, dall'apprendista al manager.
Un gap che si riduce ma rimane evidente anche a livello dirigenziale con una differenza del 20% circa fra i 144 mila 475 euro della retribuzione per un dirigente uomo e i 115 mila 478 euro per una donna di pari qualifica e mansione.
Anche l'età è fattore discriminante. Nell'analizzare le retribuzioni medie di operai e impiegati, con esclusione degli apprendisti, dai 20 ai 54 anni, la ricerca evidenzia anche un significativo gap che in alcuni casi supera il 50% con una forte penalizzazione dei lavoratori giovani rispetto ai più anziani.
In conclusione l'indagine evidenzia che: coloro che percepiscono i salari più bassi sono donne, giovani e operai.
Una penalizzazione che si riflette poi sulle pensioni, che rispettano fedelmente le dinamiche delle retribuzioni medie, in quanto connesse con i contributi versati e calcolati sulle contribuzioni stesse.
Segno evidente che l'occupazione piena, stabile e ben remunerata delle donne a qualunque livello è in stridente conflitto con la concezione borghese e l'organizzazione sociale e produttiva del capitalismo che invece vuole ancora relegare le donne al lavoro domestico per fare da tampone al taglio dei servizi sociali. Una situazione che, come vediamo, è ancora ben presente nonostante siano passati oltre cinquant'anni dalle grandi lotte femminili del Sessantotto e le masse femminili continuino a battersi per conquistare un'effettiva parità di trattamento nel lavoro.
9 settembre 2020