Referendum costituzionale del 20-21 settembre 2020
7.484.918 NO al taglio della democrazia borghese
I NO costituiscono un'ottima base per le prossime battaglie democratiche e antifasciste. Il sì vince grazie all'inganno della propaganda piduista dei partiti governativi e dei partiti fascisti. Firenze tra le capitali del No
IL PARLAMENTO TAGLIATO SARÀ PIÙ ASSOGGETTATO AL GOVERNO E PIÙ LONTANO DALLE MASSE

 
 
Ha vinto il Sì ma non è stato quel plebiscito schiacciante annunciato e voluto dalla martellante propaganda dei partiti governativi, M5S, PD e LeU, in testa, e dei partiti fascisti, la Lega di Salvini, anzitutto, che, è bene ricordarlo, firmò insieme ai pentastellati il punto 20 del Contratto nel maggio 2018 per dar vita al governo fascista e razzista Conte.
I NO sono stati ben 7.484.918 (30,36%), mentre i Sì sono stati 17.168.532 (69,64%), strappati grazie all'inganno che ha spacciato questo taglio alla democrazia rappresentativa e all'elettoralismo borghesi per un “taglio alle poltrone” e agli scandalosi “privilegi della casta” politica dominante borghese.
L'affluenza è stata del 53,84%, corrispondente a 24.993.015 votanti a fronte di 46.418.682 aventi diritto, ed è stata pressoché la stessa del referendum costituzionale del 2006 e un po' più bassa rispetto al referendum quello promosso da Renzi nel 2016 che attraverso la controriforma del senato si proponeva, con altre misure, lo stesso disegno mussoliniano.
Le prime regioni per partecipazione al voto referendario sono le sette in cui si è votato anche per i presidenti: nell’ordine Valle d’Aosta, Veneto, Marche, Toscana, Puglia, Campania e Liguria, alle quali si è aggiunto il Trentino. Il Sì comunque ha vinto ovunque ed in particolare al Sud, dove in un certo senso la tendenza di voto si inverte.
Sono del Nord e del Centro le regioni e i capoluoghi di provincia dove il NO ottiene i migliori risultati con Friuli, Veneto e Liguria, ma anche con Lazio, Toscana, Piemonte, Sardegna e Lombardia che raggiungono risultati superiori alla media nazionale. Un segno evidente che dove vi è stata maggiore informazione e confronto gli elettori hanno potuto valutare e decidere con maggiore consapevolezza non lasciandosi soffocare dal polverone demagogico che ha accompagnato la propaganda terroristica e qualunquista del Sì e preferendo approfondire e capire i reali e concreti contenuti di questa operazione fascista e piduista. Del resto la demagogia e l'inganno sono due componenti fisiologiche del fascismo mussoliniano, che si ammantò di una fraseologia roboante contro l'odiata “plutocrazia” al potere e infarcita di generici e vuoti richiami socialisteggianti per riuscire a ingannare il popolo e dare la spallata definitiva al regime liberale borghese.
Al primo posto per il Sì troviamo le regioni del Mezzogiorno, a partire dal Molise con quasi l'80%, seguito da Calabria, Sicilia, Basilicata, Campania, Puglia, Abruzzo, e le province più emarginate e povere delle diverse aree geografiche; le stesse che hanno registrato anche un'affluenza alle urne più bassa che ha significato spesso in questo caso una più netta affermazione del Sì con percentuali altissime nelle province di Crotone (81,94%), Agrigento (80,69%), Foggia (80,11%) e Campobasso (80,62%). Laddove la frattura tra popolazione e istituzioni e partiti borghesi è incancrenita da un atavico e sempre più grave stato di abbandono, emarginazione e miseria, la demagogia fascista ha avuto la meglio e oscurato le ragioni del NO. Di fatto lì non c'è stata campagna referendaria, ha risuonato solo il richiamo demagogico del Sì e la stragrande maggioranza degli elettori ha pensato col Sì e coll'astensione di gridare la propria rabbia e contrapposizione a questo sistema economico e politico che li condanna irrimediabilmente alla disoccupazione o all'emigrazione e non fa che peggiorare il loro stato di abbandono, arretratezza e povertà.
Il risultato referendario fa esultare i vincitori, che nei fatti sono i partiti parlamentari
di governo e di opposizione parlamentare che hanno votato tutti questa legge al Senato e alla Camera, dal PD e LEU alla Lega, FdI e FI. Ma costoro hanno poco da cantare vittoria perché il risultato referendario certifica che comunque quasi un terzo dei votanti si sono coraggiosamente contrapposti con il NO a quest'ulteriore taglio della democrazia ed elettoralismo borghesi pur consapevoli della minaccia di essere seppelliti o spazzati via da un voto plebiscitario conseguente alla disparità di forze in campo. Non dimentichiamo infatti che i sondaggi soltanto un mese fa relegavano il NO a un massimo del 10%, e soprattutto che la modifica alla Costituzione era stata approvata dal 97% dei parlamentari, con l'appoggio ufficiale – come già detto - oltre che del Movimento 5 Stelle, anche del Partito Democratico, della Lega, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia ed anche di Liberi ed Uguali, la cui somma dei consensi alle ultime europee è stata pari all’89,3% dei voti validi; ecco allora che il risultato di ieri rivela che una consistente fetta di elettori ha votato in modo opposto all’indicazione del proprio partito di riferimento. È stato così in particolare per quei settori democratici e di sinistra della base elettorale del PD, ma non soltanto.
Il NO si è affermato con una percentuale dieci volte maggiore alle modeste forze parlamentari e dei singoli che lo sostenevano fin dall'inizio, evidenziando che non tutti gli elettori, e in particolare quelli di sinistra, hanno abboccato alla demagogica e truffaldina propaganda populista “contro la casta”, odorando e poi convincendosi che la riforma proposta è tutt'altro che una “vendetta ed una rivincita del popolo contro la Casta dei privilegiati” come alcuni giornali – su tutti il “Fatto Quotidiano”, di Marco Travaglio, divenuto ormai organo dei 5 Stelle e sfegatato portavoce del premier Conte – hanno scritto.
 

La controriforma passa grazie ai voti dei partiti fascisti e di quelli di governo
Dato questo quadro di carattere generale, è interessante approfondire i risultati delle città e delle loro zone, principalmente divise fra centro e periferie, per farsi un'idea della reale natura del voto.
Roma, Milano, Napoli, Torino hanno registrato tutte un’affluenza al referendum inferiore rispetto al dato regionale rispettivamente di Lazio, Lombardia, Campania, Piemonte. Non così Firenze e Bari, il che dimostra anche che l’effetto traino delle regionali c'è indubbiamente stato; tuttavia il Sì è stato in buona parte raccolto nelle periferie e nei piccoli comuni rispetto alle grandi città.
A Firenze città ad esempio, una delle capitali del NO, il Sì ha vinto con il 55,45%, contro un grande apprezzamento del NO giunto al risultato straordinario del 44,5%; il fatto che nel Quartiere 1 (centro storico) abbia vinto il No con il 52% mentre nel quartiere 4 (periferia in cui sono tradizionalmente forti i condizionamenti e il potere del sottogoverno del PD) abbia vinto il Sì con il 61%, dimostra che laddove si è sviluppato un dibattito, dove sono giunte maggiormente le ragioni del NO, dove l'attecchimento della demagogia populista fatica di più a radicarsi anche per le migliori condizioni di vita della sua popolazione, il messaggio è arrivato e ha dato i suoi frutti. Nelle zone più degradate invece il risentimento verso la “politica borghese” si è tradotto in voti per il Sì, sapientemente raccolti da Di Maio, Zingaretti e compagnia.
La stessa tendenza si è registrata a Milano dove nel Municipio 1 ha addirittura vinto il No con il 56,54%, a Napoli dove nel quartiere di Chiaia il Sì si è fermato al 54% mentre a Scampia ha toccato l’85,6%, e ancora a Roma dove il Sì e il NO hanno rispettivamente il 60% e il 40%, anche se nel Municipio 1 ha vinto il NO con il 56%, mentre nel 6 ( Torre Angela e Tor Bella Monaca) si è affermato il Sì con il 73%.
Per riassumere i protagonisti di questo disallineamento, prendiamo spunto dal centro studi Tecné, secondo il quale ben il 55% degli elettori del PD ha disatteso l'indicazione del proprio partito, in particolare nella sua componente di sinistra; a destra invece si è votato Sì al 76% medio circa delle forze dello schieramento FDI, FI e Lega.
Sempre secondo Tecnè, gli elettori 5 Stelle avrebbero votato Sì al 92%.
Il che dimostra che l'approvazione della controriforma di stampo piduista ha contato soprattutto sull'elettorato di destra e di centro - se così si vuol collocare la destra del PD e la sua dirigenza borghese – mentre chi si è espresso per il NO appartiene ai settori di elettorato democratico, antifascista e di sinistra, al netto di un 15% circa di “dissidenti” degli altri partiti.
 

L'entusiasmo dei partiti governativi e fascisti. La paternità della controriforma.
“Questa è una vittoria di tutti, di tutto il paese, di tutti gli italiani che vogliono cambiare. Al di là dei colori politici e delle appartenenze partitiche. Una vittoria del popolo”: così ha esordito Di Maio, festeggiando la vittoria del Sì come se fosse stato un plebiscito, e gli fatto eco il reggente dei pentastellati in piena crisi elettorale Vito Crimi, definendolo “il motore del cambiamento”.
Il ministro degli esteri non perde l'occasione per rivendicare il ruolo trainante dei 5 Stelle, sfoggiando una livrea anti-casta che ormai non gli s'addice più nemmeno nella forma, cosciente che proprio grazie alla controriforma costituzionale, a fine legislatura potrà governare con più facilità un gruppo parlamentare che sarà caratterizzato da numeri ridotti e dunque maggiormente controllabile dalle segreterie di partito dal premier rispetto a oggi per sedare i numerosi dissensi interni che nel Movimento non si contano più.
Forse si dimenticano che il Movimento 5 Stelle è ormai parte integrante della “casta”, dalla quale ha ereditato insieme alle poltrone anche i privilegi di status e una gestione del potere clientelare, senza peraltro mantenere nemmeno una parvenza di quella trasparenza e democrazia diretta che aveva promesso. Eppure Di Maio e la sua banda di imbroglioni 5 Stelle esultano, e lo fanno sulle ceneri della stessa democrazia borghese tagliata e calpestata. Ecco chi è stato sconfitto sull'altare del presidenzialismo! La “casta” invece si rafforza ai suoi vertici che, in sostanza, è ciò che importa ai propri massimi dirigenti.
Il segretario del PD Nicola Zingaretti tira un sospiro di sollievo sia per la vittoria del Sì che ha sostenuto fin dall'inizio, ma anche per il risultato delle regionali, affermando senza equivoci che “poteva essere una prova lacerante” e non perde l'occasione di rilanciare la necessità imminente di una nuova legge elettorale. Eppure vede aumentare le occasioni di disubbidienza e di disaffezione del suo elettorato antifascista e di sinistra, mentre alle regionali ha poco da gioire con la consegna delle Marche ai fascisti di FdI e la riduzione della sua base elettorale.
La fascista Meloni invoca le urne poiché “questo voto ci consegna un Parlamento delegittimato, bisogna ridare voce agli italiani “, mentre sottolinea che la vittoria del Sì appartiene a un fronte più largo dei soli 5 Stelle coi quali vuole ripartirsene il merito; l'aspirante duce d'Italia Salvini rilancia: “Tanti costituzionalisti si chiedono in queste ore quanto questa Camera e questo Senato rappresentino il popolo italiano: è un dubbio legittimo”.
Il leghista Calderoli, vice presidente del Senato, rivendica senza mezzi termini la vittoria come sua e della Lega. L'ex ministro per le riforme costituzionali nel governo Berlusconi ripercorre l'iter seguito, ricordando ai 5 Stelle che la riduzione dei parlamentari è stata una battaglia storica della Lega e compariva al primo posto del suo programma e che il testo votato ad ottobre portava la sua firma a conferma che quando lui cercava di ridurre il numero dei parlamentari “il M5S non era ancora nato”. Come dargli torto? Nel concludere il suo intervento, appoggiato dagli “atti parlamentari che sono lì a testimoniarlo”, si rallegra di come oggi “si realizza un mio sogno … avere un parlamento più snello, meno costoso e soprattutto più funzionale” ai leader dei partiti – aggiungiamo noi – che sceglieranno e controlleranno i propri parlamentari allontanandoli ancora di più dalle masse.
Insomma, là dove Gelli aveva fallito, insieme a Berlusconi e Renzi, è riuscito l'asse di ferro PD-M5S, riuscendo a sdoganare questa controriforma fascista e piduista.
Sul tema è intervenuta anche l'ANPI, che ha portato avanti le ragioni del NO in linea con la propria posizione di contrasto al precedente tentativo di Renzi, che in un comunicato stampa firmato dalla presidente Carla Nespolo sottolinea il buon risultato del NO e la necessità di contrastare i suoi effetti negativi, anche se poi si limita a invocare semplicemente una nuova legge elettorale “che dovrà garantire libera scelta da parte degli elettori e la tutela della rappresentanza con particolare riferimento alle opposizioni, alle donne ed alle minoranze in generale”.
 

7 milioni e mezzo di NO costituiscono un'ottima base per le prossime battaglie democratiche e antifasciste
I quasi 7 milioni e mezzo di italiani che hanno votato NO grazie all'attività dei 5 comitati per il NO che si sono costituiti e dei pochi partiti che hanno fatto propaganda attiva tra i quali il PMLI, hanno combattuto una grande battaglia democratica, antifascista e antipresidenzialista.
Il PMLI vi ha partecipato attivamente e con spirito unitario, senza appiattirsi sulla Costituzione borghese del '48 eppure grande è stato il suo impegno unitario a lavorare a tutti i livelli con i vari Comitati per il NO e con il PRC, PCL e PCI per affermare e spiegare le ragioni del NO. Non si è risparmiato né nella campagna ideologica e politica condotta con i suoi importanti documenti e i numerosi articoli apparsi su “Il Bolscevico” né nell'attività di propaganda fra le masse com'è avvenuto grazie al Banchino unitario a Biella, al Presidio-assemblea del Comitato per il NO a Catania, all'Assemblea pubblica a Campobasso e ai numerosi banchini come a Fucecchio e ai volantinaggi come a Napoli e Milano.
Nel Documento del febbraio scorso il CC del PMLI esordiva:”Il referendum costituzionale del 20-21 settembre 2020 sul taglio dei parlamentari è una battaglia politica di importanza cruciale per tutti, gli antifascisti, i democratici e i progressisti. ” E così proseguiva:”Le fonti di ispirazione di questo vero e proprio golpe bianco istituzionale vengono da lontano. Bisogna riandare al ventennio fascista per trovare un esempio di una tale mutilazione del parlamento, quando deputati e senatori furono ridotti esattamente allo stesso numero, come ha ricordato il senatore di FdI, Adolfo Urso, compiacendosi evidentemente di mostrare lo stesso disprezzo per la democrazia parlamentare del suo maestro Mussolini. Il taglio dei parlamentari, insieme all'abolizione del bicameralismo perfetto, ricompare poi nel “Piano di rinascita democratica” di Gelli, che auspicava di ridurre a 450 i deputati e 250 i senatori, numeri assai simili agli attuali, anzi leggermente più alti. E da allora lo ritroviamo regolarmente in tutti i tentativi di controriformare da destra la Costituzione: dalla commissione Bozzi a quella De Mita-Iotti, dalla Bicamerale golpista di D'Alema alla controriforma del 2005 del governo Berlusconi-Fini-Bossi firmata da Calderoli (guarda caso relatore anche di questa legge), fino alla controriforma del Senato Renzi-Boschi del 2016. Tentativi tutti andati a vuoto fino alla legge attuale, che realizza dunque uno dei capisaldi del piano golpista della P2. (…)
Noi marxisti-leninisti consideriamo cruciale e irrinunciabile questa battaglia referendaria, e invitiamo in particolare gli astensionisti di sinistra a non disertarla ma a parteciparvi in prima fila, combatterla fino in fondo e andare alle urne per votare NO”
Il NO è stato un voto profondamente consapevole, nettamente democratico e antifascista. I quasi 7 milioni e mezzo di NO costituiscono un'ottima base per le prossime battaglie democratiche e antifasciste contro le misure in discussione di ulteriori controriforme costituzionali e contro la nuova legge elettorale a favore dei grandi partiti borghesi e del regime capitalista neofascista.
E, proseguendo con lo stesso spirito unitario che ci ha animato durante questa campagna referendaria, il PMLI, come si legge nel Comunicato del suo Ufficio stampa del 29 luglio scorso, continuerà a battersi come un leone contro il governo del premier Conte che ha preteso “la proroga dello stato di emergenza per il coronavirus.
Il PMLI è nettamente contrario a questo provvedimento che dà pieni poteri a Conte, elevandolo a dittatore antivirus. Ciò non è conforme allo spirito e ai contenuti della Costituzione della quale, approfittando dello stato di emergenza, possono essere sospesi diritti fondamentali.
In ogni caso per il PMLI il diritto di sciopero e di manifestazione e il funzionamento regolare del parlamento non possono e non debbono essere sospesi qualunque siano le circostanze e il tipo dell’emergenza.
Come abbiamo condannato la richiesta di pieni poteri da parte di Salvini, aspirante duce d’Italia, così condanniamo i pieni poteri voluti dal dittatore antivirus Conte.

23 settembre 2020