Taranto
Sciopero e blocco stradale degli operai ex Ilva
Nel mirino Conte e Patuanelli

 
Dopo quello di giugno all'indomani della presentazione del nuovo piano industriale di ArcelorMittal che prevedeva – fra l'altro – altri 3.200 “esuberi” già nel 2020, i lavoratori dell'acciaieria tarantina e del primo indotto sono tornati in sciopero.
È così che il 21 di settembre, i lavoratori della stessa ArcelorMittal Italia, di Ilva in amministrazione straordinaria, dell’indotto e dell’appalto del siderurgico di Taranto, sono tornati in sciopero attuando il blocco del traffico della statale 100 nei pressi degli uffici di direzione dello stabilimento, proprio mentre era in corso la riunione dei sindacati per fare il punto sulla vertenza e decidere le future iniziative di mobilitazione. La prima di esse si è realizzata il giorno seguente, con un blocco del passaggio delle merci alla portineria C, fino alla proclamazione dello sciopero generale previsto per il 24 settembre e poi in seguito ritirato.
Nel mirino, oltre alla multinazionale franco-indiana che ha calpestato gli accordi del 2018 annunciando i licenziamenti, ci sono soprattutto il premier Conte e il ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, che nei fatti non hanno mosso un dito dispensando solo, da buoni politicanti borghesi, slogan e promesse da marinaio.
La critica di essersi da mesi “dati alla macchia” da perfetti latitanti sulla vertenza aperta “da quasi un anno”, è presente in tutte le dichiarazioni dei sindacati che nella nota firmata Fim, Fiom, Uilm ed Usb spiegano:“L’assordante e ingiustificato silenzio, unito al totale immobilismo in queste ore da parte della politica e delle istituzioni, traccia l’oramai scontata incertezza sulle reali intenzioni del governo (…) L’esecutivo si ostina a non convocare un incontro chiarificatore per il futuro e la gestione dell’attuale emergenza della fabbrica e di un intero territorio (...) Governo e multinazionale si sono assunti il grave onere di aver sancito l’ingovernabilità del momento”.
Continua dunque l'atteggiamento criminale degli amministratori dell'ex-ILVA che hanno causato negli ultimi tempi una lunga catena di infortuni anche mortali, così come prosegue la cassa integrazione di massa a 800 euro al mese, e continua l'atteggiamento collaborazionista del governo Conte e dei suoi ministri che non hanno nessuna intenzione di risolvere una vertenza che non si trascina da mesi, come affermano i sindacati, bensì da molti anni, almeno dal 2012 considerate tutte le sue vicende e sviluppi, e che sta consentendo alla gestione Arcelormittal di portare l'acciaieria e gli altiforni verso lo spegnimento, migliaia di lavoratori in mezzo alla strada e un'intera città al collasso occupazionale e ambientale.
Non era difficile prevedere un simile destino quando l'ILVA fu svenduta ai privati, né quando la multinazionale che oggi la gestisce, sostituì i banditi Riva; per noi è sempre stato chiaro che Taranto rappresenta un segmento strategico dell'industria italiana dal fortissimo impatto sull'economia sia regionale che nazionale, di vitale importanza anche per numerose altre attività.
Siamo al fianco dei lavoratori che devono proseguire strenuamente la propria lotta in ogni direzione, ma coscienti che l'unica via d'uscita è la nazionalizzazione dell'ex-ILVA che va sottratta dalle mani pelose dei grandi capitalisti dell'acciaio; non ci stancheremo mai di dire che è questa l'unica strada percorribile al momento per salvaguardare i posti di lavoro, la sicurezza, la salute e l'ambiente, seppur la gestione statale nelle condizioni del capitalismo non risolva in maniera definitiva la questione.

30 settembre 2020