Nessun “Patto” con i padroni: più salario e meno ore di lavoro
Respingere la linea di Bonomi
Il nuovo presidente della Confindustria non concede nulla alle lavoratrici e ai lavoratori
Occorre uno sciopero generale per il lavoro e il rinnovo dei contratti

“Vogliamo firmare contratti rivoluzionari”. Questa è la frase che la maggior parte dei mezzi d'informazione hanno scelto per sintetizzare il contenuto della lettera inviata dal neo presidente di Confindustria alle associazioni che vi aderiscono. Parole effettivamente scritte da Carlo Bonomi, contenute nella missiva che richiamava all'ordine e dettava la linea ai suoi associati. Ma subito dopo chiariva: “Non perché siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma perché nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati, tutti e infinite volte rispetto a decenni fa”.
 

Sacrifici ai lavoratori, soldi ai padroni
Ma al di là delle frasi a effetto Bonomi non fa altro che riproporre, in maniera più aggressiva e ultimativa, le stesse condizioni che il presidente della maggiore associazione padronale italiana aveva rivendicato ancor prima del suo insediamento ufficiale: smantellamento del contratto nazionale di lavoro in favore di quello aziendale, annullamento di qualsiasi aumento salariale che non preveda un aumento della produttività e del profitto padronale, salario staccato dall'orario di lavoro (leggi cottimo), controriforma del welfare pubblico in favore di quello privato, a cui aggiunge la richiesta di destinare le risorse pubbliche legate all'emergenza Covid-19 (a partire dal Recovery fund) solo ed esclusivamente alle aziende.
La sua lettera si apre elencando i dati sul crollo del Pil italiano ed europeo e continua elogiando lo “sforzo” e la “tenacia” delle aziende italiane. Sarebbero loro ad avere tenuto in piedi il Paese durante la pandemia, e non il personale sanitario e i lavoratori che non si sono mai fermati durante il lockdown. E prosegue su questa linea nel tentativo di scagionare i capitalisti italiani dalle fondate accuse di aver pensato solo al proprio profitto a discapito della salute dei loro dipendenti. Nonostante tante aziende siano state chiuse solo dopo una raffica di scioperi spontanei e le misure di sicurezza prese dopo le pressioni di operai e sindacati, il falco Bonomi auto assolve se stesso e i padroni italiani.
 

Libertà di licenziamento
Il tono cambia radicalmente quando parla del governo. Critica i protocolli per la sicurezza e i vari decreti, gli interventi a pioggia senza un piano generale, mette bocca perfino nel malfunzionamento della giustizia e dello scandalo delle cordate interne al CSM, temi quest'ultimi, che dovrebbero essere al di fuori delle competenze di un'associazione come Confindustria. Ma non deve trarre in inganno questo tono polemico nei riguardi del Conte II perché gli industriali hanno ottenuto moltissimo dal governo. Le critiche non sono disinteressate ma vengono enfatizzate allo scopo di far apparire i capitalisti italiani come gli unici soggetti in grado di far ripartire l'economia, perciò il messaggio di Bonomi è più o meno questo: “solo noi siamo bravi e capaci, quindi diamo tutti i soldi stanziati dall'Italia e dall'Europa alle aziende, e noi risolveremo tutto”.
Ancora più duro è il suo attacco a quello che definisce “il binomio cassa integrazione per tutti - no licenziamenti”. Secondo Bonomi queste due misure, assolutamente indispensabili anche se salvaguardano salari e occupazione solo in parte, sarebbero una sorta di anestesia e quando saranno eliminate porteranno a un brutto risveglio. Per il capo di Confindustria questo impedisce alle aziende le necessarie ristrutturazioni (leggi licenziamenti). Quindi, mentre è cosa buona e giusta dare miliardi di euro alle aziende, questa parziale “protezione statale”, come la chiama lui, verso i lavoratori, dovrebbe cessare immediatamente.
 

Contratti aziendali, meno diritti, zero aumenti
Ma Bonomi guarda oltre la pandemia e si spinge fino a rivendicare una maggiore flessibilità (ancora?) e una ulteriore privatizzazione della gestione del mercato del lavoro e una revisione degli ammortizzatori sociali. Una decina di punti programmatici che vanno tutti nella direzione di ottenere ristrutturazioni più facili, un welfare aziendale onnipresente, assegni di disoccupazione vincolati alla partecipazione a programmi di reinserimento, diminuzione del contributo padronale agli ammortizzatori sociali, ulteriore spazio alla Agenzie interinali e di collocamento private.
Poi l'attacco finale ai contratti nazionali di lavoro che vanno “rivoluzionalizzati”. Questo per il capo di Confindustria non vuol dire altro che togliere diritti a chi lavora, approfittando della crisi economica del capitalismo aggravata dal Coronavirus per affossare salari e condizioni di vita dei lavoratori e alimentare i profitti dei capitalisti. Gli obiettivi della linea confindustriale sono sempre più aggressivi e voraci: libertà di licenziamento, salari bloccati, contratti aziendali, salari scollegati dal tempo di lavoro e legati a doppio filo alla produttività.
 

Salario vincolato alla produttività
Quest'ultimo tema non è propriamente nuovo; già i predecessori di Bonomi, Squinzi e Boccia, lo avevano proposto assieme all'allora ministro del Lavoro di Renzi, Giuliano Poletti, e non è per niente rivoluzionario anzi, per i lavoratori sarebbe un salto all'indietro. Anche adesso i salari non sono completamente scollegati dalla produttività (premi di produzione, di risultato, bonus, obiettivi di reparto ecc) che rappresentano la retribuzione variabile, ma decenni di lotte hanno fatto sì che in busta paga il salario sia in gran parte fisso e quindi più sicuro.
Da alcuni anni il padronato intende ribaltare questa impostazione vincolando strettamente il salario ai risultati dell'azienda, alimentando insicurezza e diseguaglianze di categoria, territoriali, aziendali, e perfino personali. Una reintroduzione del vecchio cottimo, che adesso è previsto in pochi casi, magari chiamato con nomi più accattivanti, come “raggiungimento degli obiettivi”, “performance individuali” e così via. Un toccasana per i capitalisti che già pensano di applicarlo a nuove forme di lavoro emerse durante il lockdown come il lavoro a distanza. Difatti a molti lavoratori costretti per il Coronavirus a svolgere le loro mansioni da casa è stato proposto il pagamento “per obiettivi” e non per il tempo reale dedicato al lavoro.
 

Soldi pubblici, profitti privati
Più avanti Bonomi ritorna all'attacco del governo. Lo fa per criticare gli interventi pubblici in economia: da quello per salvare Alitalia a quello paventato per l'Ilva di Taranto, al ritorno in settori strategici come le telecomunicazioni, “bloccando i privati del settore dimenticando il rovinoso falò di risorse delle Partecipazioni Statali che obbligò alle privatizzazioni di inizio anni Novanta”. Per il presidente di Confindustria lo Stato deve mettere i soldi per salvare i capitalisti italiani e le loro aziende, ma non deve intervenire per salvare i posti di lavoro ne tanto meno deve pretendere di avere potere decisionale. Una vecchia teoria tanto cara agli industriali italiani, a partire dagli Agnelli che, assieme a tanti altri, hanno delocalizzato le loro aziende all'estero per loro convenienza e adesso bussano alle casse dello stato italiano nel momento del bisogno.
Prima di concludere la sua lunga lettera, Bonomi torna su un suo vecchio cavallo di battaglia, il presunto quanto inesistente “sentimento anti-imprese” da parte di molti sindacati, partiti politici e spezzoni della società italiana. Lo fa per invocare un “patto per l'Italia” che veda tutto e tutti subordinati agli interessi padronali perché “Se non saremo uniti negli obiettivi prioritari per cui ci battiamo, nel respingere le polemiche e anche i tentativi di intimidirci, allora diventerà ancora più improbo il tentativo di trasformare l'Italia in quel Paese dell'innovazione permanente capace di accogliere e trattenere i nostri figli che, noi sappiamo, può e deve essere”.
 

Cgil-Cisl-Uil pronte al dialogo
Con un presidente e una Confindustria con queste credenziali è possibile trovare un qualche accordo, compromesso o quantomeno discutere? Crediamo proprio di no. Eppure dopo il faccia a faccia dei tre segretari confederali con Bonomi Cgil, Cisl e Uil hanno definito l'incontro del 7 settembre “utile”. Lo stesso falco di Confindustria commentando l'incontro ha detto di essere ottimista ma non ha fatto un passo indietro rispetto alla volontà di cambiare in peggio i contratti a partire dal ridimensionamento di quello nazionale. Landini, dopo le scaramucce dei giorni precedenti, se ne è uscito con queste parole: “Ci aspettiamo che si apra una fase di rinnovo dei contratti nazionali... su questo tema abbiamo avanzato una richiesta al Governo che sia possibile sperimentare una tassazione migliore per l'aumento dei contratti”.
Per la Furlan (Cisl) “C'è la conferma del Patto della Fabbrica, ritengo questo importante”, invocando il patto collaborazionista e neocorporativo firmato dai sindacati Confederali due anni fa che non si discosta molto dalla linea di Bonomi dei contratti aziendali e della subordinazione agli interessi padronali. Qualche “mal di pancia” è venuto dal neosegretario della Uil Bombardieri che ha sottolineato: “se non partiamo dal rinnovo dei contratti, non possiamo fare passi avanti: è un elemento discriminante”.
Cgil, Cisl e Uil con il loro atteggiamento non stanno difendendo gli interessi dei lavoratori. Continuano a fare da puntello alla dittatura antivirus del governo Conte e a cercare in tutti i modi la collaborazione con i padroni; del resto Landini ha più volte ribadito che questo non è il momento di ricercare il conflitto ma il tempo in cui “ognuno deve fare la sua parte”, come fossimo tutti sulla stessa barca. Ma sono proprio Bonomi e la Confindustria a dirci che non è così, mostrandoci come gli interessi del capitalismo e della borghesia sono quelli di scaricare la crisi economica e sociale sui lavoratori e le masse popolari e mettere le mani sui soldi del Recovery fund.
 

Occorre lo sciopero generale nazionale
Per il PMLI i fondi europei vanno destinati invece innanzi tutto ai lavoratori disoccupati e licenziati, che vanno sostenuti con un reddito di 1.200 euro mensili, con corsi di formazione e assistenza adeguata per rientrare al lavoro. Contemporaneamente occorre riformare, semplificare e potenziare gli ammortizzatori sociali in modo che nessun lavoratore sospeso debba restare senza stipendio, che deve continuare a essere pieno fino alla fine della Cig o all'ottenimento di un nuovo lavoro. Quanto agli investimenti, vanno concentrati prioritariamente in tre settori: sanità, scuola e Mezzogiorno.
La linea di Bonomi che non vuol concedere nulla ai lavoratori va respinta in toto. Altro che libertà di ristrutturare, il blocco dei licenziamenti deve essere permanente, le aziende in crisi vanno nazionalizzate, i contratti vanno rinnovati, va respinto il salario distaccato dall'orario, mentre occorre chiedere più salario e meno orario di lavoro. Per far sentire forte la voce dei lavoratori e rivendicare il lavoro per tutti occorre la mobilitazione e lo sciopero generale nazionale, non sedersi ai tavoli della concertazione e della collaborazione con i padroni e il governo.

30 settembre 2020