Giornata di mobilitazione nazionale indetta il 18 settembre da Cgil, Cisl e Uil
“Ripartire dal lavoro”
Ma serve la lotta, non l'intesa con le parti sociali
Cgil, Cisl e Uil il 18 settembre hanno organizzato decine di manifestazioni in tutta Italia. Rientravano nel quadro della giornata di mobilitazione nazionale per illustrare le richieste dei sindacati confederali e premere per utilizzare i soldi del ricovery fund in maniera efficace. “Ripartire dal lavoro” è stato il significativo slogan scelto per l'iniziativa, un esplicito richiamo a indirizzare le risorse in chiave occupazionale.
I tre segretari nazionali erano presenti a Napoli (Landini), Milano (Furlan) e Roma (Bombardieri), altre iniziative importanti si sono svolte a Torino, Verona, Bologna, Firenze, Bari, Palermo e in tutte e venti le regioni italiane. Condizionate dalle misure antiCovid più che manifestazioni sono state assemblee pubbliche all'aperto, comunque molto partecipate.
I sindacati confederali chiedono anzitutto che i soldi vengano utilizzati per sviluppare una seria politica industriale, messa a punto da un coordinamento nazionale, impedendo che la gestione dei fondi sia data in mano ai privati o a comuni e regioni e che si perdano in migliaia di progetti inconcludenti.
Landini dal palco di Napoli ha dichiarato: “Non vogliamo solo essere ascoltati ma condividere le scelte. Il governo discuta con le parti sociali su come spendere i soldi europei e su come si cambia il modello di sviluppo”. Ma una intesa comune sarà difficile trovarla, a meno che non si voglia sottostare ai diktat del governo e di Confindustria che attraverso il suo presidente Bonomi ha già fatto intendere che non c'è la minima intenzione di concedere aumenti contrattuali mentre riguardo al Ricovery fund, pretende che finisca tutto nelle tasche dei padroni.
Emblematica la vicenda dei lavoratori della sanità privata con un contratto scaduto da 12 anni. Gli industriali e molti politici che durante i giorni più duri della pandemia hanno speso tante parole in favore del personale sanitario che ha sopportato sacrifici e pericoli per tenere in piedi l'assistenza ai malati del Coronavirus, adesso non vogliono dare loro un centesimo e non hanno intenzione di finanziare la sanità pubblica come sarebbe necessario.
Pur avanzando alcune proposte condivisibili come quella di un piano nazionale per il lavoro, il rilancio della sanità pubblica, l'intervento statale nell'economia, la conferma del blocco dei licenziamenti senza scadenza, il discorso di Landini non è mai uscito dalla logica del collaborazionismo che ancor più in questo momento, con una Confindustria all'attacco che vuole tutto e subito, vuol dire mettere i lavoratori in posizione di difesa. Eloquenti le sue parole: “Questo non è il momento di dividere, è il momento di unire, della partecipazione e della democrazia”.
La stessa Furlan da Milano gli ha fatto eco. La segretaria della Cisl rivendica il clima di collaborazione durante i momenti più critici della pandemia: “Non abbiamo trovato difficoltà in quel periodo ed è grazie a quegli accordi tra le parti sociali e il governo, e poi a quelli che i nostri delegati e delegate hanno fatto sui luoghi di lavoro, che si sono salvate tante vite, senza fermare le produzioni indispensabili”.
Ma dov'era costei, sicuramente non in fabbrica, quando gli industriali costringevano i lavoratori a produrre a ogni costo e molte aziende non indispensabili (non tutte) sono state chiuse grazie agli scioperi spontanei degli operai? O quando anche il governo e gli amministratori regionali e locali appoggiavano le aperture incondizionate perché “l'economia non si può fermare”?
Bombardieri della Uil da Roma ha dichiarato: “Attendiamo la convocazione dal governo. Faremo una mobilitazione nei posti di lavoro, nelle piazze. Il patto di stabilità è stato sospeso ma chiediamo al governo e all’Ue di dire definitivamente che non si applicherà più”. Ma le sue sono sembrate più dichiarazioni di circostanza che di sostanza, magari per far recuperare un po' di visibilità alla sua organizzazione sindacale e alla sua figura di neopresidente.
Quella del 18 settembre la possiamo considerare come un'iniziativa riuscita, ma assolutamente insufficiente. Indubbiamente la richiesta d'investire tutte le risorse per un piano nazionale del lavoro che abbia lo scopo di difendere e aumentare l'occupazione, tenendo di conto della salvaguardia ambientale, è il punto fermo da cui partire. Ma non si può sperare che ciò possa avvenire con la collaborazione senza subordinare gli interessi dei lavoratori a padroni e al governo.
Non si può dire “adesso è il momento dell'unità” e magari invitare i lavoratori alla moderazione “perché c'è la crisi”. Qui servono la mobilitazione, la lotta di classe e gli scioperi perché sia messo il lavoro prima di tutto.
30 settembre 2020