Con la mediazione dei governanti dell'imperialismo americano
Israele e Libano trattano sui confini
Nel commentare la recente nascita dell'East Mediterranean Gas Forum (EMGF), il cartello nato con la sponsorizzazione dell'imperialismo americano tra Italia, Egitto, Israele, Grecia, Cipro e Autorità nazionale palestinese per costruire una alternativa ai rifornimenti energetici russi sfruttando gli enormi giacimenti di gas che si trovano in profondità nel Mediterraneo orientale e dove è sempre più attiva e provocatoria la concorrente imperialista Turchia, notavamo che al gruppo dei paesi della regione affacciati su quelle acque mancava il Libano. Una mancanza che potrebbe essere colmata dall'avvio di negoziati per mettere fine alla disputa su confini marittimi tra Libano e Israele annunciati l'1 ottobre.
Il negoziato sotto l'assistenza degli Usa e delle Nazioni Unite fra i due paesi che sono ancora formalmente in guerra ma potrebbe andare in porto perché entrambi hanno necessità di risorse energetiche e di incamerare i dividendi dello sfruttamento dei giacimenti di gas davanti le loro coste; i sionisti per sviluppare la propria industria di guerra, il Libano per far fronte alla spaventosa crisi economica e alla rivolta popolare che ha fatto cadere il governo.
I negoziati si terranno a Ras Naqura, nel Sud del Libano, nei locali della base militare dell’Unifil, la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite creata il 19 marzo 1978 con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il cui mandato è stato recentemente prorogato fino al 31 agosto 2021. Attualmente la missione Onu è comandata dal generale italiano Stefano Del Col, circostanza che ha permesso all'imperialismo italiano di garantire l'appoggio ai negoziati e ribadire la sua attiva presenza militare nella regione. "Benchè la demarcazione del confine marittimo sia al di fuori dal suo mandato la missione UNIFIL è pronta ad offrire alle Parti tutto il supporto necessario", sottolineava una nota del ministero della Difesa italiano.
Da un punto di vista tecnico la definizione dei confini marittimi fra i due paesi, e di conseguenza i diritti di sfruttamento delle risorse in quelle acque, deve anzitutto dirimere la controversia sulla rivendicazione da parte di entrambi di una zona economica esclusiva su un'area di circa 860 chilometri quadrati, nel cosiddetto Blocco 9. Una questione che è diventata di primaria importanza al momento della scoperta dei giacimenti di gas sottomarini.
Nel febbraio 2018, il Libano ha assegnato le licenze esplorative in un'area ristretta a un consorzio di aziende che comprende la francese Total, l'italiana Eni e la russa Novatek mentre il governo di Tel Aviv è più avanti e ha già avviato l'attività nel giacimento di gas Leviathan, a 130 chilometri a ovest di Haifa, con i pozzi gestiti dal consorzio nazionale Delek Drilling e dalla statunitense Noble Energy che sono pronti a allargare l'attività appena raggiunta l'intesa su confini.
L'avvio dei negoziati era stato annunciato in contemporanea da Tel Aviv, Beirut e Washington. Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, sottolineava che nel quadro della pacificazione della regione avviato dagli Accordi di Abramo, gli accordi di pace tra i sionisti gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein patrocinati dall'imperialismo americano, si inserisce questo nuovo accordo prodotto da "quasi tre anni di intenso impegno diplomatico da parte di funzionari statunitensi", un altro “accordo storico” che “offrirà il potenziale per una maggiore stabilità, sicurezza e prosperità per i cittadini di entrambe le nazioni”. Una posizione sposata dai sionisti, che avrebbero fatto partire gli incontri già il 9 ottobre, ma difficilmente digeribile a Beirut dove tra l'altro non è ancora stato messo in piedi un nuovo governo.
A Beirut l'appoggio all'iniziativa era espresso dal capo dello Stato, il cristiano Michel Aoun, e dal presidente del parlamento libanese, lo sciita Nabih Berri, il capo dell'organizzazione Amal vicina ad Hezbollah. Non stiamo parlando di un nuovo capitolo dell’Accordo di Abramo ma solo di un accordo preliminare per definire i confini marittimi e decidere lo sfruttamento dei giacimenti di gas, commentava Berri: "se la demarcazione della frontiera marittima tra Libano e Israele dovesse avere successo, in particolare nei blocchi 8 e 9, ci sarà molto spazio per pagare i nostri debiti" e far fronte all'emergenza finanziaria del paese dei cedri pressoché in bancarotta. Resterebbero aperte le altre questioni, a partire dall'occupazione sionista nel sud del paese della zone delle fattorie di Shebaa e delle continue violazioni della sovranità territoriale libanese da parte dell'aviazione e dei droni dei sionisti. Anche Tel Aviv confermava che il negoziato riguardava questioni tecniche, senza alcun collegamento "con una normalizzazione fra i due Paesi”. Come se non fosse evidente che la questione della linea di confine marittima e dello sfruttamento dei giacimenti di gas non può essere solo una "questione tecnica", ma economica e politica strettamente legata allo stato delle relazioni tra i due paesi formalmente ancora in guerra; che aggiunge un altro punto di scontro tra i due paesi nella già caldissima regione mediorientale dove i capifila mondiali imperialisti e le potenze egemoniche locali si sfidano quotidianamente, alimentando i pericoli di guerra.
14 ottobre 2020