Thailandia
300 mila in piazza contro il re e il governo e per la riforma costituzionale
Il socialimperialismo cinese appoggia il governo in carica dell'ex generale golpista Prayut
Almeno 300 mila manifestanti hanno partecipato alle manifestazioni del 14 ottobre in Thailandia contro il re Rama X e il governo del generale golpista Prayut Chan-ocha che ha guidato il colpo di Stato militare del 22 maggio 2014 e nel 2019 si è fatto rieleggere tra brogli e artifici costituzionali che garantiscono la maggioranza a un Senato di nomina e non elettivo; chiedevano una riforma della costituzione che modifichi sostanzialmente quella elaborata dai militari golpisti, con maggiori libertà democratiche e il ridimensionamento del ruolo e della dotazione economica del re compresa la cancellazione del reato di “lesa maestà” che punisce le offese nei suoi confronti con il carcere fino a 15 anni, la fine delle persecuzioni verso gli oppositori politici e la liberazione dei militanti arrestati. La maggior parte dei manifestanti ha partecipato al corteo nella capitale Bangkok che ha stretto d'assedio la sede del governo, sfidando la repressione della polizia che la sera precedente aveva arrestato alcuni attivisti nella piazza centrale della città dove campeggia il monumento alla democrazia, simbolo della protesta, e da dove è partito il corteo che ha marciato sul palazzo del governo.
La risposta del governo è stata la proclamazione dello stato d’emergenza che prevede tra le altre la possibilità per la polizia di chiudere l'accesso a piazze e quartieri, il divieto di assembramenti di più di cinque persone e per la stampa e per ogni “altro tipo di informazioni elettroniche e mediatiche” quello della pubblicazione di “notizie nocive per la sicurezza nazionale”. Il primo intervento con i soldati dell'esercito era il blocco degli accessi alle strade di fronte al palazzo del governo e al Parlamento mentre la polizia arrestava alcuni leader della protesta che in base allo stato di emergenza possono essere trattenuti fino a 30 giorni.
Una decisione che non scalfiva la determinazione del movimento di protesta guidato da una coalizione di gruppi giovanili, nota come Movimento del popolo, in riferimento al nome di un gruppo di patrioti che nel 1932 spinsero il passaggio della Thailandia dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale. Il 15 ottobre le proteste continuavano a Bangkok, dove i manifestanti bloccavano l’incrocio di una delle aree commerciali più importanti della capitale, e in altre città.
Le proteste per la modifica della costituzione dei militari golpisti era iniziata come una richiesta di cambiamento sociale, di attenzione ai bisogni di una popolazione colpita da crisi economica e pandemia da parte di gruppi studenteschi che dai loro primi collegamenti in rete nel mese di febbraio erano passati al coinvolgimento e all'organizzazione della popolazione in iniziative di piazza a metà del luglio scorso che avevano successo nonostante il divieto di raduno e lo stato di emergenza decretato dal governo per la pandemia.
Nel mirino della protesta finiva il golpista Prayuth, salito al potere col golpe del 2014 dopo aver rovesciato l’allora premier Yingluck Shinawatra e padre nel 2017 della nuova Costituzione, la numero 18 dal passaggio della Thailandia a monarchia costituzionale nel 1932, costituzione che fra le altre conferiva all’Esercito il compito di nominare i membri del Senato. Una misura che nel 2019 garantiva, assieme ai brogli, l'elezione "democratica" di Prayuth alla guida del paese. Sotto accusa anche i poteri e i privilegi del re che, secondo gli oppositori, dalla sua ascesa al trono nel 2016 si sarebbe impossessato personalmente di beni della corona per un valore di 54 miliardi di dollari. Mara Vajiralongkorn, divenuto re Rama X nel 2016 alla morte del padre, vive nel lusso per la gran parte dell'anno in una grande villa sulle Alpi Bavaresi in Germania dove tra l'altro avrebbe frodato lo Stato della Baviera perché non ha pagato la tassa di successione sui 10 miliardi di euro dell'eredità.
Le manifestazioni del mese di luglio culminavano il 10 agosto nella stesura di un Manifesto in dieci punti in cui, che partiva dalle richieste di dimissioni di Prayut, di una nuova Costituzione e la riduzione dei privilegi della monarchia letto in piazza da un'attivista dell'Università Thammasat di Bangkok
Sotto la spinta dei gruppi studenteschi la protesta metteva a punto la sua piattaforma di rivendicazioni durante le mobilitazioni che gli scorsi 19 e 20 settembre vedevano la partecipazione di decine di migliaia di manifestanti che dimostravano la crescita di un movimento in grado di passare da piccoli comizi locali a partecipate dimostrazioni nelle strade e nelle piazze di Bangkok. Dove la popolazione decideva di mettere le proprie richieste in una lettera aperta indirizzata al re, la prime richieste erano le dimissioni del primo ministro Prayuth e del suo governo e la stesura di una nuova costituzione più democratica. A sostegno delle richieste gli oppositori organizzavano un presidio davanti il parlamento con una presenza che cresceva di giorno in giorno nel mese di settembre e lanciavano la mobilitazione generale e uno sciopero generale per il 14 ottobre. Una data che diventava un appuntamento centrale a fine settembre quando il governo, dopo che sembrava aver accettato una parte delle richieste di modifica della costituzione, decideva di rinviare di un mese il voto su sei emendamenti elaborati in parlamento e che riguardano i primi due capitoli della Carta su poteri e ruolo del monarca; nessuna traccia della richiesta di riforma del Senato nominato dai militari.
Messo sotto pressione dalla protesta popolare, il premier Prayuth esibiva i suoi santi protettori, quello nuovo, il socialimperialismo cinese che si è affiancato al vecchio imperialismo americano. Mentre le piazze di Bangkok si riempivano di manifestanti, nel palazzo del governo il premier incontrava il ministro degli Esteri cinese Wang Yi che prometteva investimenti e sostegno economico, oltreché politico esprimendo la volontà della Cina di sostenere l’impegno della Thailandia a “mantenere la stabilità sociale", scossa dalla protesta popolare.
L'aiuto economico cinese arriverà tramite gli investimenti nel Corridoio economico orientale (Eec), un’area economica speciale creata da Bangkok nel 2017, che verrebbe integrata nella Belt and Road, la nuova Via della Seta. Il primo passo di Pechino per agganciare la Thailandia e tenerla sotto tutela nell'ambito della zona economica dell'area della “Grande baia”, che comprende Hong Kong, Macao e il Guangdong, la cui costituzione è al centro delle nuove riforme economiche annunciate il 14 ottobre a Shenzhen dal presidente cinese Xi Jinping. In cambio Pechino chiede l’accelerazione del piano di costruzione del treno ad alta velocità che passando per il Laos collegherà la regione cinese dello Yunnan a Bangkok, un collegamento strategicamente importante per la Cina che rappresenta una scorciatoia per la Belt and Road
o comunque una alternativa al trasporto merci attraverso lo Stretto di Malacca, presidiato e conteso dalle navi militari americane.
La Thailandia è legata militarmente agli Usa e ospita basi aeree dell'imperialismo americano che sono molto importanti per il Pentagono nella strategia di contenimento della Cina e soprattutto adesso in piena guerra fredda tra le due maggiori potenze imperialiste. Ma l’emergenza coronavirus ha fatto crollare l’economia thailandese, con un Pil nazionale che si ridurrà di otre il 12%, e per rilanciarla Prayuth ha bisogno della Cina, che nel 2019 ha sostituito il Giappone come principale fonte di investimenti esteri con scambi bilaterali che valgono quasi 80 miliardi di dollari; un legame rafforzato dall'acquisto tailandese di carri armati, sottomarini e tecnologia militare cinese. Ha bisogno di un sostegno economico ma anche politico per tenere in piedi il suo regime sotto la pressione del crescente movimento di opposizione che si fa sentire nelle piazze.
21 ottobre 2020