Migranti rider a tre euro l'ora
Uber sotto inchiesta per caporalato e sfruttamento
Tra i 10 indagati anche una manager di Uber eats Italy
Sotto la patina di lavoro attraente, dove giovani rider
sfrecciano sorridenti in bicicletta per le città a consegnare cibo a domicilio, guadagnandosi così da vivere in maniera smart,
cioè intelligente, si nasconde un sistema di sfruttamento schiavistico dei ciclofattorini fatto di paghe da fame, ricatti e punizioni.
Questo è quanto emerso dall'inchiesta della Guardia di Finanza che ha portato il Tribunale di Milano a disporre un provvedimento mai preso prima nei confronti di una piattaforma di delivery
(consegne): il commissariamento della filiale del colosso americano. Dieci gli indagati, stralciata la posizione della società che il 22 ottobre dovrà affrontare un’udienza alla Sezione misure di prevenzione davanti al collegio presieduto da Fabio Roia. L'agenzia di delivery
ha annunciato: “Collaboriamo con le autorità”, ma questo non deve trarre in inganno, perché l'aver affidato a una società terza il reclutamento dei lavoratori non toglie che Uber abbia le sue responsabilità.
Gloria Bresciani, manager di Uber Italy, è accusata di caporalato in concorso con Giuseppe e Leonardo Moltini e Danilo Donnini, responsabili delle società di intermediazione Frc e Flash Road City srl. I quattro, scrive il pm, “in concorso tra loro e con altre persone non identificate utilizzavano, impiegavano e reclutavano rider
incaricati di trasportare a domicilio prodotti alimentari, assumendoli presso le suddette imprese per poi destinarli al lavoro presso il gruppo Uber in condizioni di sfruttamento”. Avrebbero approfittato “dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali (Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan) e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale”.
Quelli utilizzati nella metropoli milanese erano gli stessi metodi dei padroni e dei caporali che sfruttano i lavoratori agricoli della provincia di Foggia, dell'Agro Pontino laziale, di Rosarno in Calabria, del Chianti toscano o delle Langhe in Piemonte. i lavoratori venivano pagati a cottimo 3 euro a consegna, indipendentemente dalla distanza da percorrere (ritiro presso il ristoratore e consegna finale al cliente), dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria (diurna/ notturna e giorni festivi) e pertanto in modo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestati.
Le indagini hanno appurato come i rider
venivano “puniti con una decurtazione arbitraria” denominata “malus”, del compenso pattuito, qualora non si fossero attenuti alle disposizioni impartite. Nell’atto la procura ha riportato anche un “prospetto” per mostrare la paga settimanale rapportata alle ore lavorate per alcuni rider
. Uno di loro, ad esempio, per una settimana di lavoro a maggio per un totale di 68 ore di consegne aveva incassato soltanto 179,50 euro e aveva subito un “malus”, ossia una decurtazione di 24,50 euro.
Quantunque ricattabili e in molti casi profughi di guerra, i lavoratori di Uber eats si rendevano conto del regime di sopraffazione a cui erano sottoposti tanto che, stando alle intercettazioni, venivano invitati a tenere la bocca chiusa. "Davanti a un esterno non dire mai più 'abbiamo creato un sistema per disperati'. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa e non fuori". Così diceva al telefono con un dipendente di Uber Italy, Gloria Bresciani, manager della filiale italiana finita sotto indagine per caporalato.
Le consegne a domicilio (food delivery in inglese) si confermano un settore dove si sfruttano selvaggiamente i lavoratori e si negano i più elementari diritti. Non stiamo parlando di qualche “mela marcia” che non rispetta la legge. È la stessa associazione padronale Assodelivery, a cui Uber Eats aderisce, a voler mantenere il cottimo sfruttando il contratto-pirata recentemente sottoscritto con il sindacato fascista di comodo Ugl.
Ma è così in tutta la cosiddetta gig economy,
ovvero quell'economia dei “lavoretti”, ma che spesso sono l'unica occupazione disponibile, dove grazie all'utilizzo di piattaforme digitali ricche compagnie, spesso multinazionali, gestiscono la distribuzione di servizi e consegne nei più disparati settori realizzando favolosi profitti tanto che l'uomo più ricco del mondo è il proprietario di una di queste società: l'americano Jeff Bezos di Amazon. Settore dove non esiste il lavoro tutelato, ma principalmente quello basato su rapporti precari, a chiamata, a tempo determinato, a cottimo, dove il lavoratore è una pedina comandata dal padrone attraverso la piattaforma, e di cui Uber è stato tra gli apripista.
Questa società americana ha iniziato offrendo un servizio sostitutivo di Taxi, effettuato però da “privati” comandati da un algoritmo che li guidava verso il cliente più vicino. Fin da subito ha attirato le ire e le proteste dei tassisti di tutto il mondo perché Uber non era soggetta né a pagare le stesse tasse né ad ottemperare gli stessi obblighi normativi tanto che in molti Paesi, Italia compresa, è stata esclusa e riammessa più volte dall'esercizio dell'attività. Con gli anni ha poi esteso il campo anche nella distribuzione del cibo a domicilio.
Il suo nome è così legato a questi lavori precari e sottopagati fino a ispirare un neologismo: uberizzazione
. Sui vocabolari viene freddamente definito come “trasformazione di servizi e prestazioni lavorative continuativi.... in attività svolte soltanto su richiesta” ma nell'uso comune viene utilizzato per indicare la scomparsa del tradizionale rapporto di lavoro trasformato in una attività senza il diritto alla malattia, alle ferie, con paghe da fame e un salario slegato dal tempo di lavoro ma basato sul cottimo.
Queste rapaci società però non possono dormire sonni tranquilli. Finora hanno approfittato delle compiacenti legislazioni nazionali dei vari Paesi, ma i lavoratori di questo settore (ciclofattorini, operai della logistica ecc.) stando prendendo sempre più coscienza della loro condizione di sfruttamento e hanno iniziato a lottare e a organizzarsi per conquistare i loro diritti.
21 ottobre 2020