Decreto Ristori
Mance per risarcire alcune categorie. Elemosine per lavoratrici e lavoratori
Il 28 ottobre è stato approvato il DL n.137, ribattezzato “Decreto Ristori”, contenente in particolare, provvedimenti di sostegno economico per le attività che hanno subito uno stop a causa delle misure anti-Covid previste dall'ultimo DPCM di Conte, che ha parzialmente chiuso ancora una volta l'Italia. Il 6 di novembre, a causa delle numerose proteste ricevute per l'insufficienza del provvedimento, il Consiglio dei Ministri ha approvato anche il Ristori bis, che torna in materia dopo la divisione in fasce delle regioni italiane a seconda del loro rischio di contagio.
Tanti i plausi governativi che hanno annunciato con scellerato entusiasmo lo stanziamento dei primi 5,4 miliardi di euro in termini di indebitamento netto (pari a 6,2 miliardi in termini di saldo da finanziare), considerati dal Ministro dell'economia Gualtieri, una misura “rapida, semplice ed efficace”.
Nel “question time” alla Camera, Conte ha santificato gli effetti del decreto sostenendo di aver “inserito nel DL Ristori misure di sostegno immediato anche a lavoratori e imprese non direttamente interessati dalle misure restrittive.".
Il meccanismo sarà quello del coefficiente percentuale in riferimento a quanto erogato in aprile a seguito del decreto “Rilancio” e prevede che i richiedenti ricevano un importo compreso tra il 5 e il 20% del calo di fatturato nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 31 luglio 2020 rispetto all’anno precedente.
Gualtieri, ha ribadito più volte le inesistenti doti miracolistiche degli stanziamenti: “Il contributo a fondo perduto - ha spiegato - sarà erogato automaticamente a oltre 300mila aziende che già lo hanno già avuto in primavera”, e ne sottolinea gli importi “significativi”, annunciando i tempi record con i quali dovrebbero essere erogati (entro il 15 di novembre ).
Mance alle piccole imprese, poco o nulla ai lavoratori.
Approfondendo il testo, per le discoteche chiuse il ristoro dovrebbe arrivare al 400% di quanto ottenuto in primavera, per i ristoranti e le attività di accoglienza alberghiera, trasporto e collegati è previsto il 150%, mentre Bar e pasticcerie, cinema e teatri, impianti sportivi avranno il 200%, così come le sale gioco (che andrebbero chiuse reimpiegando altrove i lavoratori) di ogni ordine e sorta.
Nelle ore immediatamente successive alla presentazione del decreto, sono arrivate le critiche di Federalimentare che ritiene insufficienti le risorse destinate alla ristorazione; pelosa ed opportunista però è la posizione di Ivano Vacondio, presidente degli alimentari, secondo il quale il comparto perderà nel prossimo mese circa 2,5/3 miliardi: "Per questo, pur essendo consapevole della situazione di grande difficoltà generale, credo che non sia più il momento di erogare aiuti a pioggia: è necessario dare la priorità a comparti strategici per il paese, com'è l'horeca". Insomma non contesta l'impostazione generale ma vuole semplicemente più soldi per sé e per i suoi associati.
Taxi ed NCC hanno già scioperato il 6 di novembre per l'inconsistenza delle misure destinate a un settore già schiacciato dalla sempre maggior presenza di multinazionali.
400 milioni sono poi destinati al sostegno degli operatori turistici, agenzie di viaggio, tour operator e alle guide e gli accompagnatori. 100 milioni andranno invece al “Fondo per le emergenze delle imprese e delle istituzioni culturali”, con risorse dedicate al ristoro delle perdite subite dal settore relative alla organizzazione di fiere e congressi. Quanto agli spettacoli dal vivo previsti dal 24 ottobre al gennaio 2021, ci sarà rimborso con voucher. Sono appena 100 i milioni per le filiere di agricoltura, pesca ed acquacoltura, oltre alla decontribuzione fino a dicembre aggiunta dal DL bis.
Per le lavoratrici e per i lavoratori il decreto non prevede altro che un piccolo obolo che dovrebbe “sistemare” la coscienza di Conte e dei suoi ministri; ecco infatti annunciata l'elemosina di mille euro una tantum per i lavoratori stagionali dei settori del turismo, dello spettacolo, degli stabilimenti termali, per i venditori porta a porta e per altri prestatori d’opera.
Misero indennizzo anche ai precari dello sport; nel decreto si legge “è erogata dalla società Sport e Salute S.p.A., nel limite massimo di 124 milioni di euro per l’anno 2020, un’indennità pari a 800 euro in favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso il Coni, il Comitato Italiano Paraolimpico, le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal Coni e dal Cip, le società e associazioni sportive dilettantistiche”. Istituito anche il “Fondo per il sostegno delle Associazioni e delle Società Sportive Dilettantistiche” nel limite massimo di 50 milioni per il 2020 che, anche se consideriamo solo le circa 64 mila associate CONI, si riduce ad una irrisoria media di 781 euro ciascuna. Praticamente nulla.
In sostanza la stragrande maggioranza dei 5,4 miliardi netti finirà nelle tasche delle imprese, e soprattutto di quelle con alti fatturati poiché il nuovo contributo a fondo perduto andrà proporzionalmente a tutti gli operatori dei settori economici interessati dalle misure restrittive “senza limiti di fatturato”.
Ecco quindi che la grande fetta del contributo andrà proprio a quegli alti fatturati per i quali questa crisi rallenta solo i profitti, con il solo limite massimo di 150 mila euro che vale per tutti; è in questo modo che le grandi aziende andranno ad erodere le risorse penalizzando le piccole o piccolissime attività che sono destinate inevitabilmente a chiudere.
Inoltre la cifra stanziata è chiaramente insufficiente per coprire tutte le richieste che giungeranno, il che costringerà alla ripartizione proporzionale dei contributi che penalizzerà ancora di più i “piccoli” che avrebbero comunque ottenuto di meno.
Gli aiuti insomma avrebbero dovuto essere rivolti prioritariamente proprio a coloro che nei fatti ne sono stati esclusi o che hanno raccolto solo briciole nonostante le altisonanti percentuali che vengono decantate; parliamo delle piccole aziende o attività che rischiano seriamente di scomparire, Partite Iva che oggi sono in larga parte obbligate dalla precarizzazione del lavoro per chi svolge attività che una volta erano dipendenti, liberi professionisti di studi piccoli e microimprese.
Gli esclusi del DL Ristori
Oltre alle mance riservate alle piccole attività, ci sono categorie che non sono neanche state scalfite dal DL Ristori. Infatti davanti ai membri delle commissioni Bilancio e Finanze nelle audizioni al Senato dei primi di novembre sono sfilate oltre 30 sigle sindacali, associazioni e comitati che hanno comunemente chiesto l'allargamento delle liste dei beneficiari del provvedimento, delle risorse ritenute insufficienti, intimando di “non continuare a ragionare per codici Ateco, ma per filiera” con tutte le ragioni del caso.
Chiedono aiuti sia Federturismo che Federlaberghi, che denunciano cali di fatturato del 90%, il Comitato bus turistici che parla di perdite dell'80-90% ed i Consulenti del lavoro, visto che i liberi professionisti non godono di alcun sostegno.
Infatti ad oggi nessun indennizzo è previsto per catering, ambulanti, franchising, pizzerie al taglio, tante imprese all'ingrosso, per 35.000 agenti di commercio legati indissolubilmente al ristoro e turismo, e per 15.500 fioristi che perderanno un terzo del fatturato, e tante altre piccole attività personali che non rientrano (appunto) negli Ateco ma che stanno subendo danni economici gravi, così come i circoli ricreativi ARCI, ACLI e simili, nei quali operano principalmente volontari, chiusi dal recente DPCM e che rimangono esclusi dal provvedimento.
L'Alleanza delle cooperative parla poi di “almeno 4.500 coop attive con 75.000 occupati” che rischiano in larga misura di restare escluse dai nuovi benefici.
È poi scandaloso che il provvedimento abbia escluso, oltre alle partite IVA, i cococo, gli operai agricoli a tempo determinato, colf e badanti, gli stagionali marittimi, gli autonomi iscritti alla gestione separata, i somministrati del turismo e alcuni autonomi dello spettacolo per i quali non è prevista l’indennità Covid.
DL Ristori Bis: pochi altri contributi a fondo perduto ma solo per commercianti e partite Iva delle zone rosse
Dopo le pesanti critiche ricevute, Conte ha rimesso mano al Decreto prevedendo un ulteriore contributo a fondo perduto, riservato stavolta a commercianti e partite Iva che chiudono la loro attività nelle regioni classificate come zona rossa. Un ulteriore obolo è previsto per quelle attività che hanno sede nei centri commerciali dei quali è stata disposta la chiusura nei fine settimana.
Nelle regioni rosse nelle quali è prevista la sospensione delle attività scolastiche nelle seconde e terze classi delle scuole secondarie di primo grado il governo prevede un insufficiente “bonus baby sitter” da 1.000 euro e, nel caso in cui la prestazione di lavoro di un genitore non possa essere resa in modalità agile, da casa, il governo introduce il congedo straordinario con il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione mensile per i genitori lavoratori dipendenti. Metà paga quindi è persa.
Un provvedimento poco chiaro poiché le regioni potrebbero cambiare “colore” nelle prossime settimane e così dovrebbe essere per l'importo da erogare a bar, ristoranti, centri estetici, negozi di abbigliamento e tutte le altre categorie nell’elenco
Per capire meglio, considerando le attuali rosse Lombardia, Piemonte e Calabria e Valle d’Aosta, il contributo dovrebbe essere di 700 mila euro, ma se – per esempio – si aggiungesse la Campania, con gli stessi criteri si supererebbe di parecchio il milione; sommando ipoteticamente Puglia e Sicilia si arriverebbe quasi a 2 milioni e via via di seguito.
Il governo si dice impegnato nel recuperare risorse aggiuntive per il “fondo Ristori Bis”; tuttavia esso dovrebbe rimanere al di sotto della soglia di 1,6 miliardi di euro, poiché altrimenti sforerebbe tutti i margini di deficit aggiuntivo finora autorizzati.
Per avere più soldi insomma – che saranno in definitivo a carico delle masse popolari attraverso la tassazione ordinaria – sarebbe necessario ritornare alle Camere per chiedere un nuovo scostamento di bilancio a maggioranza qualificata, con tempi incerti e lunghi. Chiedere un margine ulteriore significherebbe anche allungare i tempi dell’operazione, senza contare che far salire ancora il deficit in corsa potrebbe complicare il già difficoltoso negoziato di Conte con l'Europa per gli aiuti del Recovery fund.
Le misure fiscali
L'insufficiente Decreto rilancio dispone anche lo stop alla seconda rata Imu in scadenza il 16 novembre, che beneficia solo i possessori di seconde case, al pignoramento degli immobili fino al 31 dicembre e tre mensilità al 60% per il credito d’imposta sugli affitti per i commercianti costretti a chiudere.
Parziali, provvisorie e sicuramente anch'esse insufficienti sono ancora una volta le misure che riguardano i lavoratori e le lavoratrici delle aziende in difficoltà per le quali si prevede solo l'aggiunta di sei settimane di cassa integrazione utilizzabili dal 16 novembre al 31 gennaio 2021 o, in alternativa, altre 4 settimane di esonero contributivo. Licenziamenti bloccati fino a fine gennaio 2021. E dopo?
Le mance del governo aumentano la povertà
Lo schema generale del provvedimento del Decreto Ristori è lo stesso già applicato nel precedente Decreto Rilancio; misure presentate come “eccezionali”, ma che stanno diventando di fatto strutturali, poiché oggi nessuno pensa più che questo tipo di provvedimento sia l'ultimo.
In questi giorni di ulteriori impennate di contagi e di ricoveri causati dalla criminale irresponsabilità del governo Conte e dei partiti che lo sostengono, sono già arrivate nuove pesanti restrizioni alla mobilità territoriale e degli esercizi economici.
Conte infatti è intervenuto con un lockdown parziale nel tentativo confessato anche alla stampa, di poter riaprire tutto per il classico consumismo del Natale, imperdibile occasione di profitto per i capitalisti in ogni angolo del mondo.
Ciò significa indirettamente che dopo una eventuale nuova apertura natalizia rimane plausibile l'ipotesi di una ulteriore ripresa dei contagi (se mai nel frattempo l'emergenza rientrasse) che necessiterà di altre chiusure; rivedremo così ancora una volta categorie che hanno sempre più l'aria di essere corporazioni a tutti gli effetti, che richiederanno a loro volta nuovi “ristori” ed altri indennizzi e che, come oggi, litigheranno per aggiudicarsi l'ennesimo piccolo osso già spolpato.
In questo quadro di fondo, molte persone che sopravvivono nel lavoro precario, intermittente o informale rimangono escluse anche da ogni “mancia”, ed anche per gli altri lavoratori, il prolungarsi di questo assistenzialismo di basso livello a “fisarmonica”, aumenterà i rischi di disoccupazione e di precarietà. Non può certo dirsi soddisfacente la proroga di due mensilità del reddito di emergenza per le famiglie sotto i 15 mila euro di reddito Isee.
Problemi già evidenti che però paiono secondari per il governo che non si accorge ad esempio delle stime della Caritas – tanto per dirne una – secondo cui nel nostro Paese i poveri assoluti sono già 450 mila in più che si aggiungono ai 4,6 milioni del 2019.
Non servono elemosine corporative ma investimenti reali e stabili
Anche stavolta dunque, in un contesto sempre più problematico nel quale l'impennata dei contagi ha ripreso la sua corsa, il governo non presenta nessuna svolta di politica economica governativa, guardandosi bene dall'impiegare – come sarebbe necessario – denari verso investimenti pubblici stabili e sufficienti nella sanità, nella scuola, nei trasporti, nella cultura, nel turismo, nell'ambiente, ed in tutti gli altri settori in crisi.
Per capire l'impalpabile impatto del provvedimento, sottolineiamo che i Decreti in questione, in ambito sanitario prevedono solo uno stanziamento di fondi per la somministrazione di 2 milioni di tamponi rapidi da far fare ai medici di famiglia e l'instaurazione di un servizio nazionale di risposta telefonica per la sorveglianza sanitari e le attività di contact tracing. Due provvedimenti basilari, che avrebbero dovuto essere operativi ormai da mesi, ma che giungono solo 10 mesi dopo l'inizio dell'epidemia.
Il Decreto Ristori e il suo aggiornamento dunque rappresentano solo un ritocco alle solite politiche economiche borghesi, delle quali inglobano e rilanciano i principi e gli obiettivi finali. Pochi miliardi che allungano il brodo ma che rafforzano le precarietà sociali proprie del sistema capitalistico, esasperate oggi dalla crisi economica collegata al Covid, lasciando nella melma con ridicole una tantum
l'esistenza delle lavoratrici e dei lavoratori; si rafforza anche il già imponente debito pubblico poiché i miliardi usati nei “Ristori” - come tutti i provvedimenti precedenti – andranno a gravare sulle spalle delle nuove generazioni.
Dopo il seppur parziale aumento delle tasse ai ceti più ricchi deciso dal governo spagnolo, Conte in conferenza stampa ha sentito subito la necessità di tranquillizzare i ricchi, escludendo a priori e nettamente un eventuale ricorso a una ulteriore tassazione di carattere patrimoniale, precisando che “Il nostro sforzo di tutte le misure che mettiamo in piedi è di non introdurre nuove tasse (...) già questo è un grande risultato. Vogliamo la pace sociale”.
Viste le reazioni contro ill Dpcm e il Decreto Ristori, non ci pare che quest'ultimo obiettivo sia stato raggiunto. Ma non è finita qua; questo decreto ribadisce e rilancia anche la dittatura antivirus del premier Conte, legittimando il recente Dpcm che estende ancora lo stato di emergenza e minaccia nuove restrizioni nei prossimi giorni. Le masse popolari, le lavoratrici e i lavoratori, i disoccupati e i precari non devono esitare oltre; devono riprendersi la piazza per rivendicare innanzitutto ed immediatamente il blocco permanente dei licenziamenti, la cassa integrazione per Covid a salario pieno e 1.200 euro al mese a tutti i senza reddito senza alcuna distinzione, garantendo loro anche tutti gli altri ammortizzatori sociali.
11 novembre 2020