L’ex superpoliziotto Longo nuovo Commissario alla Sanità in Calabria
Dal corrispondente della provincia di Reggio Calabria e della Calabria
Il 27 novembre il Consiglio dei ministri presieduto da Giuseppe Conte ha nominato commissario ad acta
della Sanità in Calabria il 67enne catanese Guido Longo. Si tratta di un ex “superpoliziotto”, da sempre fedele servitore dello Stato borghese. Basta leggere il suo curriculum vitae
per trovarne conferma.
Dopo la laurea in giurisprudenza all’università di Catania, Longo vince un concorso e nel 1978 intraprende la carriera di funzionario di pubblica sicurezza. L’anno successivo riceve il premio “Luigi Calabresi” quale migliore allievo della scuola superiore di polizia. Sempre lo stesso anno arriva a Reggio Calabria per dirigere una sezione della squadra mobile. Nel ‘92 viene mandato a Palermo dove diventa vice capocentro del Dia. Seguono i trasferimenti, con promozione, a Napoli, Roma e Caserta. Proprio in Campania Longo assesta un duro colpo al potente clan dei casalesi catturando alcuni elementi di spicco, tra i quali, Francesco Schiavone soprannominato “Sandokan”. Quindi il ritorno, questa volta come questore, a Reggio Calabria e Palermo. Da marzo 2017 a maggio 2018 è prefetto di Vibo Valentia quando si congeda per sopraggiunti limiti di età. Da fine luglio scorso è alla guida della terna commissariale del comune di Partinico, in Sicilia.
“Nella mia carriera ho sempre affrontato sfide. Ringrazio il governo per la fiducia che mi ha dato. Spero di poterla ripagare”, ha dichiarato orgogliosamente il neo commissario della sanità calabrese, dopo avere accettato l’incarico.
Si conclude così una vicenda vergognosa iniziata il 7 novembre scorso con la rimozione di Saverio Cotticelli (M5S) in seguito alle imbarazzanti dichiarazioni rilasciate proprio dall’ex generale dei carabinieri che in un'intervista televisiva ignorava, in quanto commissario, di essere il soggetto attuatore del “Piano Covid” in Calabria, aggravate ulteriormente dalle grottesche giustificazioni: “Era la mia controfigura, non ero lucido, sto indagando su me stesso”.
Al suo posto veniva chiamato di fretta e furia il chiacchieratissimo Giuseppe Zuccatelli, vecchio rottame del PCI revisionista, manager immorale di lungo corso della Sanità, sponsorizzato da LeU.
Neanche il tempo di insediarsi e la sua credibilità risultava definitivamente compromessa a causa di un video spuntato in rete nel quale costui metteva in discussione l’utilità delle mascherine per contrastare il contagio da Covid-19.
E siccome non c’è due senza tre, dopo giorni di temporeggiamenti, mentre le Sardine e alcuni esponenti del M5S premevano su Gino Strada, Conte, totalmente inebriato dalla dittatura antivirus, combinava un altro pasticcio affidandosi all’ex rettore della “Sapienza” Eugenio Gaudio, indagato dalla procura di Catania per la nota vicenda dei concorsi truccati. Allo stesso tempo, veniva siglato un accordo tra Emergency
e la Protezione Civile per fronteggiare l’emergenza Coronavirus in Calabria, attraverso la realizzazione dei cosiddetti “ospedali da campo”, covid-hotel e punti triage. Ma ventiquattr’ore dopo dopo la nomina, il massone Gaudio rifiutava l’incarico scaricando la colpa sulla moglie che sembrava non gradire il trasferimento a Catanzaro.
A quel punto, nel caos più totale e nella fretta di chiudere definitivamente la partita, si sono susseguite una serie di candidature non andate a buon fine per contrasti sorti in seno alla stessa maggioranza di governo, tra cui, quelle di Narciso Mostarda, medico dirigente dell’Asl 6 di Roma, Luigi Varratta ex prefetto di Reggio Calabria e Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico.
Nelle ultime ore era spuntato anche il nome della democristiana Rosy Bindi (ex ministro della controriforma liberista al Ssn) ma alla fine Conte ha deciso di puntare su “un uomo delle istituzioni che ha già operato in Calabria, sempre a difesa della legalità”.
Con l’inutile nomina di Longo, degno erede di Cotticelli, dalle dubbie competenze manageriali, si è preferito di fatto dare continuità al disastro sanitario perpetrato dalle giunte di “centro-destra” e “centro-sinistra” alternatesi negli anni alla guida della Regione Calabria, prima, e dagli stessi commissari nominati dai governi nazionali, poi.
Ripianare i debiti pregressi - che ammontano a oltre 2 miliardi di euro - ha significato principalmente chiusura di ospedali. Basti pensare che per coprire il maxi-buco, il fascista malripulito Giuseppe Scopelliti, primo commissario della sanità calabrese, riuscì a chiuderne diciotto in un solo colpo. Questo scempio si è andato a ripercuotere inevitabilmente sulla disponibilità dei posti letto, diminuiti del 40% tra il 2000 e 2013 e del personale sanitario, meno 17,1% dal 2010 al 2017, a tutto vantaggio degli avvoltoi privati che si sono accalcati nei dintorni delle aziende “pubbliche” in difficoltà finanziarie per acchiapparne la clientela. Non è una novità: ancora oggi nei nosocomi calabresi si rischia di morire a causa di una semplice appendicite, tonsillite o broncopolmonite per mancanza di medici, infermieri, sale operatorie e sale di rianimazione attrezzate. In queste condizioni drammatiche, figuriamoci se non si muore di Covid. Proprio mentre la curva dei contagi giornalieri rallenta, facendo diventare la Calabria “zona arancione”, e la sua martoriata popolazione continua a battersi coraggiosamente per una sanità pubblica e la confisca di tutte le cliniche private.
Insomma sempre di più la militarizzazione avanza e soffoca ogni aspetto della vita politica, economica e sociale del Paese: la dittatura antivirus del premier Conte si allarga e si replica dal centro alla periferia, fino ad arrivare ora alla militarizzazione di un settore cruciale come la sanità, che avrebbe bisogno di ben altre misure e politiche di quelle decise ora per la Calabria.
2 dicembre 2020