Il premier Abiy Ahmed cerca la soluzione di forza contro il Tplf
Addis Abeba invia l'esercito in Tigray
Il primo ministro etiopico Abiy Ahmed lanciava il 22 novembre un ultimatum al governo del presidente dello Stato federato del Tigray, Debretsion Gebremichael, affinché deponesse le armi pena il lancio di un’offensiva militare per la conquista della capitale regionale Macallè, una volta cadute sotto il controllo dell'esercito di Addis Abeba le città circostanti. Il 28 novembre Ahmed annunciava la fine dell’offensiva militare con la conquista di Macallè, ripetutamente colpita dai suoi cacciabombardieri Mig-23 ma non difesa a oltranza dalla forze tigrine che si ritiravano assieme ai dirigenti locali che contemporaneamente dichiaravano di aver riconquistato la città di Axum e di aver lanciato razzi sulla capitale dell’Eritrea, Asmara, accusandola di appoggiare l'offensiva dei militari etiopici.
La soluzione militare scelta dal presidente etiopico ha al momento congelato una situazione di crisi che poteva sfociare nella secessione del Tigray e nel possibile collasso dello stato federale proprio nel momento in cui l'Etiopia, potenza egemonica locale nella cruciale regione del Corno d'Africa, ha aperto un contenzioso con Sudan e Egitto per la gestione dei flussi delle acque del Nilo Azzurro una volta messa in funzione la cosiddetta “Grande diga del Rinascimento”, la diga e il più grande impianto idroelettrico del continente costruiti nella regione di Benishangul-Gumuz a circa 15 chilometri dal confine con il Sudan.
Le forze tigrine si sono sottratte allo scontro frontale e hanno scelto la via della guerriglia per continuare una guerra fra i due contendenti etiopi, che dopo essersi scambiati reciproche accuse sulla responsabilità dell'inizio di aver iniziato le ostilità lo scorso 4 novembre presentano versioni opposte del conflitto che intanto registra migliaia di vittime e diverse decine di migliaia di profughi rifugiati nel vicino Sudan.
Lo scontro politico tra il governo del presidente Abiy Ahmed e i dirigenti tigrini del Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf) è nato fin dalla nascita dell'attuale governo nell'aprile del 2018. Il Fronte tigrino era la formazione guida dell'alleanza multietnica composta da quattro partiti che guidava il Paese dal 1991, il Fronte democratico rivoluzionario popolare etiope (Eprdf), e determinava il presidente in carica. L'egemonia della minoranza tigrina venne messa in discussione dai due principali gruppi etnici del paese, oromo e amara, a fronte di una crisi economica e sociale che colpiva gli strati più poveri delle masse popolari di tutte le etnie e religioni e di un crescente comune sentimento contro il governo di Addis Abeba.
Il presidente Abiy Ahmed, di etnia oromo, si presentava con un atto importante, la fine della ventennale guerra con l'Eritrea scatenata dal governo etiope del Tplf nel 1998, anche se la questione della definizione dei confini tra i due paesi è ancora in alto mare, che gli valeva il Nobel per la pace nel 2018. E con lo scioglimento dell'Eprdf, sostituito dal Partito della prosperità formato dai partiti della precedente coalizione, il partito oromo, quello amara, quello dei popoli del sud e altre formazioni minori, salvo il Tplf che si chiamava fuori.
Lo scontro tra Addis Abeba e Macallè si riaccendeva nella scorsa primavera quando il parlamento decideva di posticipare al prossimo anno le elezioni nazionali e regionali previste a settembre a causa della pandemia e di prorogare il mandato delle attuali istituzioni. Una decisione respinta dal governo del Tigray che ha tenuto le elezioni regionali il 17 settembre, vinte dal Tplf e ritenute illegali dal governo di Abiy che preparava l'intervento dell'esercito per risolvere la contraddizione con la forza, richiamando persino i militari del contingente di pace schierato in Somalia per schierarli nella guerra che scoppiava il 4 novembre.
2 dicembre 2020