54° Rapporto Censis
Il 3% degli italiani possiede il 34% della ricchezza
Cresce il divario tra ricchi e poveri

 
Il 4 dicembre scorso il Censis ha presentato a Roma il suo 54esimo rapporto sulla situazione generale del Paese nel 2020.
Salta subito all'occhio il dato più eclatante:in Italia il 3% della popolazione adulta possiede il 34% della ricchezza complessiva e questo divario tra ricchi e poveri sta aumentando velocemente a causa della pandemia, ennesima dimostrazione del fatto che non siamo affatto "tutti sulla stessa barca" come sostiene il governo del dittatore antivirus Conte al servizio del regime capitalista neofascista.
Alla base della piramide si trovano 5 milioni di precari, che il Censis definisce “scomparsi senza fare rumore” nei “lavoretti”, nei servizi e nel lavoro nero.
La pandemia ha portato nel secondo trimestre del 2020 a 841 mila occupati in meno e a 1.424.000 persone che non cercano più lavoro, il 60% dei quali sono donne.
Vi è poi c’è chi non ha nulla da mettere da parte: il 17% della popolazione, in maggioranza giovani, che non può affrontare spese improvvise.
A metà della piramide, nel ceto medio, tra partite Iva imprenditoriali e lavoratori solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari del 2019.
Già da tempo si registrano forti segnali di impoverimento in questa fascia sociale, specie per quanto riguarda il lavoro dipendente.
Osserva il Censis che nel privato è stato, per il momento, evitato uno tsunami occupazionale nel lavoro subordinato. Ma la disoccupazione «non è un evento remoto», osserva il Censis, è stato solo rimandato a dopo il 21 marzo 2021 quando terminerà il divieto di licenziamento.
I primi effetti della crisi si sono visti sui precari con i contratti a termine: da marzo 2020 a oggi non sono stati rinnovati quasi quattrocentomila contratti.
Nel Rapporto il Censis si sofferma sulla percezione del futuro da parte degli italiani: per l’85,8% degli intervistati la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no, a dimostrazione del fatto che la lotta per il lavoro stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutti i lavoratori, i disoccupati e i migranti è la questione principale sulla quale concentrare l'attenzione, specie in piena pandemia, cosa che noi marxisti-leninisti facciamo da sempre e che dimostra tra l'altro per l'ennesima volta il carattere fuorviante del “reddito di cittadinanza”, che non solo non ha affatto "sconfitto la povertà" come cianciava lo stesso Di Maio all'epoca del primo governo Conte, ma non ha nemmeno contribuito alla creazione di sana occupazione per effetto della "riqualificazione" e dei centri per l'impiego.
Fra gli occupati infatti vive con insicurezza la propria condizione il 53,7% dei lavoratori delle piccole imprese, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende.
Ci sono poi i più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva.
Maggiormente colpiti dalla pandemia e dalla crisi i giovani e le donne, rispetto al 2019, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, ovvero ben il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono almeno 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego.
Il rapporto indica che nel secondo trimestre dell’anno: “i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000). E la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Per le donne di 25-49 anni il tasso di occupazione è del 71,9% tra quelle senza figli, solo del 53,4% tra quelle con figli in età pre-scolare. E tra il 2008 e il 2019 la produttività del lavoro in Italia è aumenta appena dello 0,1%".
Per quanto riguarda il settore scolastico: "Solo l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti. Nel 18% degli istituti ad aprile mancava all’appello più del 10% degli studenti. Il 53,6% dei presidi sostiene che con la didattica a distanza non si riesce a coinvolgere pienamente gli studenti con bisogni educativi speciali. Il 37,4% teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e per la prevenzione della dispersione scolastica. Tra gli oltre 800.000 studenti non italiani, i soggetti più a rischio sono le prime generazioni (circa il 47% del totale), che incontrano maggiori difficoltà per ragioni linguistiche e culturali. C’è poi una tipologia di studenti per i quali la socialità che si instaura nelle aule scolastiche è insostituibile: gli alunni con disabilità (circa 270.000 persone solo nelle scuole statali) o con disturbi specifici dell’apprendimento (circa 276.000)".
Sempre secondo il Censis solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie della Ue imperialista.
Quello che proprio non ci convince e non ci risulta gratuita l'affermazione che il Censis fa nel Rapporto secondo la quale gli italiani sosterrebbero che sia “meglio essere sudditi che morti” perché “La tensione securizzatrice ha prodotto una relazionalità amputata e un crollo verticale del 'Pil della socialità'. Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo. Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni.)
Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro.
Oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno molte. Tra antichi risentimenti e nuove inquietudini e malcontenti, persino una misura indicibile per la società italiana come la pena di morte torna nella sfera del praticabile: a sorpresa, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani)” .
Non ci risulta affatto un gradimento da parte delle masse delle infami politiche del regime neofascista né tanto meno di una ulteriore restrizione degli spazi di democrazia borghese, anzi semmai è vero l'opposto, all'aumento delle disparità economiche e sociali e dei devastanti effetti della crisi e della pandemia corrisponde un distacco sempre maggiore delle masse dalle istituzioni del regime e una crescita della lotta di classe e del conflitto sociale, cosa peraltro inevitabile, come si vede anche negli altri paesi e non ci sembra un caso che nell'analisi, pure importante, dei dati economici del Paese, il Censis non ne parli neppure.
Il Centro Studi Investimenti Sociali fondato nel 1964 da Giuseppe De Rita, in questa falsa analisi delle opinioni degli italiani, dimostra di avere oggettivamente paura della collera montante nel Paese nei confronti delle politiche economiche, sanitarie, sociali, interventiste e del lavoro al servizio della borghesia italiana e della Ue imperialista e finisce con l'appoggiare il governo, scavalcandolo addirittura a destra auspicando l'arrivo di un "uomo forte", più di Conte. Perché saremmo: "Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia".
I dati economici indicati nel Rapporto sono sostanzialmente corretti e fotografano la gravità della situazione del nostro Paese, le conclusioni auspicate dal Censis, spacciate per "opinione del popolo italiano", rappresentato un inquietante e inaccettabile appoggio alla dittatura antivirus del governo Conte e del regime neofascista. Meno male che esattamente un mese prima lo stesso De Rita in un'intervista al redivivo "Il Riformista" ha affermato: “l'uomo forte e il Vaffa finiranno in cantina: dalla crisi si esce con la relazione con gli altri".
I dati enunciati comunque confermano che è assolutamente prioritario buttare giù da sinistra e dalla piazza il governo Conte prima che possa fare ulteriori danni e macchiarsi di ulteriori crimini contro il popolo italiano.

16 dicembre 2020