Indetto da Cgil-Cisl-Uil il 9 dicembre
Sciopero del pubblico impiego
Destra e “sinistra” borghesi uniti contro i lavoratori. Occorre lo sciopero generale
I sindacati Confederali avevano cercato in tutti i modi di raggiungere un accordo con il governo, ma di fronte all'intransigenza di Conte e dei suoi ministri a stanziare fondi sufficienti a sostenere i rinnovi contrattuali dei lavoratori del pubblico impiego, il 16 novembre scorso sono stati costretti a rompere il tavolo delle trattative, a rispondere con la mobilitazione e a proclamare lo sciopero. Il 9 dicembre hanno incrociato le braccia i lavoratori delle funzioni centrali (Ministeri, Inps, Inail, Agenzie fiscali ecc), degli Enti locali e della Sanità (servizi essenziali esclusi) e quelli dei nidi e delle materne.
A causa delle restrizioni legate al Covid-19 anche in questo caso non è stato possibile organizzare una vera e propria manifestazione. Si è ripiegato sui presidi in varie città italiane, collegate tra loro. Da Torino a Milano, Bologna, Firenze, e poi Napoli, Bari, Palermo. A Roma il presidio si è svolto dalle 10 alle 13, davanti a Palazzo Vidoni, sede del ministero per la Pubblica Amministrazione (PA). Decine di testimonianze di infermieri, insegnanti, degli impiegati dei vari uffici hanno chiesto a gran voce il riconoscimento e la dignità del proprio lavoro, sia dal lato economico che da quello normativo e della sicurezza.
Si è trattato di uno sciopero parziale, indetto in ritardo, anche improvvisato perché di fonte all'evidenza di un esecutivo che con il pretesto del Covid-19 si è assunto quei pieni poteri solo pochi mesi fa invocati dal fascioleghista Salvini, Cgil,Cisl e Uil hanno continuato a chiedere ascolto a un esecutivo che tira dritto per la sua strada e non ha intenzione di concedere niente ai lavoratori, tanto meno a quelli pubblici. Nonostante questo si è trattato di uno sciopero che ha posto al centro delle rivendicazioni, temi sensibili e questioni irrisolte da anni, come il rinnovo dei contratti, i salari da fame, la distruzione dei servizi pubblici, a partire dalla sanità e dalla scuola.
Il governo è stato costretto a riaprire il dialogo con i sindacati, ma la ministra per la PA, la 5 Stelle Fabiana Dadone, ha chiarito subito il clima che intende instaurare: “se nell'incontro la discussione si riducesse solo ai soldi, allora calerebbe la maschera sul vero intento dei sindacati". Quindi niente aumenti anzi, chi li chiede dovrebbe addirittura vergognarsi di farlo perché c'è il Covid-19. Naturalmente questo non vale per i padroni che per bocca del capo di Confindustria Bonomi chiedono soldi per le aziende un giorno sì e l'altro pure.
Del resto mai come in questa occasione si è scatenata contro i lavoratori pubblici un'aggressione frontale dalle dimensioni e dai toni così virulenti e offensivi. Ai consueti attacchi provenienti dalla destra, si sono accodati molti esponenti della “sinistra “ borghese e anche alcuni sindacalisti, che hanno rincarato la dose tirando in ballo il Coronavirus e “l'unità nazionale”.
Dai crumiri del sindacato fascista UGL, che hanno giudicato lo sciopero “inopportuno in questo momento di emergenza sanitaria ed economica”, alla compare della stessa area politica, la ducetta Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia, che ha parlato di scelta “incomprensibile e indecente che alimenta lo scontro sociale”. A personaggi dell'area del “centro-sinistra” come l'ex presidente dell'Inps Tito Boeri, l'ex ministro Carlo Calenda, o il giuslavorista Pietro Ichino che ha affermato come per i dipendenti pubblici il lavoro da casa sarebbe stato “solo una lunga vacanza pressoché totale, retribuita al cento per cento”.
Accuse anche da esponenti di partiti di governo. Vincenzo Garruti, vice presidente M5S della commissione Affari Costituzionali: “appare lunare l’atteggiamento dei sindacati, il rischio, serissimo, che corrono è quello di apparire davvero fuori dal mondo”, e Gianfranco Librandi di Italia Viva: “i sindacati italiani hanno purtroppo scelto di essere fuori dalla storia. In un momento drammatico per la vita nazionale, con milioni di lavoratori bloccati, aziende in crisi e il rischio di povertà che avanza, lo sciopero dei lavoratori più garantiti e tutelati è semplicemente irresponsabile”. A questa cagnara non poteva mancare la voce del presidente di Confindustria Carlo Bonomi: “In un momento come questo non è la strada corretta. I lavoratori del pubblico impiego sono quelli che in questo Paese hanno sofferto meno”.
Insomma, oltre alle solite offese di essere fannulloni, di fare scioperi a ridosso di giornate di festa (come se i lavoratori non perdessero il salario scioperando), si aggiunge il fatto che essendo più garantiti rispetto ad altri, non hanno né il diritto di chiedere aumenti né il diritto di manifestare. Tanto che qualcuno si è spinto a invocare nuove misure antisciopero nel settore pubblico ancora più restrittive di quelle attuali.
Naturalmente nessuno di tutti questi interventi filogovernativi, filopadronali, nazionalisti e antioperai si è sognato di entrare nel merito delle questioni sollevate dai sindacati a dai lavoratori. Chiedere rinnovi che recuperino, almeno in parte, le perdite causate da 10 anni di blocco salariale e contrattuale, un piano di potenziamento di tutti i servizi e delle amministrazioni pubbliche a partire da nuove assunzioni e dalla stabilizzazione dei precari, il rafforzamento dei protocolli sulla sicurezza stipulati alcuni mesi fa, ci sembra il minimo che Cgil, Cisl e Uil potessero chiedere.
Le critiche che noi muoviamo ai sindacati confederali sono di segno opposto. Quelle di aver sostenuto incondizionatamente tutti i Dpcm emanati dal governo Conte, di essersi accontentati delle briciole rispetto al blocco dei licenziamenti, degli ammortizzatori sociali e della Cig senza aver messo in campo tutta la forza della classe operaia e dei lavoratori, e quella di non aver mai preso realmente in considerazione la proclamazione di uno sciopero generale nazionale con manifestazione a Roma, quanto mai urgente e necessario per piegare la tracotanza governativa contro i lavoratori.
16 dicembre 2020