Tra luglio e settembre 2020
Licenziati 75mila lavoratori, violando il blocco
I DPCM offrono numerose possibilità per aggirarlo, a cui vanno aggiunti i metodi illegali. Persi 622mila posti di lavoro rispetto a un anno fa
Il capo di Confindustria, il falco Carlo Bonomi, fin dall'inizio della pandemia e dai primi provvedimenti del governo messi in campo per tamponare in qualche modo la crisi economica e occupazionale, si è ripetutamente e insistentemente scagliato contro il blocco dei licenziamenti che, al momento attuale, è prorogato fino al 31 marzo 2021. Misure definite “sovietiche” e anticostituzionali, che andrebbero contro “la libera iniziativa privata”, per cui il rappresentante degli industriali e dei capitalisti italiani ne ha chiesto il ritiro al più presto possibile.
In questo caso non intendiamo entrare in merito alla questione, ribadiamo soltanto che noi rivendichiamo il blocco totale e permanente di tutti i licenziamenti perché quello in vigore, oltre ad essere limitato nel tempo è anche parziale. Ce lo confermano i rilevamenti dell'Istat che registrano nel terzo trimestre del 2020 (luglio, agosto e settembre) ben 75mila licenziamenti, che altrimenti non si spiegherebbero con quello che viene presentato come un divieto assoluto.
Fin dall'inizio si sono fatte tre eccezioni al blocco. Primo: sono fuori dallo stop i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività. Secondo: l’azienda può licenziare con accordo collettivo aziendale di incentivo all’esodo, che consente di concordare con ogni singolo dipendente (che è libero di aderire all’accordo) una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In questa ipotesi, i lavoratori escono dall’azienda e beneficiano della Naspi.
Terzo: sono possibili i licenziamenti collettivi intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso. Nei casi di cessazione di attività rientra, ad esempio, la chiusura dello stabilimento Whirlpool di Napoli.
A queste tre ipotesi già previste dal legislatore, il DPCM estivo ha concesso ulteriori possibilità ai padroni che, sfruttando le falle interpretative del decreto agosto, possono aggirare ulteriormente il divieto. È possibile licenziare al termine della fruizione della cassa integrazione, vale a dire quando l’impresa ha esaurito tutte le 18 settimane. Se lo stesso datore, invece rinuncia alla Cig e opta, in alternativa, per l’esonero contributivo fino a 4 mesi, è vero che non può licenziare fino a quando non ha fruito integralmente dell’esonero, ma potrebbe trattarsi di un lasso di tempo breve, se nei mesi di maggio e giugno 2020 il datore ha utilizzato poca cassa.
Infine, Secondo il professor Arturo Maresca della Sapienza di Roma, intervistato dal giornale di Confindustria il Sole 24 ore,
il divieto di licenziamento non opererebbe neppure qualora l’azienda non può ricorrere alla sospensione dei lavoratori o alla riduzione del loro orario, avendo deciso di modificare in modo strutturale l’organizzazione dell’impresa chiudendo, ad esempio, un ufficio o un reparto al quale sono addetti quattro dipendenti. In questo caso l’azienda potrebbe licenziare, ma non accedere alle integrazioni o all’esonero.
Ma non finisce qui perché ai metodi “legali”, vanno aggiunti quelli ottenuti tramite le pressioni e i ricatti padronali. Non è un caso che i licenziamenti disciplinari, contemplati dai decreti, siano aumenti in maniera spropositata. Si ricorre spesso a false accuse, ad inventarsi “dichiarazioni diffamatorie contro l'azienda” per disfarsi dei lavoratori. Metodo usato specialmente nel settore sanitario e pubblico, quasi sempre per mettere a tacere chi ha denunciato inadempienze e omissioni.
Altro metodo usato è quello del trasferimento, utilizzato da quelle aziende con più sedi che mettono con le spalle al muro i lavoratori intimandoli ad andare a lavorare a centinaia di chilometri dalla propria residenza. Ad esempio come avvenuto alla Venchi, che vuole chiudere il suo punto vendita dell'aeroporto di Fiumicino e trasferire le lavoratrici a Torino e in altre città del nord Italia.
I dati che Istat ha diffuso i dati sul mercato del lavoro nel terzo trimestre rivelano altri numeri preoccupanti. Il tasso di occupazione rimane stabile al 58%, ma rispetto al terzo trimestre 2019, il numero di occupati è inferiore di 622 mila unità (-2,6% in un anno): diminuiscono soprattutto i dipendenti a termine (-449 mila, -14,1%), continuano a diminuire gli indipendenti (-218 mila, -4,1%), mentre aumentano lievemente i dipendenti a tempo indeterminato. Il calo interessa sia gli occupati a tempo pieno sia quelli a tempo parziale, tra i quali l'incidenza del part time involontario si attesta al 66,4%.
Nel complesso abbiamo la conferma che la crisi ha colpito "duramente i lavoratori contrattualmente più fragili e svantaggiati": i dipendenti a termine che nell'arco di 12 mesi hanno perso il lavoro sono passati dal 16,9% del terzo trimestre 2019 al 23,3% del terzo 2020, e decisamente più ridotta è stata la transizione verso il lavoro stabile, dal 23,9% al 22,4%. Tra le donne la perdita del lavoro è passata dal 7% al 9,2% (tra gli uomini dal 5,5% si è saliti al 7), i giovani, dall'8,8% al 12,8% e soprattutto gli stranieri, dal 6,7% al 10,5% (contro una variazione dal 6,1% al 7,6% per gli italiani).
6 gennaio 2021