La vecchia fabbrica cade a pezzi mentre non s'intravede una nuova strategia produttiva e occupazionale
Nazionalizzare le acciaierie di Piombino
Estromettere l'attuale proprietà di JSW
È ancora in alto mare la vertenza che riguarda le acciaierie di Piombino. L'incontro svoltosi il 30 dicembre non ha diradato i dubbi che gravitano sul futuro della storica fabbrica che da un secolo e mezzo rappresenta il cuore industriale ed economico della cittadina costiera della provincia di Livorno.
Una crisi che dura da almeno 10 anni e che si è fatta sempre più profonda dopo la gestione della famiglia Lucchini, a cui è seguito lo spegnimento dell'altoforno avvenuto nel 2014 e il conseguente piano, mai attuato, firmato con il governo Renzi e la Regione Toscana, guidata allora da Enrico Rossi, il quale doveva dare una prospettiva di nuovo sviluppo industriale salvaguardando al tempo stesso l'ambiente a partire dalla realizzazione di tre nuovi forni elettrici.
Uno stabilimento che, come Taranto e altri poli siderurgici italiani, rischia di chiudere per sempre. Sono tanti i punti in comune con l'acciaieria pugliese: una fabbrica che ha bisogno di una riqualificazione, la stessa appartenenza all'Ilva per un certo periodo, una gestione che è passata dallo Stato alla famiglia Lucchini. Piombino come Taranto in scala minore, e neanche tanto piccola visto che nel periodo di massima espansione vi erano quasi 8mila dipendenti e a fine anni '80 i lavoratori erano ancora 4mila contro gli attuali 2mila.
Il nuovo millennio ha poi visto diversi passaggi societari. Nel 2005 arrivò Severstal del magnate russo Mordasov che però se ne disfece dopo pochi anni perché non aveva nessuna intenzione d'investire nei necessari interventi ambientali. Poi è stata la volta del gruppo algerino Cevital di Issad Rebrab, interessato più alla struttura portuale che all'acciaio, fino al 2018, quando la proprietà passava a uno dei più grandi gruppi del settore, la multinazionale indiana Jsw (Jindal South West) di Saijan Jindal, convinta dalla promessa di decine di milioni di euro di aiuti da parte di Stato e Regione Toscana.
Ma Jindal finora non ha fatto granché, dimostrandosi brava solo a chiedere denaro pubblico. Il piano industriale che doveva presentare è in ritardo di un anno, l'attività è ridotta al minimo e i quasi duemila lavoratori sono ancora in cassa integrazione. Nel frattempo gli stabilimenti si stanno sfaldando sotto il peso dell'inattività e dell'incuria e sono oramai un pericolo per la città.
I lavori di smantellamento degli impianti oramai inutilizzabili non è mai iniziato. Nelle giornate di vento pezzi di lamiera si staccano dai capannoni della ex cokeria mentre l'amianto presente nella maggioranza dei tetti, viene spolverato per tutta la città. Nei giorni scorsi la cabina di una vecchia gru, del peso di due tonnellate, si è staccata da un altezza di 40 metri. Per fortuna è caduta all'interno dello stabilimento e in una zona dismessa, ma si teme che l'intera gru possa venire giù.
Per questo c'era grande attesa nell'incontro in videoconferenza del 30 dicembre tra il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli, la sottosegretaria Alessia Morani che ha in mano il dossier di Piombino, l'imprenditore renziano Marco Carrai per Jsw. Il ministro ha messo sul piatto: perfezionamento del contratto di fornitura decennale di rotaie per RFI da centinaia di milioni di euro; concessione dei certificati bianchi (contributi economici per risparmio energetico) in scadenza e formalmente persi, svariate decine di milioni di “Grant” (sovvenzioni a fondo perduto), 30 milioni della Regione Toscana.
Il rappresentante di Jindal ha nuovamente preso tempo (ancora un altro anno) vagheggiando “un complesso industriale multicentrico”. Non solo acciaio quindi, su cui Carrai dice di voler impiegare non più di 800 addetti sui quasi 2.000 dipendenti diretti, ma anche attività “nel campo dell’energia, della logistica e della cantieristica”. Ma i lavoratori e i sindacati hanno risposto “o Jindal intende fare siderurgia, oppure lasci Piombino”.
La città, pur non respingendo la diversificazione produttiva, non può rinunciare all'acciaio. Come denuncia Massimo Braccini, segretario generale della Fiom Toscana: “i materiali vengono ancora importati da fuori. Senza investimenti per rendere efficienti gli impianti e l’autonomia produttiva i conti vanno in rosso. Ma non solo: gli anni di crisi e i continui cambi di proprietà hanno finito per distruggere un intero sistema produttivo e l’economia di una città che dipende dall’acciaio. Con la fabbrica chiusa l’indotto è praticamente sparito e migliaia di persone hanno perso il lavoro”.
Questo anche a causa delle giunte locali e Regionali a guida PD che non hanno difeso come dovevano le acciaierie. Come avviene spesso in Italia, si è usato la parola magica “turismo” pensando di rispondere alle crisi industriali con la riconversione nella “fabbrica delle vacanze”, dimostratasi del tutto fallimentare. Non a caso alle ultime elezioni la città ha cacciato il Pd e i suoi alleati dal Palazzo Comunale, sull’onda dell’indignazione per il previsto raddoppio della discarica Rimateria, in precedenza privatizzata, perché la popolazione non accetta la deindustrializzazione per diventare un polo nazionale dei rifiuti.
Lavoratori e sindacati vogliono mantenere a Piombino la produzione, non solo la trasformazione dell'acciaio. Ma nell'incontro non si è parlato di cifre e impegni precisi, del rifacimento dei laminatoi, e neanche dell'istallazione dell'unico forno elettrico a tutt'oggi forse previsto, dei tre promessi nel tempo che fu. Non c'è stato nessun chiarimento sulla quota con cui dovrebbe entrare lo Stato in Jsw, né su chi dirigerà lo stabilimento, né sul ruolo di Piombino all'interno di un piano nazionale della siderurgia. Mentre le bonifiche saranno trattate nell'ennesimo tavolo ministeriale.
La nazionalizzazione dell'azienda e l’estromissione di Jindal, che non offre nessuna garanzia, non è più rinviabile. Fin da subito lo Stato deve prevedere per Piombino un piano di investimenti di portata storica per le bonifiche, le infrastrutture, la ripartenza delle acciaierie per una produzione pulita di alta qualità. Un piano di rinascita che deve essere elaborato insieme dai lavoratori e dalla popolazione e che deve trovare le risorse attingendo anche dal Recovery fund, da cui il territorio, ad oggi, sarebbe escluso.
In un comunicato stampa l'area Riconquistiamo tutto
della Cgil chiede a gran voce: “un coordinamento dell’intero comparto siderurgico italiano, da Taranto, a Terni, a Piombino, mediante una pianificazione moderna e lungimirante, rispettosa dell’ambiente...è urgentissimo smantellare la cokeria, e realizzare un nuovo treno rotaie, nonché i nuovi forni elettrici promessi, lontano dalla città. E non solo un forno.” Intanto in fabbrica e nella Cgil i lavoratori più combattivi hanno invitato i sindacati a mettere in campo le necessarie mobilitazioni locali e nazionali, anche in vista del prossimo confronto con azienda, istituzioni e Ministero.
Con un adeguato piano di investimenti pubblici a Piombino devono essere assicurati lavoro e salute: lavoro alle migliaia di operai che da troppo tempo languono nella disoccupazione e nella cassa integrazione e salute per l'intera città grazie alla bonifica delle aree fortemente inquinate e degradate e a nuovi impianti avanzati che rispettino gli insediamenti umani, l'ambiente e la natura.
13 gennaio 2021