Squallido spettacolo della democrazia e del parlamentarismo borghesi sotto la regia di Mattarella
Conte salvato dai trasformisti come lui
Ma i problemi delle masse e la crisi del capitalismo permangono
Solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono salvare l'Italia
Dopo il ritiro di Italia Viva dal governo Giuseppe Conte, giocando il tutto per tutto, è andato alla Camera il 18 gennaio e il 19 in Senato per chiedere la fiducia. E l'ha ottenuta, grazie a una manciata di voti raccattati qua e là e all'astensione dei renziani. Però in Senato non è riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta, che lo avrebbe messo al sicuro, per cui la crisi è solo rimandata di qualche settimana se non riuscirà a rafforzarsi subito con altri arrivi che vadano a costituire un nuovo gruppo centrista in parlamento che gli faccia da stampella.
Nel suo discorso il dittatore antivirus, senza l'ombra di un'autocritica ed auto assolvendosi per la conduzione dell'emergenza pandemia, condotta dal governo “col massimo scrupolo”, ha fatto un lungo elenco delle cose realizzate e di quelle messe in cantiere, per arrivare a dire che questa esperienza è stata interrotta bruscamente e in maniera incomprensibile da Renzi che, pur senza mai nominarlo direttamente, ha accusato di “attacchi mediatici molto aspri e a volte scomposti” e di essersi voluto “smarcare” dalla maggioranza nonostante la sua “massima disponibilità” ad “evitare che la crisi potesse esplodere”: una rottura “senza alcun fondamento”, che avviene “in una fase cruciale del nostro Paese, con una pandemia ancora in corso”, una “ferita nel Paese” che “non si può cancellare”, ha rimarcato il premier, e “adesso si volta pagina”.
Chiusa definitivamente la porta a Renzi, Conte l'ha invece aperta ai “costruttori”, ai “volenterosi” disposti a rimpiazzare i suoi voti per far andare avanti il suo governo, coloro, ha sottolineato, che “si collegano alle migliori tradizioni democratiche, liberali, popolari, socialiste”. Un chiaro riferimento al socialista craxiano Nencini, che permette a IV di avere il gruppo parlamentare grazie al simbolo del PSI, e che Conte ha corteggiato chiamandolo “fine intellettuale”, ottenendone il voto a favore all'ultimo tuffo.
Conte ha strizzato l'occhio soprattutto all'UdC di Cesa e a Forza Italia di Berlusconi, rammentando loro il Family Act
con l'assegno unico per i figli recentemente approvato, il voto comune sullo scostamento di bilancio e i provvedimenti per gli autonomi, e gettando loro l'amo della riforma elettorale proporzionale. E ha fatto appello (“Aiutateci, aiutateci a ripartire”, ha detto) a tutte le forze che “hanno a cuore il destino dell'Italia”, nel solco della tradizione “europeista” che il suo governo ha “ripristinato” contro le “derive nazionaliste e le logiche sovraniste”.
A questo proposito, per marcare la sua conversione europeista e fugare le critiche di essere ancora nostalgico di Trump, nella replica ha vantato la “forte sintonia” tra la Commissione europea e il suo governo; e su pressione del PD ha detto di guardare “con grande speranza alla presidenza di Biden”, che nel discorso non aveva neanche ricordato.
Lo strappo di Renzi per far fuori Conte
Ma come si è arrivati al braccio di ferro parlamentare? Il giorno dopo il Consiglio dei ministri del 12 gennaio, in cui le ministre di IV Bellanova e Bonetti si erano astenute sul Recovery plan, appena modificato per andare incontro ad una delle principali richieste di Renzi, la crisi interna al governo che si trascinava almeno da novembre era rapidamente precipitata. Il 13 gennaio si apriva con Conte richiamato da un irritato Mattarella per concordare una marcia indietro rispetto alla sua ultima dichiarazione di guerra contro Renzi, cosa che il premier eseguiva in un discorso alla stampa davanti a Palazzo Chigi in cui offriva al leader di IV una nuova apertura di trattative per un Conte 3 e un “patto di legislatura”. E si chiudeva con la conferenza stampa di Renzi per annunciare il già avvenuto ritiro delle sue ministre dal governo e pronunciare una durissima invettiva contro Conte, accusato di governare attraverso i dpcm e i social media procurando un “vulnus democratico”, sbattendo così la porta in faccia alla sua offerta e agli sforzi di mediazione tentati fino all'ultimo da Mattarella e dal PD.
Era il segnale che tra le opzioni a sua disposizione Renzi aveva scartato decisamente quella di un governo Conte 3, malgrado le promesse e le concessioni alle sue richieste, per scegliere quello che è sempre stato lo scenario da lui preferito: un governo con la stessa maggioranza ma senza Conte, con un premier del PD o del M5S, che gli permettesse di tornare a dare le carte come nella crisi dell'estate 2019, liberandosi al contempo di un concorrente politico dal quale ormai lo divide anche un'insanabile avversione personale. Nella convinzione che PD e M5S si sarebbero spaccati e avrebbero finito per sacrificare Conte e trattare con lui piuttosto che rischiare le elezioni anticipate. E come scenario di riserva si teneva comunque sempre aperta la porta ad un governo istituzionale, ipotesi sulla quale non ha mai smesso di trattare con Berlusconi e Salvini.
Lo squallido mercato dei voti in parlamento
Però per il PD e il M5S, se pure all'inizio avevano dato corda a Renzi per ridimensionare lo strapotere personale di Conte, stavolta il leader di IV aveva alzato troppo la posta, provocando una crisi al buio ed evocando lo spettro del voto. Dimostrandosi con ciò, secondo lo stesso Zingaretti, “inaffidabile per la stabilità di governo in qualsiasi scenario si possa immaginare”. Perciò hanno dovuto fare quadrato intorno a Conte per cercare di salvare il governo, anche a costo di andarsi a cercare i voti in parlamento come da tempo andava chiedendo il premier.
È così cominciata quella caccia ai voti di cani sciolti, voltagabbana e transfughi di cui le Camere nere sono piene alla quale abbiamo dovuto assistere per giorni, e che gli stessi cacciatori del PD, del M5S e di LeU bollavano fino a ieri col termine divenuto dispregiativo di “responsabili”. Un mercato delle vacche dai tratti più grotteschi del solito, condotto anche personalmente per telefono da Conte, con la riesumazione dei più screditati trafficanti di voti della seconda repubblica come i vari Mastella, Cesa, Casini. E con i compratori di ieri – parliamo di Berlusconi, Salvini e Meloni, che governavano con gli Scilipoti e i Razzi, e di Renzi, che governava con i Verdini e gli Alfano - che facevano la morale ai compratori di oggi che stanno al governo. Lo stesso Renzi ha scelto opportunisticamente di non votare no alla fiducia, in piena contraddizione con la durezza delle accuse rinnovate in aula a Conte, ma di astenersi per non rischiare una spaccatura nel suo gruppo, da quella parte dei suoi che hanno mal digerito il suo spregiudicato gioco all'azzardo.
Alla fine questo squallido spettacolo della democrazia e del parlamentarismo borghesi sotto la regia di Mattarella, che conferma il grado di corruzione a cui sono arrivate le istituzioni borghesi, qualche risultato l'ha dato. E questo nonostante il ferreo catenaccio quotidiano dei leader del “centro-destra” sui loro parlamentari più in bilico. Ma non come Conte e i partiti che lo sostengono speravano. Alla Camera Conte ha avuto la maggioranza assoluta, con 321 sì, 259 no e 27 astensioni alla fiducia. Invece al Senato è riuscito ad ottenere solo 156 sì, più di quelli dei tre partiti di governo, ma non sufficienti a garantirgli la maggioranza assoluta di 316 voti. I no sono stati 140, tutti del “centro-destra” ma anche di ex M5S fuoriusciti o espulsi, e gli astenuti 16, tutti dei renziani. Senza questi ultimi, che peraltro fino all'ultimo sono stati incerti se votare no insieme alla destra, Conte non avrebbe avuto nemmeno la maggioranza semplice.
Il disegno di Conte e i timori del PD
In altri tempi sarebbe bastato anche meno per rinviare il presidente del Consiglio al Quirinale a presentare le dimissioni. Ciononostante sembra che Conte salirà al Colle solo per riferire a Mattarella, ma ha deciso di tirare dritto con questa maggioranza ancor più traballante di prima, nella speranza che i “responsabili”, o “volenterosi” a cui ha fatto appello, arrivino a rinforzarlo strada facendo nelle prossime settimane, attirati dai due ministeri di IV che si è tenuto stretti e da qualche altro posto di sottogoverno. O magari dalla speranza di essere ricandidati in quel “partito di Conte” di cui si parla da tempo. Egli ha dovuto smentirlo per non giocarsi la solidarietà del PD e del M5S, dato che un tale partito toglierebbe loro voti e poco e nulla al “centro-destra”, ma è chiaro a tutti che continua a lavorarci sottobanco.
Non per nulla Zingaretti, pur definendo “un fatto politico importante” la fiducia alla Camera, gelando la soddisfazione di Conte gli ha dato un avvertimento dichiarando davanti ai suoi senatori che “la situazione è molto difficile e complessa. E la strada per uscirne si è fatta stretta, strettissima”, e che “non possiamo accettare tutto”. Mentre il capogruppo dei deputati del PD, Delrio, nel suo intervento in aula lo ha così ammonito: “Lei non è qui per sopravvivere ma per dare un orizzonte di forza e dignità al governo per il bene degli italiani...per questo chiediamo un nuovo patto di legislatura, con priorità e cronoprogramma. Lei ha detto che lo faremo presto, noi abbiamo fiducia che sarà così perché il Paese non può aspettare”.
Pur andando avanti col Conte 2 e ribadendo l'inaffidabilità di Renzi, il PD teme infatti di restare schiacciato tra il premier e il M5S, e che Conte si faccia forte della mancanza di alternative tra la sua leadership e il voto per tirare a campare fino al semestre bianco, quando le Camere non potranno essere più sciolte, per poi ritirare fuori il suo progetto di partito personale, lasciando così il partito di Zingaretti cornuto e mazziato. Quanto a Renzi non ha rinunciato a buttare giù Conte e si prepara a fargli la guerra nelle Commissioni parlamentari e in aula per farlo cadere. Solo che a questo punto, salvo sempre possibili ripensamenti nel PD, l'unico scenario che gli è rimasto aperto è quello dell'asse con Salvini per il governo istituzionale.
Lavoriamo per infuocare la lotta di classe, pensando al socialismo
Dunque Conte si è salvato per ora, ma si è salvato grazie ai voti dei trasformisti come lui. E comunque è destinato a cadere al primo inciampo perché non ha i numeri, e anche se nei prossimi giorni dovesse averli con l'arrivo di altri famelici transfughi, sarà comunque una maggioranza raccogliticcia e ancor più litigiosa e instabile di prima.
In ogni caso i problemi delle masse e la crisi del capitalismo sono ancora tutti lì sul tappeto. Il Paese sta soffrendo la peggiore crisi del dopoguerra, con la pandemia ancora fuori controllo, centinaia di morti da covid al giorno e la sanità pubblica sempre a rischio di collasso, mentre la campagna di vaccinazione stenta ancora a decollare o subisce gravi battute d'arresto. Intanto circa 700 mila persone hanno già perso il lavoro dall'inizio della pandemia nonostante il divieto di licenziare, e ad aprile scadrà la proroga del divieto di licenziamento e la cig covid, mentre le scuole continuano a restare chiuse in molte regioni e le masse lavoratrici e popolari si stanno impoverendo ad ogni giorno che passa.
Qualunque sia lo sbocco che i politicanti del regime capitalista neofascista finiranno per dare a questa crisi di governo, il proletariato e tutte le masse lavoratrici e popolari devono contare solo sulle proprie forze e sulla lotta di classe, se vogliono conquistare più diritti e migliori condizioni di vita, di lavoro e di salute, giacché ogni soluzione mirerà a scaricare la crisi del capitalismo sulle loro spalle.
Lasciamo perciò che i galli del pollaio del capitalismo continuino a beccarsi e lavoriamo per infuocare la lotta di classe, restando fermamente all'opposizione dei governi della destra e della “sinistra” borghesi e pensando al socialismo. Solo il socialismo e il potere politico del proletariato possono salvare l'Italia e liberarla dallo sfruttamento capitalista, dalla miseria e dal fascismo.
20 gennaio 2021