Teorizzando il multilateralismo al Forum di Davos
Xi, nuovo imperatore della Cina, si prepara come leader dell'imperialismo mondiale
Il Forum economico mondiale di Davos in Svizzera, una delle organizzazioni informali del capitalismo mondiale, causa coronavirus si è svolto dal 25 al 29 gennaio con interventi online dei capi di Stato e di governo e dei responsabili delle istituzioni e organizzazioni internazionali con al centro il tema di come uscire dalla peggior recessione dai tempi della seconda guerra mondiale causata dalla pandemia. Secondo stime del Fondo monetario internazionale la produzione mondiale ha avuto una perdita annuale di 22 mila miliardi di dollari e il pil mondiale si è ridotto e segna un -3,5%. Un dato medio, perché in diversi paesi la crisi ha solo rallentato la crescita, come in Cina. La Cina anzi avrebbe già ripreso la corsa, gli Stati Uniti dovrebbero farlo nella seconda metà del 2021, i paesi europei mediamente nel 2022, salvo alcuni, come l'Italia, che aspetteranno il 2023.
Dalla tribuna informale di Davos si è alzato un coro, da Xi Jinping a Vladimir Putin a Emmanuel Macron, per sostenere che bisogna puntare a uno sviluppo economico che compensi le diseguaglianze sociali, geografiche e climatiche, proprio loro che sono fra i protagonisti imperialisti che le hanno generate; la cancelliera tedesca Angela Merkel sottolineava la necessità di essere "interdipendenti". Il nuovo imperatore della Cina Xi è intervenuto il primo giorno, il 25 gennaio, e ha tenuto un corposo intervento per esaltare la globalizzazione e il multilateralismo. Assente il presidente Joe Biden appena insediato e impegnato a rimettere in moto la macchina diplomatica dell'imperialismo americano, Xi ha avuto tutto lo spazio per far capire che il leader del socialimperialismo cinese si prepara a essere leader dell'imperialismo mondiale, e non solo per le credenziali economiche più favorevoli fornitegli dai dati del Fmi.
Il discorso che il fondatore e presidente esecutivo del Forum Klaus Schwab definiva "storico" in un momento cruciale "della storia dell'umanità", Xi metteva subito le mani nel piatto sostenendo che "il mondo non tornerà a quello che era in passato. Ogni scelta o mossa che facciamo oggi darà forma al mondo del futuro" e dettava i "quattro compiti principali" da affrontare adeguatamente. Indicava la strada e nello stesso tempo si proponeva per guidare il mondo in quella direzione. La prima cosa da fare sarebbe un maggior "coordinamento delle politiche macroeconomiche" per promuovere "congiuntamente una crescita forte, sostenibile, equilibrata e inclusiva dell'economia mondiale, uno sviluppo a lungo termine, solido e costante", che possa "colmare il divario tra paesi sviluppati e in via di sviluppo e portare insieme crescita e prosperità per tutti"; una falsa visione pacifica che viaggia tra indicazioni a "abbandonare i pregiudizi ideologici e seguire insieme un percorso di pacifica convivenza, mutuo vantaggio e cooperazione vantaggiosa per tutti", alla condanna di chi vuole "imporre la gerarchia alla civiltà umana o di imporre agli altri la propria storia, cultura e sistema sociale" per arrivare all'invito all'unità "contro le sfide globali e creare insieme un futuro migliore per l'umanità". Insomma per Xi non esisterebbe la contrapposizione tra socialismo e capitalismo, anzi dipinge il capitalismo come una panacea in grado di sviluppare un idilliaco e infinito benessere per tutti invece che generare una ricchezza sempre maggiore per la borghesia e sfruttamento e oppressione per la classe operaia e le masse popolari, ripetute crisi economiche e guerre. Il nuovo imperatore della Cina vola alto e non fa neanche finta, come il compare Putin, di criticare le disparità a favore dell'1% ricco del mondo.
"I problemi che il mondo deve affrontare sono intricati e complessi. La via d'uscita è il sostegno del multilateralismo e la costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l'umanità", ecco la soluzione avanzata da Xi. Che spiegava: "il multilateralismo riguarda il fatto che gli affari internazionali siano affrontati attraverso la consultazione e il futuro del mondo deciso da tutti coloro che lavorano insieme. Non dobbiamo costruire piccoli recinti o iniziare una nuova Guerra Fredda, rifiutare, minacciare o intimidire gli altri, imporre sanzioni che creano isolamento e spingono il mondo solo alla divisione e fino allo scontro che ci condurrà in un vicolo cieco".
"Non dobbiamo tornare sul sentiero del passato", continuava Xi, "l'approccio giusto è agire sulla visione di una comunità con un futuro condiviso. Dobbiamo sostenere i valori comuni dell'umanità, vale a dire pace, sviluppo, equità, giustizia, democrazia e libertà, superare i pregiudizi ideologici, rendere i meccanismi, i principi e le politiche della nostra cooperazione i più aperti e inclusivi possibile e salvaguardare insieme il mondo pace e stabilità". Che anzitutto vuol dire "costruire un'economia mondiale aperta, sostenere il regime commerciale multilaterale, scartare standard, regole e sistemi discriminatori ed escludenti e abbattere le barriere al commercio, agli investimenti e agli scambi tecnologici". Insomma una volta che abbiamo stabilito il quadro dei "valori" comuni si passa agli affari che non devono conoscere ostacoli di nessun genere, una condizione che non assicura pari opportunità ma inevitabilmente favorisce il paese o i paesi già più forti. Sono loro che alla fine decidono nel "coordinamento delle politiche macroeconomiche e come mantenere stabili e aperte le catene globali industriali e di approvvigionamento", un compito che infatti Xi assegna al G20, definito come il forum principale per la governance
economica globale, il gruppo che riunisce le prime venti economie del mondo che hanno il 60% della popolazione mondiale e controllano il 75% del commercio.
Xi si impegna a "rimanere fedeli al diritto internazionale e alle regole internazionali invece di cercare la propria supremazia", a partire dal rispetto della Carta delle Nazioni Unite, perché "la governance
internazionale dovrebbe essere basata sulle regole e sul consenso raggiunto tra di noi, non sull'ordine dato da uno o da pochi", pena di far ricadere il mondo nella legge della giungla con "conseguenze devastanti per l'umanità". L'Onu e le istituzioni multilaterali vanno salvaguardate, "sono l'architettura di base del multilateralismo", ribadisce, le relazioni da Stato a Stato dovrebbero essere coordinate e regolamentate affinché "il forte non faccia il prepotente con il debole e le decisioni non siano prese semplicemente mostrando muscoli o agitando un grosso pugno". Consultazione e cooperazione, rispetto delle differenze e soprattutto non "immischiarci negli affari interni di altri paesi", sono la strada da seguire, niente conflitto o confronto "sia esso sotto forma di guerra fredda, guerra calda, guerra commerciale o guerra tecnologica" che alla fine danneggiano tutti i paesi, solo "una concorrenza leale".
Così potremo affrontare anche "il momento di un grande sviluppo e di una grande trasformazione", dei cambiamenti e delle sfide globali che il mondo sta affrontando; col multilateralismo nel 21° secolo, ribadisce Xi, che richiede la riforma e il miglioramento del "sistema di governance
globale, sulla base di ampie consultazioni e costruzione del consenso". Un sistema composto dall'Onu, dall'Organizzazione mondiale della sanità, dall'Organizzazione mondiale del commercio, che stimoli la crescita economica globale e rispetti l'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
Nel suo primo intervento a Davos nel 2017, il primo di un presidente cinese, Xi Jinping si presentava come leader della globalizzazione, degli accordi multilaterali da rispettare, dello sviluppo dei rapporti in nome del reciproco interesse contro il protezionismo e la politica di prima di tutto gli Usa preannunciata dall'irruzione di Trump alla Casa Bianca e la sua politica di ripristino della leadership imperialista mondiale degli Usa a suon di accordi commerciali disdetti che preparavano le guerre commerciali, a colpi bassi anche verso gli alleati e non solo i principali concorrenti Cina e Russia. Xi rassicurava politici, banchieri e economisti presentandosi come paladino della globalizzazione, dei fondamenti del liberalismo e degli accordi sul clima. Quattro anni dopo, anche se ha chiaro che Biden continuerà il confronto diretto con Pechino come preannunciato dal segretario di Stato Blinken, saluta la meteora Trump e la sua politica urlata e dell'esibizione dei muscoli e si presenta come un pacato, ragionevole e affidabile leader che si impegna a rispettare le regole e smussare i contrasti, che ha tutti i titoli per fare da guida all'imperialismo mondiale. Certamente meglio di Trump che se ne è andato, e anche di Biden che ancora non è in piena operatività. Tanto più che il nuovo presidente americano ha una visione più ristretta sugli sviluppi dello scenario internazionale e al momento si è limitato a annunciare un "Summit globale per la democrazia" per una "azione collettiva contro le minacce globali", per "contrastare l’aggressione russa" e per "costruire un fronte unito contro le azioni offensive e le violazioni dei diritti umani da parte della Cina, che sta estendendo la sua portata globale". Anche Biden vuole che "l'America guidi il mondo" ma al momento si ferma al punto di chiamare a raccolta gli alleati imperialisti contro le rivali Cina e Russia, una conferma del declino dell'imperialismo americano non più leader incontrastato. E non si torna indietro gli ha ripetuto Xi dalla tribuna di Davos presentando un progetto che finiva con una serie accattivante e stucchevole di buoni propositi del tipo "la Cina si impegnerà più attivamente nella governance
economica globale e nella spinta verso una globalizzazione economica più aperta, inclusiva, equilibrata e vantaggiosa per tutti", "lavorerà con altri paesi per costruire un mondo aperto, inclusivo, pulito e bello che goda di pace duratura, sicurezza universale e prosperità comune".
Per tornare a una realtà che è ben diversa da quella dipinta dal nuovo imperatore cinese potremmo ricordare che per farsi spazio in Africa Pechino ha investito una montagna di denaro per favorire l'attività delle multinazionali cinesi che hanno costruito e spesso gestiscono importanti infrastrutture necessarie agli affari lungo la nuova Via della seta
e terminali collegati; denaro dato sotto forma di prestiti in parte condonati ma sarebbero 150 i miliardi di dollari concessi negli ultimi 20 anni e che rappresentano una quota intorno al 20% dell’intero debito attuale dei Paesi africani. Paesi col cappio del debito al collo e con l'altro capo della corda in mano alla Cina.
Giusto un anno fa scoppiava la pandemia da coronavirus, un frutto amaro della devastazione della natura, della perdita della biodiversità e delle specie, della distruzione dell’habitat delle specie selvatiche, della deforestazione, dell’inquinamento dell’ambiente, dei mari e dell’aria, dei cambiamenti climatici provocati dal capitalismo e dall’imperialismo che forse non a caso partiva dalla Cina socialimperialista. Con Pechino che comunque ha la responsabilità di aver nascosto i primi casi, con la complicità dell'Oms, e usato il suo peso economico per ammorbidire critiche e condanne. Tanto che a Davos la cancelliera tedesca Angela Merkel ricordava a Xi che “per il multilateralismo
serve trasparenza e all'inizio della pandemia, probabilmente non siamo stati
trasparenti quanto avremmo dovuto riguardo, ad esempio, all'informazione
divulgata dalla Cina sull'origine del virus”.
3 febbraio 2021