Per decisione della giunta di destra di Monfalcone
Una piazza al fascista Dominutti che eliminava i comunisti
Proteste dell'ANPI

 
Non è il primo episodio e senz'altro non sarà l'ultimo poiché l'erigere statue o monumenti e intitolare vie o piazze a personaggi vicini al fascismo o dichiaratamente fascisti, è divenuto ormai avvenimento quasi quotidiano, sintomo chiaro del dilagante neofascismo che permea le istituzioni del nostro Paese.
Recentemente ci siamo occupati fra gli altri – così come lo hanno fatto tutti gli altri gruppi, organismi e associazioni antifasciste – delle statue di Montanelli a Milano e di D'Annunzio a Trieste, del monumento a Graziani di Affile in provincia di Roma, tutti duramente contestati ma che sono ancora lì al loro posto senza vergogna, promossi e difesi dalla destra, ma tollerati dalla “sinistra” di governo nel nome di una falsa e opportunistica “libertà di opinione”.
Ma se in realtà il fascismo in Italia rimane un reato, seppur rimasto sulla carta, il crimine storico è incontrovertibile e certo, e questa lettura vive ancora nelle coscienze delle masse popolari antifasciste e progressiste.
Il cavallo di Troia che più di altri negli ultimi decenni è stato utilizzato per la riabilitazione del fascismo storico, fino a diventare una vera celebrazione istituzionale col “Giorno del Ricordo”, sono senz'altro state le “Foibe” e infatti il Friuli Venezia Giulia è divenuto il territorio per eccellenza battuto dalle iniziative revisioniste di destra, ma anche quello della più forte resistenza antifascista.
E siamo arrivati al punto che con la sola delibera di Giunta il Comune di Monfalcone in provincia di Gorizia guidato dalla leghista Anna Cisint ha intitolato all'ingegnere Dominutti una piazza.
Pietro Dominutti è stato un attivista dei Sindacati Giuliani e del Partito d’Azione, oltre ad essere un informatore della polizia, che nel secondo dopoguerra si rese protagonista di trasporto e occultamento di armi partecipando e arruolando manodopera assassina nelle ricostituite squadracce fasciste che si macchiarono di numerosi atti di violenza e di intimidazione con bombe e pugnali, nei confronti di militanti di sinistra e sedi di partito e organizzazioni operaie in particolare nel corso del 1947.
È determinante il suo contributo anche all’interno del Cantiere navale dove si perseguitano gli operai antifascisti e si sostituiscono con esuli fidati che arrivano dall’Istria, vicenda che apre anche indirettamente una luce su chi fossero effettivamente la stragrande maggioranza degli esuli istriani, i cui discendenti vediamo oggi tenere discorsi e testimonianze anche all'interno delle scuole pubbliche di mezza Italia.
Dominutti viene poi ucciso la sera del 14 gennaio 1948 mentre rientra dal Moto Club, luogo di ritrovo di fascisti di cui è presidente quello che era stato il segretario politico del Fascio. Un omicidio ancora oscuro che pare essere dovuto a una vendetta personale per “questione di donne o d'interesse”, ma che alcuni giornali dell'epoca come ad esempio “Il lavoratore”, attribuiscono addirittura ad una provocazione neofascista per incrinare la “pacificazione” in atto e il consolidarsi della sinistra nel territorio.
Il tentativo di attribuirlo agli antifascisti e ai comunisti è immediato, così come immediate sono le scorribande fasciste, ma le indagini in questa direzione non hanno alcun seguito e si arenano senza risposta.
Oggi però sul cippo posto dall'organizzazione nazionalista e fascista “Lega Nazionale” nel 1948 in via Terenziana, è scritto in modo retorico che venne ucciso “per l'italianità di queste terre”. La sua morte però non ha nulla a che vedere con il ritorno di Monfalcone all'Italia poiché in quel momento la città era già italiana dall'entrata in vigore del Trattato di pace di Parigi firmato il 10 febbraio precedente.
Dopo l'0annuncio dell'intitolazione, non si è fatta attendere la reazione dell'ANPI di Monfalcone che attraverso un comunicato stampa ha spiegato chi fosse davvero Dominutti, la cui sintesi sta nel titolo, “Usava bombe e pugnali contro civili in tempo di pace, vogliono dedicargli una piazza”. L'ANPI ha presentato alla Prefettura di Gorizia “nella speranza che una volta per tutte si ponga fine a questa richiesta di intitolazione di uno spazio alla sua controversa figura che, sia detto francamente, non lo merita”, alcuni documenti, fra i quali una chiara informativa ritrovata nell'archivio di Lubiana che di fatto lo smaschera: “Nell’isontino si sta formando una associazione avente lo scopo di eliminare tutti gli esponenti del Partito Comunista giuliano e dell’Unione antifascista italo-slovena. L’associazione ha la sua base al Cantiere di Monfalcone. I primi elementi che si intendono sopprimere sono: il Prof. Velioni, ex primario dell’ospedale civile, l’imprenditore Gombi e Paravan Paolo di Monfalcone. Altri elementi da eliminare verrebbero segnalati di volta in volta ”. Questo è quanto propone ad un nuovo contatto “un ingegnere del Cantiere ” (Dominutti appunto), l’8 ottobre 1946, più assistenza e denaro, ovviamente in perfetto stile fascista.
Ma per capire l'essenza della questione, sarebbe sufficiente osservare chi lo ricorda ogni anno in gennaio, quando di fronte alla lapide in via Terenziana “truci manipoli berciano i loro motti tra braccia tese e teste rasate”, e le associazioni neofasciste Monfalcone Pro Patria, Trieste Pro Patria e Luce nella Storia assieme al consigliere comunale di Fratelli d’Italia Mauro Steffè, noto neofascista che dona alla vicenda un sapore e una valenza istituzionale, radunano pochi loschi figuri che alla chiamata al camerata “Presente!”, alzano il braccio teso nel saluto romano. Il tutto, sempre protetti dalle forze dell'ordine che li mettono al riparo dai contestatori antifascisti.
All'inaugurazione con tanto di deposizione di una corona di fiori per questo nero esempio di “patriota” si è presentato anche il nipote di Dominutti, che ufficialmente dichiara di essere presente “non per politica ma per il dolore della famiglia”, mentre in rete lancia costantemente epiteti del calibro di “Noi tireremo dritto”, e che esibisce con italico orgoglio tatuaggi riconducibili alle SS naziste.
“È stata piantata l’ennesima bandierina per riscrivere la storia di questa città in stile nazionalista”, commentano Monfalcone Meticcia e il PRC, ma questi fatti non sono solo responsabilità della destra: il quotidiano “Il piccolo” di Trieste ha riportato infatti proprio in questi giorni che “Era stata nel 2010 l’ex assessore alla Cultura della giunta Altran, la dem Paola Benes, a ringraziare in una lettera a queste colonne chi anonimamente, negli anni, si era premurato di tener pulita e ornata con fiori la lapide che ricorda la morte di Dominutti.”
Insomma, siamo di fronte all'ennesimo episodio che mostra come nel nostro Paese non vi sia un rischio di fascistizzazione dello Stato, poiché i fascisti sono già da tempo all'interno di esso e lo guidano verso una sempre maggiore diffusione del revisionismo storico, dell'anticomunismo e della riabilitazione a tutto tondo del fascismo e di Mussolini. È grazie a questa opera, che vede tutti complici chi per proposta, chi per accettazione, che oggi si moltiplicano le iniziative revisioniste nel “Giorno del Ricordo” - i cui scopi e la cui natura è stata spesso trattata sulle colonne di questo giornale - , anche in tantissimi comuni guidati dal PD e dalle altre forze della “sinistra” revisionista istituzionale.
Tocca dunque ai veri antifascisti, sia militanti nell'ANPI, sia appartenenti ai vari partiti con la falce e il martello e ai giovani dei centri sociali e dei comitati di lotta, fare quadrato e rispondere colpo su colpo a questo processo di cancellazione della storia con ogni mezzo a loro disposizione, nessuno escluso.
Teniamo alta, tutti insieme, la bandiera della Resistenza e dell'antifascismo!

10 febbraio 2021