Marx: La guerra civile in Francia
(Capitoli III e IV)


 


Capitolo III

All'alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un colpo di tuono: "Vive la Commune !". Che cos'è la Comune, questa sfinge che tanto tormenta lo spirito dei borghesi?
"I proletari di Parigi - diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo - in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l'ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari... Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo." Ma la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dello Stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini.
Il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti: esercito permanente, polizia, burocrazia, clero e magistratura - organi prodotti secondo il piano di una divisione del lavoro sistematica e gerarchica - trae la sua origine dai giorni della monarchia assoluta, quando servì alla nascente società delle classi medie come arma potente nella sua lotta contro il feudalesimo. Il suo sviluppo però fu intralciato da ogni sorta di macerie medioevali, diritti signorili, privilegi locali, monopoli municipali e corporativi e costituzioni provinciali. La gigantesca scopa della Rivoluzione francese del secolo decimottavo spazzò tutti questi resti di tempi passati, sbarazzando così in pari tempo il terreno sociale dagli ultimi ostacoli che si frapponevano alla costituzione su di esso dell'edificio dello Stato moderno, elevato sotto il Primo Impero, il quale a sua volta fu il prodotto delle guerre di coalizione della vecchia Europa semifeudale contro la Francia moderna. Durante i successivi régimes il governo, posto sotto il controllo parlamentare, cioè sotto il controllo diretto delle classi possidenti, non diventò solamente l'incubatrice di enormi debiti pubblici e di imposte schiaccianti; con la irresistibile forza di attrazione dei posti, dei guadagni e delle protezioni, esso non solo diventò il pomo della discordia tra le fazioni rivali e gli avventurieri delle classi dirigenti; ma anche il suo carattere politico cambiò di pari passo con le trasformazioni economiche della società. A misura che il progresso dell'industria moderna sviluppava, allargava, accentuava l'antagonismo di classe tra il capitale e il lavoro, il potere dello Stato assumeva sempre più il carattere di potere nazionale del capitale sul lavoro, di forza pubblica organizzata per l'asservimento sociale, di uno strumento di dispotismo di classe. Dopo ogni rivoluzione che segnava un passo avanti nella lotta di classe, il carattere puramente repressivo del potere dello Stato risultava in modo sempre più evidente. La rivoluzione del 1830, che fece passare il potere dai grandi proprietari fondiari ai capitalisti, lo trasferì dai più lontani antagonisti degli operai ai loro antagonisti più ristretti. I borghesi repubblicani che avevano preso il potere statale in nome della rivoluzione di febbraio, se ne valsero per i massacri di giugno, allo scopo di convincere la classe operaia che la repubblica "sociale" significava la repubblica che assicurava la loro soggezione sociale, e per convincere la massa monarchica della classe borghese e dei grandi proprietari fondiari che poteva tranquillamente lasciare ai borghesi "repubblicani" le cure e gli emolumenti del governo. Dopo la loro unica eroica impresa di giugno i repubblicani borghesi dovettero però retrocedere dalla prima fila alla retroguardia del "partito dell'ordine", combinazione formata da tutte le frazioni e fazioni rivali della classe non produttrice nel loro antagonismo ormai aperto con le classi produttrici. La forma più adatta per il loro governo comune fu la repubblica parlamentare , con Luigi Bonaparte presidente. Esso fu un régime di aperto terrorismo di classe e di deliberato insulto alla "vile multitude" . Se, come diceva Thiers, la repubblica parlamentare era il regime che "meno divideva [le differenti frazioni della classe dirigente]", essa apriva un abisso tra questa classe e l'intero corpo della società, escluso dalle sue ristrette file. Gli impedimenti posti ancora al potere statale sotto i precedenti regimi dalle divisioni fra le frazioni della classe dirigente, furono rimossi dalla loro unione; ed ora, in vista della minaccia di sollevamento del proletariato, esse usarono del potere dello stato, senza riguardi e con ostentazione, come strumento pubblico di guerra del capitale contro il lavoro. Nella loro ininterrotta crociata contro le masse dei produttori esse furono costrette, però, non solo ad attribuire all'Esecutivo poteri di repressione sempre più vasti, ma in pari tempo a spogliare la loro stessa fortezza parlamentare - l'Assemblea nazionale - di tutti i suoi mezzi di difesa contro l'Esecutivo, l'uno dopo l'altro. L'Esecutivo, in persona di Luigi Bonaparte, le mise alla porta. Il frutto naturale della repubblica del "partito dell'ordine" fu il Secondo Impero.
L'Impero, con un colpo di Stato per certificato di nascita, il suffragio universale per sanzione e la spada per scettro, pretendeva di poggiare sui contadini, la grande massa di produttori non direttamente impegnati nella lotta tra capitale e lavoro. Pretendeva di salvare la classe operaia distruggendo il parlamentarismo, e, insieme con questo, l'aperta sottomissione del governo alle classi possidenti; pretendeva di salvare le classi possidenti mantenendo la loro supremazia economica sulla classe operaia. Finalmente, pretendeva di unire tutte le classi risuscitando per tutte la chimera della gloria nazionale. In realtà era l'unica forma di governo possibile in un periodo in cui la borghesia aveva già perduto la facoltà di governare la nazione e il proletariato non l'aveva ancora acquistata. Esso fu salutato in tutto il mondo come il salvatore della società. Sotto il suo dominio, la società borghese, libera da preoccupazioni politiche, raggiunse uno sviluppo che essa stessa non aveva mai sperato; la sua industria e il suo commercio assunsero proporzioni colossali; la truffa finanziaria celebrò orge cosmopolite; la miseria delle masse fu messa in rilievo da una ostentazione sfacciata di lusso esagerato, immorale, abietto. Il potere dello Stato, apparentemente librato al di sopra della società, era esso stesso lo scandalo più grande di questa società e in pari tempo il vero e proprio vivaio di tutta la sua corruzione. La sua decomposizione e la decomposizione della società che esso aveva salvato vennero messe a nudo dalla baionetta prussiana, ben disposta per conto suo a trasferire il centro di gravità di questo regime da Parigi a Berlino. L'imperialismo è la più prostituita e insieme l'ultima forma di quel potere statale che la nascente società della classe media aveva incominciato ad elaborare come strumento della propria emancipazione dal feudalesimo, e che la società borghese in piena maturità aveva alla fine trasformato in strumento per l'asservimento del lavoro al capitale.
La Comune fu l'antitesi diretta dell'Impero. Il grido di "repubblica sociale", col quale il proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di febbraio, non esprimeva che una vaga aspirazione a una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe. La Comune fu la forma positiva di questa repubblica. Parigi, sede centrale del vecchio potere governativo e, nello stesso tempo, fortezza sociale della classe operaia francese, era sorta in armi contro il tentativo di Thiers e dei rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo trasmesso loro dall'Impero. Parigi poteva resistere solo perché, in conseguenza dell'assedio, si era liberata dell'esercito, e lo aveva sostituito con una Guardia nazionale, la cui massa era composta di operai. Questo fatto doveva, ora, essere trasformato in un'istituzione permanente. Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato.
La Comune fu composta dai consiglieri municipali eletti a suffragio universale nei diversi mandamenti di Parigi, responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti riconosciuti dalla classe operaia. La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo. Invece di continuare a essere l'agente del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento responsabile della Comune, revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le altre branche dell'amministrazione. Dai membri della Comune in giù, il servizio pubblico doveva essere compiuto per salari da operai . I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti dignitari dello Stato scomparirono insieme coi dignitari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà privata delle creature del governo centrale. Non solo l'amministrazione municipale, ma tutte le iniziative già prese dallo Stato passarono nelle mani della Comune.
Sbarazzatasi dell'esercito permanente e della polizia, elementi della forza fisica del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza della repressione spirituale, il "potere dei preti", sciogliendo ed espropriando tutte le Chiese in quanto enti possidenti. I sacerdoti furono restituiti alla quiete della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. Tutti gli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così non solo l'istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le avevano imposto i pregiudizi di classe e la forza del governo.
I funzionari giudiziari furono spogliati di quella sedicente indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro abietta soggezione a tutti i governi che si erano succeduti, ai quali avevano, di volta in volta, giurato fedeltà, per violare in seguito il loro giuramento. I magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili come tutti gli altri pubblici funzionari.
La Comune di Parigi doveva naturalmente servire di modello a tutti i grandi centri industriali della Francia. Una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il régime comunale, il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle provincie all'autogoverno dei produttori. In un abbozzo sommario di organizzazione nazionale che la Comune non ebbe il tempo di sviluppare è detto chiaramente che la Comune doveva essere la forma politica anche del più piccolo borgo, e che nei distretti rurali l'esercito permanente doveva essere sostituito da una milizia nazionale, con un periodo di servizio estremamente breve. Le comuni rurali di ogni distretto avrebbero dovuto amministrare i loro affari comuni mediante un'assemblea di delegati con sede nel capoluogo, e queste assemblee distrettuali avrebbero dovuto a loro volta mandare dei rappresentanti alla delegazione nazionale a Parigi, ogni delegato essendo revocabile in qualsiasi momento e legato al mandat impératif (istruzioni formali) dei suoi elettori. Le poche ma importanti funzioni che sarebbero ancora rimaste per un governo centrale, non sarebbero state soppresse, come venne affermato falsamente in malafede ma adempiute da funzionari comunali, e quindi strettamente responsabili. L'unità della nazione non doveva essere spezzata, anzi doveva essere organizzata dalla Costituzione comunale, e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel potere statale che pretendeva essere l'incarnazione di questa unità indipendente e persino superiore alla nazione stessa, mentre non era che un'escrescenza parassitaria. Mentre gli organi puramente repressivi del vecchio potere governativo dovevano essere amputati, le sue funzioni legittime dovevano essere strappate a una autorità che usurpava una posizione predominante sulla società stessa, e restituite agli agenti responsabili della società. Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse mal rappresentare il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve a ogni altro imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda. Ed è ben noto che le associazioni di affari, come gli imprenditori singoli, quando si tratta di veri affari, sanno generalmente come mettere a ogni posto l'uomo adatto, e se una volta tanto fanno un errore, sanno rapidamente correggerlo. D'altra parte, nulla poteva essere più estraneo allo spirito della Comune, che mettere al posto del suffragio universale una investitura gerarchica.
È comunemente destino di tutte le creazioni storiche completamente nuove di essere prese a torto per riproduzioni di vecchie e anche defunte forme di vita sociale, con le quali possono avere una certa rassomiglianza. Così questa nuova Comune, che spezza il moderno potere statale, venne presa a torto per una riproduzione dei Comuni medioevali, che prima precedettero questo stesso potere statale e poi ne divennero sostrato. La Costituzione della Comune è stata presa a torto per un tentativo di spezzare in una federazione di piccoli Stati, come era stata sognata da Montesquieu e dai girondini, quella unità delle grandi nazioni, che se originariamente è stata realizzata con la forza politica, è ora diventata un potente fattore della produzione sociale. L'antagonismo tra la Comune e il potere statale è stato preso a torto per una forma esagerata della vecchia lotta contro l'eccesso di centralizzazione. Speciali circostanze storiche possono aver impedito in altri paesi lo sviluppo classico della forma borghese di governo che si è avuta in Francia e possono aver permesso, come in Inghilterra, di completare i grandi organi centrali dello Stato con corrotti Consigli parrocchiali, con consiglieri comunali trafficanti, feroci custodi della legge dei poveri nelle città e magistrati virtualmente ereditari nelle campagne. La Costituzione della Comune avrebbe invece restituito al corpo sociale tutte le energie sino allora assorbite dallo Stato parassita, che si nutre alle spalle della società e ne intralcia i liberi movimenti. Con questo solo atto avrebbe iniziato la rigenerazione della Francia. La classe media francese delle provincie vide nella Comune un tentativo di restaurare il controllo che il suo ceto aveva avuto sul paese sotto Luigi Filippo, e che, sotto Luigi Napoleone, era stato soppiantato dal preteso sopravvento della campagna sulle città. In realtà la Costituzione della Comune metteva i produttori rurali sotto la direzione intellettuale dei capoluoghi dei loro distretti, e quivi garantiva loro, negli operai, i naturali tutori dei loro interessi. La esistenza stessa della Comune portava con sé come conseguenza naturale la libertà municipale locale, ma non più come un contrappeso al potere dello Stato ormai diventato superfluo. Soltanto nella testa di un Bismarck - il quale, quando non è preso dai suoi intrighi di sangue e di ferro, ama sempre ritornare al vecchio mestiere così adatto al suo calibro mentale di collaboratore del Kladderadatsch (il Punch di Berlino) - soltanto in una testa così fatta poteva entrare l'idea di attribuire alla Comune di Parigi l'ispirazione a quella caricatura della vecchia organizzazione municipale francese del 1791 che è la Costituzione municipale prussiana, la quale riduce le amministrazioni cittadine alla funzione di ruote puramente secondarie della macchina poliziesca dello Stato prussiano. La Comune fece una realtà della frase pubblicitaria delle rivoluzioni borghesi, il governo a buon mercato, distruggendo le due maggiori fonti di spese, l'esercito permanente e il funzionarismo statale. La sua esistenza stessa supponeva la non esistenza della monarchia che, in Europa almeno, è l'abituale zavorra e l'indispensabile maschera del dominio di classe. Essa forniva alla repubblica la base per vere istituzioni democratiche. Ma né il governo a buon mercato né la "vera repubblica" erano la sua meta finale, essi furono solo fatti concomitanti.
La molteplicità delle interpretazioni che si danno della Comune e la molteplicità degli interessi che nella Comune hanno trovato la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica fondamentalmente espansiva, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state unilateralmente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia , il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro.
Senza quest'ultima condizione, la Costituzione della Comune sarebbe stata una cosa impossibile e un inganno. Il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale. La Comune doveva dunque servire da leva per svelare le basi economiche su cui riposa l'esistenza delle classi, e quindi del dominio di classe. Con l'emancipazione del lavoro tutti diventano operai, e il lavoro produttivo cessa di essere un attributo di classe.
È un fatto strano: nonostante tutto il gran parlare e l'immensa letteratura degli ultimi sessant'anni sull'emancipazione del lavoro, non appena gli operai, in un paese qualunque, prendono decisamente la cosa nelle loro mani, immediatamente si leva tutta la fraseologia apologetica dei portavoce della società presente, con i suoi due poli di capitale e schiavitù del salario (il proprietario fondiario è ora soltanto il socio passivo del capitalista), come se la società capitalista fosse ancora nel suo stato più puro di verginale innocenza, con i suoi antagonismi non ancora sviluppati, con i suoi inganni non ancora sgonfiati, con le sue meretricie realtà non ancora messe a nudo. La Comune, essi esclamano, vuole abolire la proprietà, la base di ogni civiltà! Sì, o signori, la Comune voleva abolire quella proprietà di classe che fa del lavoro di molti la ricchezza di pochi. Essa voleva l'espropriazione degli espropriatori. Voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra e il capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è comunismo, "impossibile" comunismo! Ebbene, quelli tra i membri della classi dominanti che sono abbastanza intelligenti per comprendere la impossibilità di perpetuare il sistema presente - e sono molti - sono diventati gli apostoli seccanti e rumorosi della produzione cooperativa. Ma se la produzione cooperativa non deve restare una finzione e un inganno, se essa deve subentrare al sistema capitalista; se delle associazioni cooperative unite devono regolare la produzione nazionale secondo un piano comune, prendendola così sotto il loro controllo e ponendo fine all'anarchia costante e alle convulsioni periodiche che sono la sorte inevitabile della produzione capitalistica; che cosa sarebbe questo o signori, se non comunismo, "possibile" comunismo?
La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par décret du peuple . Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l'eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signori della penna e dell'inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi e della pedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi, che diffondono i loro insipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie col tono oracolare dell'infallibilità scientifica.
Quando la Comune di Parigi prese nelle sue mani la direzione della rivoluzione; quando per la prima volta semplici operai osarono infrangere il privilegio governativo dei "loro superiori naturali", e, in mezzo a difficoltà senza esempio, compirono l'opera loro con modestia, con coscienza e con efficacia - e la compirono per salari il più alto dei quali era appena il quinto di ciò che, secondo un'alta autorità scientifica, è il minimo richiesto per il segretario di un Consiglio scolastico in una metropoli - il vecchio mondo si contorse in convulsioni di rabbia alla vista della Bandiera Rossa, simbolo della Repubblica del Lavoro, sventolante sull'Hôtel de Ville.
Eppure, questa fu la prima rivoluzione in cui la classe operaia sia stata apertamente riconosciuta come la sola classe capace di iniziativa sociale, persino dalla grande maggioranza della classe media parigina - artigiani, commercianti, negozianti - eccettuati soltanto i ricchi capitalisti. La Comune li aveva salvati con un regolamento sagace del problema che è causa eterna di contrasti all'interno stesso della classe media, il conto del dare e avere.
Questa stessa parte della classe media, immediatamente dopo aver aiutato a schiacciare la insurrezione operaia del giugno 1848, era stata sacrificata ai suoi creditori dall'Assemblea nazionale, senza tante cerimonie. Ma questo non era il solo motivo per cui ora queste classi medie si schieravano attorno alla classe operaia. Esse sentirono che vi era una sola alternativa: o la Comune o l'Impero, sotto qualsiasi nome questo potesse ripresentarsi. L'Impero le aveva rovinate economicamente con lo sperpero delle ricchezze pubbliche, con le truffe finanziarie su larga scala che esso aveva favorito, con l'impulso dato all'accelerazione artificiale della concentrazione del capitale e con la concomitante espropriazione di una grande parte del loro ceto. Le aveva soppresse politicamente, le aveva scandalizzate moralmente con le sue orge, aveva offeso il loro volterianismo affidando l'istruzione dei loro figli ai Frères Ignorantins , aveva rivoltato il loro sentimento nazionale di francesi precipitandoli a capofitto in una guerra che per le rovine provocate aveva lasciato un solo compenso: la scomparsa dell'Impero. Di fatto, dopo l'esodo da Parigi di tutta l'alta bohème bonapartista e capitalista, il vero partito dell'ordine della classe media si era presentato nelle sembianze dell'Union Républicaine , schierandosi sotto le bandiere della Comune e difendendola dalle premeditate falsificazioni di Thiers.
Se la riconoscenza di questa grande massa della classe media resisterà alle difficili prove odierne, il tempo solo lo mostrerà.
La Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini che "la sua vittoria era la sola loro speranza". Di tutte le menzogne escogitate da Versailles e riprese come un'eco dai gloriosi giornalisti europei a un soldo la riga, una delle più colossali fu che i rurali rappresentassero i contadini francesi. Basta pensare all'amore del contadino francese per gli uomini a cui, dopo il 1815, aveva dovuto pagare il miliardo di indennità. Agli occhi del contadino francese la sola esistenza di un grande proprietario fondiario è di per se stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra l'imposta addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora lo avevano fatto in nome della rivoluzione, mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione, per far cadere sulle spalle dei contadini il peso principale dei cinque miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani. La Comune, d'altra parte, dichiarò in uno dei suoi primi proclami che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri autori. La Comune avrebbe liberato il contadino dall'imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le odierne sanguisughe, il notaio, l'avvocato, l'usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati eletti da lui e davanti a lui responsabili; lo avrebbe liberato dalla tirannide della garde champ être , del gendarme e del prefetto; avrebbe sostituito all'istupidimento ad opera dei preti l'istruzione illuminata del maestro elementare. Il contadino francese è, soprattutto, un calcolatore. Egli avrebbe trovato assolutamente ragionevole che la retribuzione dei sacerdoti, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, dipendesse solo dalla azione spontanea ispirata dai sentimenti religiosi dei parrocchiani. Questi erano i grandi benefici immediati che il governo della Comune - ed esso solo - offriva ai contadini francesi. È dunque del tutto superfluo diffondersi qui sugli altri problemi più complicati, ma di vitale importanza, che soltanto la Comune era capace di risolvere e nello stesso tempo costretta a risolvere in favore del contadino, come per esempio quello del debito ipotecario, che pesa come un incubo sul suo piccolo appezzamento di terreno, quella del prolétariat foncier (proletariato rurale) di giorno in giorno in aumento per questa ragione e della sua espropriazione che è messa in atto con la forza, a un ritmo sempre più rapido dallo stesso sviluppo dell'agricoltura moderna e dalla concorrenza dell'azienda agricola capitalista.
Il contadino francese aveva eletto Luigi Bonaparte presidente della repubblica, ma il partito dell'ordine creò l'Impero. Quel che il contadino francese desidera veramente, incominciò a mostrarlo nel 1849 e nel 1850, contrapponendo in suo maire al prefetto del governo, il suo maestro di scuola al prete del governo e se stesso al gendarme del governo. Tutte le leggi fatte dal partito dell'ordine nel gennaio e febbraio 1850 furono misure di repressione aperta contro il contadino. Il contadino era bonapartista perché ai suoi occhi la grande Rivoluzione, con i suoi vantaggi per lui, era personificata in Napoleone. Come avrebbe potuto questa illusione, rapidamente crollata sotto il Secondo Impero (e per la sua stessa natura ostile ai rurali), resistere all'appello della Comune agli interessi vitali e ai bisogni urgenti dei contadini? I rurali - ed era questa, di fatto, la loro apprensione principale - sapevano che tre mesi di libere comunicazioni tra la Parigi della Comune e le provincie avrebbero portato a una insurrezione generale dei contadini. Di qui la loro preoccupazione di stabilire attorno a Parigi un cordone poliziesco come se si fosse trattato di impedire il diffondersi della peste bovina.
Se la Comune era dunque la vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e quindi il vero governo nazionale, era in pari tempo un governo internazionale in tutto il senso della parola, poiché era governo di operai e campione audace della emancipazione del lavoro. Sotto gli occhi dell'esercito prussiano, che aveva annesso alla Germania due provincie francesi, la Comune annetté alla Francia gli operai di tutto il mondo.
Il Secondo Impero era stato la festa della furfanteria cosmopolita, le canaglie di tutti i paesi essendo accorse al suo appello per prender parte alle sue orge e al saccheggio del popolo francese. In questo momento stesso, braccio destro di Thiers è Ganesco, l'immondo valacco, e il suo braccio sinistro è Markovski, la spia russa: la Comune ammise tutti gli stranieri all'onore di morire per una causa immortale. Tra la guerra esterna perduta per il suo tradimento e la guerra civile provocata dalla sua cospirazione con l'invasore straniero, la borghesia aveva trovato il tempo di manifestare il suo patriottismo organizzando battute di caccia poliziesche contro i tedeschi in Francia. La Comune fece di un operaio tedesco il suo ministro del lavoro. Thiers, la borghesia, il Secondo Impero, avevano continuamente ingannato la Polonia con rumorose professioni di simpatia, mentre in realtà la tradivano e la abbandonavano alla Russia, di cui facevano il sordido servizio; la Comune onorò i figli eroici della Polonia ponendoli a capo dei difensori di Parigi. E per dare chiaramente rilievo alla nuova èra della storia ch'essa era consapevole di iniziare, la Comune sotto gli occhi dei prussiani conquistatori da una parte, e dell'esercito bonapartista condotto da generali bonapartisti dall'altra, abbatté il simbolo colossale della gloria militare, la colonna Vendôme.
La grande misura sociale della Comune fu la sua stessa esistenza operante. Le misure particolari da essa approvate potevano soltanto presagire la tendenza a un governo del popolo per opera del popolo. Tali furono l'abolizione del lavoro notturno dei panettieri; la proibizione, pena sanzioni, della pratica degli imprenditori di ridurre i salari imponendo ai loro operai multe coi pretesti più diversi, procedimento nel quale l'imprenditore unisce nella sua persona le funzioni di legislatore, giudice ed esecutore, e per di più ruba denaro. Altra misura di questo genere fu quella di consegnare alle associazioni operaie, sotto riserva d'indennizzo, tutte le fabbriche e i laboratori chiusi, tanto se i rispettivi capitalisti s'erano nascosti, quanto se avevano preferito sospendere il lavoro.
Le misure finanziarie della Comune, notevoli per la loro sagacia e moderazione, non potevano andare al di là di quanto fosse compatibile con la situazione di una città assediata. Considerando le ruberie colossali commesse ai danni della città di Parigi, sotto la protezione di Haussmann, dalle grandi compagnie finanziarie e dai grandi appaltatori, la Comune avrebbe avuto titoli, per confiscarne le proprietà, incomparabilmente più validi di quelli che avesse Napoleone per confiscare le proprietà della famiglia d'Orléans. Gli Hohenzollern e gli oligarchi inglesi, che hanno tratto entrambi una buona parte delle loro tenute dal saccheggio delle chiese, furono naturalmente molto scandalizzati dal fatto che la Comune non ricavasse più di 8.000 franchi dalla secolarizzazione dei beni ecclesiastici.
Mentre il governo di Versailles, appena ripreso un po' di coraggio e di forza, ricorreva contro la Comune ai mezzi più violenti; mentre esso sopprimeva la libera espressione delle opinioni in tutta la Francia, arrivando sino a proibire le riunioni di delegati delle grandi città; mentre esso assoggettava Versailles e il resto della Francia a uno spionaggio che sorpassava di gran lunga quello del Secondo Impero; mentre faceva bruciare dai suoi gendarmi inquisitori tutti i giornali stampati a Parigi e censurava tutte le lettere da e per Parigi; mentre nell'Assemblea nazionale i più timidi tentativi di dire una parola in favore di Parigi erano soffocati da urla sconosciute persino alla Chambre introuvable del 1816; mentre Versailles conduceva dal di fuori una guerra selvaggia e all'interno di Parigi tentava di organizzare corruzione e complotti, non avrebbe la Comune tradito vergognosamente la sua missione se avesse affettato di osservare tutte le convenzioni e le apparenze del liberalismo, come in tempi di perfetta pace? Se il governo della Comune fosse stato dello stesso stampo di quello del signor Thiers, non vi sarebbero stati meno pretesti di sopprimere i giornali del partito dell'ordine a Parigi che di sopprimere quelli della Comune a Versailles.
Certo però era cosa irritante per i rurali che, nel momento in cui essi dichiaravano il ritorno della chiesa solo mezzo di salvezza per la Francia, la miscredente Comune dissotterrasse gli strani misteri del convento del Picpus e quelli della chiesa di San Lorenzo. Era una satira contro Thiers il fatto che, mentre egli copriva di gran croci i generali bonapartisti come riconoscimento della loro capacità di perdere battaglie, firmar capitolazioni e farsi le sigarette a Wilhelmshöhe, la Comune destituisse e arrestasse i suoi generali al minimo sospetto di negligenza nell'adempimento dei loro doveri. L'espulsione dalla Comune e l'arresto di uno dei suoi membri che vi si era introdotto con nome falso, e aveva scontato a Lione sei giorni di prigione per bancarotta semplice, non era forse un deliberato insulto scagliato contro il falsario Favre, che continuava ad essere ministro degli esteri della Francia, a vendere la Francia a Bismarck, a dettare ordini all'incomparabile governo belga? Ma ciononostante la Comune non pretendeva all'infallibilità, attributo invariabile di tutti i governi del vecchio stampo. Essa rendeva pubblici i suoi atti, le sue parole, essa rendeva noti al pubblico tutti i suoi difetti.
In tutte le rivoluzioni si intrufolano, accanto ai loro rappresentanti autentici, individui di altro conio; alcuni sono superstiti e devoti di rivoluzioni passate, che non comprendono il movimento presente, ma conservano una influenza sul popolo per la loro nota onestà e per il loro coraggio, o per la semplice forza della tradizione; altri non sono che schiamazzatori i quali, a forza di ripetere anno per anno la stessa serie di stereotipe declamazioni contro il governo del giorno, si sono procacciata la fama di rivoluzionari della più bell'acqua. Anche dopo il 18 marzo vennero a galla alcuni tipi di questo genere, e in qualche caso riuscirono a rappresentare parti di primo piano. Nella misura del loro potere, essi furono di ostacolo all'azione reale della classe operaia, esattamente come uomini di tale specie avevano ostacolato lo sviluppo di ogni precedente rivoluzione. Questi elementi sono un male inevitabile: col tempo ci si sbarazza di loro; ma alla Comune non fu concesso tempo.
Meravigliosa, in verità, fu la trasformazione operata dalla Comune di Parigi! Sparita ogni traccia della Parigi meretricia del Secondo Impero! Parigi non fu più il ritrovo dei grandi proprietari fondiari inglesi, dei latifondisti assenteisti irlandesi, degli ex negrieri e loschi affaristi americani, degli ex proprietari di servi russi e dei boiardi valacchi. Non più cadaveri alla Morgue, non più rapine e scassi notturni, quasi spariti i furti. Invero, per la prima volta dopo i giorni del febbraio 1848, le vie di Parigi furono sicure e senza nessun servizio di polizia. "Non sentiamo più parlare - diceva un membro della Comune - di assassinii, furti e aggressioni. Si direbbe davvero che la polizia abbia trascinato con sé a Versailles tutti i suoi amici conservatori". Le cocottes avevano seguito le orme dei loro protettori, gli scomparsi campioni della famiglia, della religione e soprattutto della proprietà. Al posto loro ricomparvero alla superficie le vere donne di Parigi, eroiche, nobili e devote come le donne dell'antichità. Parigi lavoratrice, pensatrice, combattente, insanguinata, raggiante nell'entusiasmo della sua iniziativa storica, quasi dimentica, nella incubazione di una nuova società, dei cannibali che erano alle sue porte!
Di fronte a questo nuovo mondo di Parigi, il vecchio mondo di Versailles - questa Assemblea di iene di tutti i regimi defunti, legittimisti e orleanisti, avidi di nutrirsi del cadavere della nazione - con un codazzo di repubblicani antidiluviani, che sanzionavano con la loro presenza nell'Assemblea la rivolta dei negrieri, si rimettevano per il mantenimento della loro repubblica parlamentare alla vanità del senile ciarlatano che era alla loro testa, e facevano la caricatura del 1789 tenendo le loro riunioni spettrali nel Jeu de Paume . Eccola, questa Assemblea, la rappresentante di tutto ciò che in Francia era morto, puntellato e mantenuto con un sembiante di vita unicamente dalle spade dei generali di Luigi Bonaparte! Parigi, tutta la verità; Versailles, tutta la menzogna, e questa menzogna sprigionata dalla bocca di Thiers.
Thiers dice a una deputazione di sindaci della Seine-et-Oise: "Potete contare sulla mia parola, alla quale non ho mai mancato". Dice all'Assemblea stessa che "era l'Assemblea più liberamente eletta e più liberale che la Francia avesse mai avuta", dice alla sua soldatesca variopinta ch'essa era "l'ammirazione del mondo e il più bell'esercito che mai avesse avuto in Francia", dice alle province che il bombardamento di Parigi da lui ordinato era un mito: "Se alcuni colpi di cannone sono stati tirati, non è stato per opera dell'esercito di Versailles, ma degli insorti, i quali volevano far credere che combattevano, mentre non osavano mostrare il naso". E dice ancora alle province che "l'artiglieria di Versailles non bombarda Parigi; la cannoneggia soltanto". Dice all'arcivescovo di Parigi che le pretese esecuzioni e rappresaglie attribuite alle truppe di Versailles sono fantasie. Dice a Parigi che era soltanto ansioso di "liberarla dai ripugnanti tiranni che l'opprimevano" e che di fatto la Parigi della Comune era "solo un pugno di criminali".
La Parigi del signor Thiers non era la Parigi reale della "vile moltitude", era una Parigi spettrale, la Parigi dei francs-fileurs , la Parigi dei boulevards, maschi e femmine: la Parigi ricca, capitalista, coperta d'oro, infingarda, che ora ingombrava, coi suoi lacché, coi suoi ladri in guanti gialli, con la sua bohème di letterati e con le sue cocottes , Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain; che considerava la guerra civile soltanto come una gradevole diversione; che seguiva lo sviluppo della battaglia coi binocoli, contava i colpi di cannone e giurava sul suo onore e su quello delle sue prostitute che lo spettacolo era allestito molto meglio di quanto non si usasse al teatro delle Porte St. Martin. Gli uomini che cadevano erano veramente morti, le grida dei feriti eran grida sul serio; e tutto l'assieme, poi, era così intensamente storico!
Questa è la Parigi del signor Thiers, come la emigrazione di Coblenza era la Francia del signor di Calonne.
 


Capitolo IV

 
Il primo tentativo della congiura dei negrieri per abbattere Parigi facendola occupare dai prussiani fallì per il rifiuto di Bismarck. Il secondo tentativo, quello del 18 marzo, terminò con la sconfitta dell'esercito e con la fuga a Versailles del governo, il quale ordinò a tutto l'apparato amministrativo di interrompere il suo lavoro e seguire le sue orme. Mediante una parvenza di trattative di pace con Parigi, Thiers trovò il tempo di prepararsi a farle la guerra. Ma dove trovare un esercito? I resti dei reggimenti di linea erano scarsi di numero e poco sicuri; il suo appello urgente alle province di soccorrere Versailles con le loro guardie nazionali e con volontari urtò in un netto rifiuto. Solo la Bretagna mandò un pugno di Chouans che combattevano con la bandiera bianca, ognuno con un cuore di Gesù di stoffa bianca sul petto e al grido di "Vive le roi! ". Thiers fu dunque costretto a mettere assieme in gran fretta un'accozzaglia variopinta di marinai, fucilieri di marina, zuavi pontifici, gendarmi di Valentin, sergents de ville e mouchards di Pietri. Questo esercito, però, sarebbe stato importante sino al ridicolo senza l'aggiunta dei prigionieri di guerra dell'esercito imperialista, che Bismarck fornì in numero esattamente sufficiente ad alimentare la guerra civile e a tenere il governo di Versailles alle abbiette dipendenze della Prussia. Durante la guerra stessa, la polizia di Versailles dovette sorvegliare l'esercito di Versailles, mentre i gendarmi avevano il compito di trascinarlo al combattimento esponendosi in tutti i posti pericolosi. I forti che caddero non furono presi, ma comprati. L'eroismo dei federati convinse Thiers che la resistenza di Parigi non poteva essere spezzata dal suo genio strategico e dalle baionette di cui disponeva.
Frattanto le sue relazioni con le province diventavano sempre più difficili. Nemmeno un indirizzo di approvazione venne a rallegrare Thiers e i suoi rurali. Al contrario, arrivarono da tutte le parti deputazioni e indirizzi in cui si chiedeva, in tono tutt'altro che rispettoso, la riconciliazione con Parigi sulla base del riconoscimento esplicito della repubblica, della conferma delle libertà comunali e dello scioglimento dell'Assemblea nazionale il cui mandato era estinto; e in tale quantità che Dufaure, ministro della giustizia di Thiers, nella sua circolare del 23 aprile ordinava ai procuratori di considerare delitto "gli appelli di riconciliazione"! Tuttavia, in considerazione della prospettiva disperata della sua campagna, Thiers decise di cambiare la sua tattica, dando ordine che il 30 di aprile avessero luogo le elezioni municipali in tutto il paese, sulla base della nuova legge municipale da lui stesso dettata all'Assemblea nazionale. Tanto con gli intrighi dei suoi prefetti, quanto con le intimidazioni poliziesche, egli si sentiva in grado di dare all'Assemblea nazionale, mediante il verdetto delle provincie, quel potere morale che essa non aveva mai avuto, e di ottenere infine dalle province la forza materiale necessaria per la conquista di Parigi.
Alla sua guerra di brigantaggio contro Parigi, che egli esaltava nei suoi bollettini, e ai tentativi dei suoi ministri di instaurare in tutta la Francia il regno del terrore, Thiers si era preoccupato sin dall'inizio di accompagnare una piccola commedia di riconciliazione, la quale doveva servire a più di uno scopo. Doveva ingannare le provincie, attirare gli elementi delle classi medie di Parigi, e, soprattutto, procurare ai sedicenti repubblicani dichiarati dall'Assemblea nazionale l'opportunità di nascondere il loro tradimento di Parigi dietro la loro fiducia in Thiers. Il 21 marzo, mentre non aveva ancora un esercito, egli aveva dichiarato all'Assemblea: "Qualunque cosa avvenga, non manderò un esercito contro Parigi". Il 27 marzo s'alzò ancora per dire: "Ho trovato la repubblica come fatto compiuto e sono fermamente deciso a mantenerla". In realtà, egli schiacciò la rivoluzione a Lione e a Marsiglia in nome della repubblica, mentre gli urli dei suoi rurali coprivano a Versailles ogni accenno anche solo al nome di essa. Dopo questa impresa egli attenuò il "fatto compiuto" riducendolo a un fatto ipotetico. Ai principi di Orléans, ch'egli aveva prudentemente avvisati di lasciare Bordeaux, si permetteva, ora, in aperta violazione della legge, di intrigare a Dreux. Le concessioni offerte da Thiers nelle sue interminabili interviste coi delegati di Parigi e delle provincie, benché continuamente variate di tono e di colore a seconda del tempo e delle circostanze, di fatto non andarono mai oltre la promessa che la vendetta sarebbe stata limitata a quel "pugno di criminali implicati nell'assassinio di Lecomte e di Clément Thomas", con la premessa, ben inteso, che Parigi e la Francia avrebbero accettato Thiers stesso come la migliore delle repubbliche possibili, proprio come egli, nel 1830, aveva accettato Luigi Filippo. Ed aveva cura di render dubbie persino queste concessioni, mediante commenti ufficiali con i quali i suoi ministri le accompagnavano nell'Assemblea. Per agire egli aveva il suo Dufaure. Dufaure, questo vecchio avvocato orlealista, è sempre stato il giudice supremo dello stato d'assedio, così ora, nel 1871, sotto Thiers, come nel 1839 sotto Luigi Filippo, e nel 1849 sotto la presidenza di Luigi Bonaparte. Fuori del governo, si era arricchito come avvocato dei capitalisti di Parigi e si era fatto un capitale politico combattendo in tribunale contro le leggi fatte da lui stesso. Costui ora non soltanto si affrettò a far approvare dall'Assemblea nazionale una serie di leggi repressive, che avrebbero dovuto, dopo la caduta di Parigi, estirpare gli ultimi residui di libertà repubblicana in Francia, ma prefigurò la sorte di Parigi abbreviando la procedura delle corti marziali, secondo lui troppo lenta, e introducendo un nuovo e strano codice draconiano di deportazione. La rivoluzione del 1848, abolendo la pena di morte per i delitti politici, aveva sostituito ad essa la deportazione. Luigi Bonaparte non aveva osato, per lo meno in teoria, restaurare il regime della ghigliottina. L'Assemblea dei rurali, non ancora abbastanza impudente per sostenere che i parigini fossero non ribelli ma assassini, doveva perciò limitare le sue prospettive di vendetta contro Parigi al nuovo codice di deportazione di Dufaure. In tutte queste circostanze, Thiers stesso non avrebbe potuto continuare la sua commedia di riconciliazione, se questa commedia - com'egli del resto voleva - non avesse provocato gli urli di rabbia dei rurali, la cui mente ruminante non comprendeva né il trucco, né le sue necessità di ipocrisia, di tergiversazione, di procrastinazione.
In vista delle imminenti elezioni municipali del 30 aprile, Thiers rappresentò il 27 aprile una delle sue grandi scene di riconciliazione. In mezzo a un diluvio di retorica sentimentale, egli esclamò dalla tribuna dell'assemblea:
"Non vi è nessuna congiura contro la repubblica, fuorché quella di Parigi, che ci costringe a versare sangue francese. L'ho detto e lo ripeto. Che le empie armi cadano dalle mani che le impugnano, e il castigo verrà arrestato immedietamente da un atto di clemenza da cui verrà escluso soltanto il piccolo numero dei criminali."
Alle violente interruzioni dei rurali egli replicò:
"Signori, ditemelo, ve ne supplico, ho torto? Vi addolora realmente il fatto che io abbia detto, il che è vero, che i criminali non sono che un piccolo numero? Non è una fortuna, in mezzo alle nostre disgrazie, che coloro i quali sono stati capaci di versare il sangue di Clément Thomas e del generale Lecomte non siano che rare eccezioni?"
La Francia, però, fece orecchi di mercante a quello cheThiers s'immaginava fosse il canto d'una sirena parlamentare. Su 700.000 consiglieri comunali eletti dai 35.000 comuni rimasti alla Francia, i legittimisti, orlealisti e bonapartisti riuniti non ne contavano che 8.000. Le elezioni supplementari che seguirono furono ancora più decisamente ostili. Così invece di ottenere dalle provincie la forza materiale di cui aveva bisogno assoluto, l'Assemblea nazionale, perdette anche l'ultimo diritto alla forza morale, quello di poter dire di essere l'espressione del suffragio universale del paese. Per completare la sconfitta, i neoeletti consigli comunali di tutte le città della Francia minacciarono apertamente l'Assemblea usurpatrice di Versailles di convocare una controassemblea a Bordeaux.
E finalmente arrivò per Bismarck il momento, lungamente atteso, dell'azione decisiva. Egli ingiunse in tono perentorio a Thiers di mandare a Francoforte plenipotenzari per la conclusione definitiva della pace. Con umile obbedienza alla voce del padrone, Thiers si affrettò a mandare il suo fedele Jules Favre, accompagnato da Pouyer-Quertier. Pouyer-Quertier "eminente" cotoniere di Rouen, fervente e persino servile fautore del Secondo Impero: non vi aveva mai trovato altro difetto che il trattato di commercio con l'Inghilterra, il quale recava pregiudizio ai suoi propri interessi di bottega. Appena installato a Bordeaux come ministro delle finanze di Thiers, aveva denunciato questo trattato "malaugurato", aveva fatto cenno alla sua prossima abrogazione, e aveva persino avuto la sfrontatezza di tentare, sebbene invano (avendo fatto i conti senza Bismarck), la messa in vigore immediata dei vecchi dazi protettivi contro l'Alsazia, al che, egli diceva, non si opponeva nessun precedente trattato internazionale. Questo uomo, che considerava la controrivoluzione come mezzo per ridurre i salari a Rouen e la cessione di provincie francesi come mezzo per far salire i prezzi delle sue merci in Francia, non era forse predestinato ad essere, proprio lui, scelto da Thiers come compare di Jules Favre nel suo ultimo e culminante tradimento?
All'arrivo a Francoforte di questa squisita coppia di plenipotenziari, il brutale Bismarck li pose senz'altro davanti a questa imperiosa alternativa: o la restaurazione dell'impero, o l'accettazione incondizionata delle mie condizioni di pace! Queste condizioni comprendevano una riduzione dei termini in cui si doveva pagare l'indennità di guerra e l'occupazione dei forti di Parigi da parte delle truppe prussiane fino a che Bismarck non si fosse sentito soddisfatto della situazione in Francia; la Prussia venendo così riconosciuta arbitro supremo della politica interna francese! In cambio egli offriva di lasciar libero, per lo sterminio di Parigi, l'esercito bonapartista prigioniero e di dargli l'aiuto diretto delle truppe dell'imperatore Guglielmo. Come prova della sua buona fede, egli faceva dipendere il pagamento della prima rata dell'indennità dalla "pacificazione" di Parigi. Una esca simile fu naturalmente ingoiata con avidità da Thiers e dai suoi plenipotenziari. Essi firmarono il trattato di pace il 10 maggio e lo fecero ratificare dall'Assemblea il 18.
Nell'intervallo tra la conclusione della pace e l'arrivo dei prigionieri bonapartisti, Thiers si sentì tanto più obbligato a riprendere la sua commedia della riconciliazione in quanto i suoi strumenti repubblicani avevano bisogno di un pretesto per chiudere un occhio sui preparativi del massacro di Parigi. Ancora l'8 maggio egli rispondeva a una deputazione di conciliatori delle classi medie: "Appena gli insorti si saranno decisi a capitolare, le porte di Parigi verranno spalancate per tutti durante una settimana, eccetto che per gli assassini dei generali Clément Thomas e Lecomte".
Alcuni giorni dopo, interpellato violentemente dai rurali su queste promesse, rifiutò di dare qualsiasi spiegazione; non però senza aver fatto loro questo significativo cenno: "Vi dico che vi sono tra di voi degli impazienti; della gente che ha troppa fretta. Attendano ancora otto giorni; alla fine di questi otto giorni non vi sarà più nessun pericolo, e il compito sarà allora proporzionato al loro coraggio e alle loro capacità". Non appena Mac Mahon fu in grado di assicuragli che in breve sarebbe potuto entrare in Parigi, Thiers dichiarò all'Assemblea che "sarebbe entrato in Parigi brandendo la legge , e avrebbe costretto gli scellerati che avevano sacrificato la vita dei soldati e distrutto pubblici monumenti a espiare completamente i loro delitti". Quando il momento decisivo fu vicino disse all'Assemblea: "Sarò spietato"; disse a Parigi che era condannata, e ai suoi briganti bonapartisti che lo Stato permetteva loro di vendicarsi di Parigi a loro piacimento. Infine, quando il tradimento, il 21 maggio, ebbe aperto le porte di Parigi al generale Douay, Thiers, il 22 maggio, rivelò ai rurali lo "scopo" della sua commedia di conciliazione, che essi così ostinatamente avevano continuato a non capire: "Vi ho detto pochi giorni or sono che stavamo avvicinandoci al nostro scopo ; oggi vengo a dirvi che lo scopo è raggiunto. L'ordine, la giustizia, la civiltà, hanno finalmente riportato la vittoria!".
E così era davvero. La civiltà e la giustizia dell'ordine borghese si mostrano nella loro luce sinistra ogni volta che gli schiavi e gli sfruttati di quest'ordine insorgono contro i loro padroni. Allora questa civiltà e questa giustizia si svelano come nude barbarie e vendetta ex lege . Ogni nuova crisi nella lotta di classe tra gli accaparratori della ricchezza e i produttori di essa mette in luce più chiaramente questo fatto. Persino le atrocità dei borghesi nel giugno 1848 scompaiono davanti all'infamia indicibile del 1871. L'eroico spirito di sacrificio col quale la popolazione di Parigi - uomini, donne e bambini - combatté per otto giorni dopo l'entrata dei versigliesi, rispecchia la grandezza della sua causa, quanto le azioni diaboliche della soldatesca rispecchiano lo spirito innato di quella civiltà di cui essa è la vendicatrice mercenaria. Gloriosa civiltà invero, il cui problema vitale consiste nel trovare il modo di far sparire i cadaveri da lei ammucchiati, dopo che la battaglia è terminata!
Per trovare un parallelo alla condotta di Thiers e dei suoi segugi, bisogna risalire fino ai tempi di Silla e dei due triunvirati di Roma. Gli stessi eccidi in massa a sangue freddo; la stessa noncuranza nel massacro di fronte all'età e al sesso; lo stesso sistema di torturare i prigionieri; le stesse prescrizioni, ma ora di una classe intiera; la stessa caccia selvaggia ai capi nascosti, per non lasciarne sfuggire nemmeno uno; le stesse denuncie di nemici politici e privati; la stessa indifferenza per il massacro di persone assolutamente estranee al conflitto. La sola differenza è che i romani non avevano mitragliatrici per ammazzare in massa i prigionieri, e non avevano "la legge nelle loro mani", né sulle labbra il grido di "civiltà".
E dopo questi orrori guardate l'altro aspetto, ancora più ributtante, di questa civiltà borghese, come è stato descritto dalla sua stessa stampa!:
"Mentre echeggiano in lontananza spari dispersi, - scrive il corrispondente parigino di un giornale conservatore di Londra - e disgraziati feriti muoiono senza cure fra le pietre sepolcrali del Père Lachaise, mentre 6.000 insorti terrorizzati erano in una agonia disperata nel labirinto delle catacombe, e poveri sciagurati sono cacciati per le strade per essere abbattuti a mucchi dalle mitragliatrici, è cosa rivoltante vedere i caffè zeppi di devoti dell'assenzio, del bigliardo e del domino; vedere la sfrontatezza femminile passeggiare in lungo e in largo sui boulevards, e il chiasso delle orge provenienti dai cabinets particuliers dei ristoranti di lusso turbare la quiete notturna." Il signor Edouard Hervé scrive nel Journal de Paris , organo versigliese soppresso dalla Comune: "Il modo come la popolazione di Parigi [!] ha manifestato ieri la sua soddisfazione era peggio che frivolo, e noi temiamo che le cose peggiorino col tempo. Parigi ha adesso un aspetto di giorno di f ête che è tristemente fuori posto; e a meno che non vogliamo essere chiamati i parisiens de la décadence , bisogna mettere un termine a queste cose." In seguito cita il passo di Tacito: "Eppure il giorno dopo quella lotta terribile, anche prima che essa fosse del tutto finita, Roma, degenerata e corrotta, ricominciò ancora una volta a gettarsi in quel fango di voluttà che distruggeva il suo corpo e insozzava il suo animo: alibi proelia et vulnera, alibi balnea popinaeque (qua combattimenti e ferite, là bagni e taverne)." Il signor Hervé dimentica soltanto di dire che la "popolazione di Parigi" di cui parla non è che la popolazione della Parigi del signor Thiers, i francs-fileurs di ritorno in folla da Versailles, Saint-Denis, Rueil e Saint-Germain: la Parigi della "decadenza".
In tutti i suoi trionfi sanguinosi sui combattenti che si sacrificavano per una nuova e migliore società questa civiltà scellerata, fondata sull'asservimento del lavoro, soffoca il gemito delle sue vittime, sotto uno strepito di calunnie che trovano un'eco mondiale. La serena Parigi operaia della Comune viene improvvisamente trasformata in un inferno dai segugi dell'"ordine". E che cosa prova questa terribile trasformazione agli spiriti borghesi di tutti i paesi? Null'altro se non che la Comune ha cospirato contro la civiltà! Il popolo di Parigi muore con l'entusiasmo per la Comune, in numero superiore a quello dei morti di qualunque battaglia della storia. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che la Comune non era il governo del popolo stesso, ma la usurpazione di un pugno di criminali. Le donne di Parigi sacrificarono con gioia la loro vita sulle barricate e sul luogo del supplizio. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che il demone della Comune le ha cambiate in Megere e Ecati! La moderazione della Comune durante due mesi di dominio incontrastato è uguagliata solo dall'eroismo della sua difesa. Che cosa prova ciò? Null'altro se non che la Comune per mesi ha nascosto con cura sotto la maschera di moderazione e di umanità la sete di sangue dei suoi istinti infernali, che si dovevano scatenare solo nell'ora della sua agonia!
Parigi operaia, nell'atto del suo eroico sacrificio, ha travolto nelle sue fiamme case e monumenti. Quando fanno a pezzi il corpo vivente del proletariato, i suoi dominatori non debbono più contare di fare un ritorno trionfale in mezzo all'architettura intatta delle loro dimore. Il governo di Versailles grida: "Incendiari!" e sussurra a tutti i suoi sgherri, fino nell'ultimo villaggio, la parola d'ordine di dare dappertutto la caccia ai suoi nemici come sospetti di essere incendiari professionali. La borghesia di tutto il mondo, che assiste con compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d'orrore al veder profanati la calce e i mattoni!
Quando i governi danno licenza ufficiale alle loro marine di "uccidere, bruciare , e distruggere" questa è o non è una licenza di incendiare? Quando le truppe inglesi dettero deliberatamente fuoco al Campidoglio di Washington e al palazzo d'estate dell'imperatore della Cina, si trattava o no di atti da incendiari? Quando i prussiani, non per ragioni militari, ma per puro spirito di vendetta, dettero fuoco, con l'aiuto del petrolio, a città come Châteaudun e a innumerevoli villaggi, erano o no incendiari? Quando Thiers per sei settimane bombardò Parigi, col pretesto che voleva metter fuoco solo alle case abitate, era o no un incendiario? In guerra, il fuoco è un'arma legittima come tutte le altre. Gli edifici occupati dal nemico vengono bombardati per appiccarvi il fuoco. Se i difensori si devono ritirare, appiccano essi stessi il fuoco per impedire all'attaccante di fare uso degli edifici. L'essere distrutti dalle fiamme è sempre stato l'inevitabile destino di tutti gli edifici situati sul fronte di combattimento di tutti gli eserciti regolari del mondo. Ma nella guerra degli schiavi contro i loro asservitori, la sola guerra giustificabile nella storia, ciò non dovrebbe più essere vero! La Comune fece uso del fuoco esclusivamente come mezzo di difesa. Ne fece uso per sbarrare alle truppe versigliesi quei viali lunghi e rettilinei che Haussmann aveva aperto appositamente per il fuoco dell'artiglieria; ne fece uso per coprire la ritirata, allo stesso modo che i versigliesi, nella loro avanzata, fecero uso delle cannonate che distrussero per lo meno altrettanti edifici quanti ne distrusse il fuoco della Comune. Ancora oggi si discute quali edifici vennero incendiati dai difensori e quali dagli attaccanti. E i difensori non fecero ricorso al fuoco se non quando le truppe versigliesi avevano già incominciato l'assassinio in massa dei prigionieri. D'altra parte, la Comune aveva già da molto tempo annunciato pubblicamente che, se fosse stata spinta agli estremi, avrebbe sepolto se stessa sotto le rovine di Parigi, e fatto di Parigi una seconda Mosca, come aveva promesso di fare, ma solo per coprire il suo tradimento, anche il governo della difesa. A questo scopo Trochou aveva procurato il petrolio. La Comune sapeva che ai suoi nemici non importava nulla della vita del popolo di Parigi, ma che stavano loro a cuore gli edifici da essi posseduti a Parigi. E Thiers, inoltre, li aveva avvertiti che sarebbe stato implacabile nella vendetta. Non appena ebbe pronti da un lato il suo esercito dall'altro i prussiani che chiudevano la trappola, proclamò: "Sarò senza pietà! L'espiazione sarà completa e la giustizia sarà inflessibile!". Se gli atti degli operai di Parigi sono stati vandalismo, è stato il vandalismo di una difesa disperata, non il vandalismo del trionfo, come quello che i cristiani perpetrarono a danno dei tesori d'arte veramente inapprezzabili dell'antichità pagana; e persino questo vandalismo dei cristiani è stato giustificato dagli storici come elemento concomitante inevitabile e relativamente insignificante della lotta titanica tra la società nuova in sul nascere e una vecchia società al tramonto. Gli atti degli operai di Parigi furono ancora meno del vandalismo di Haussmann, il quale distrusse la Parigi storica per far posto alla Parigi dei bighelloni!
Ma l'esecuzione da parte della Comune dei sessantaquattro ostaggi con l'arcivescovo di Parigi alla testa! La borghesia e il suo esercito nel giugno 1848 ristabilirono una consuetudine che da molto tempo era scomparsa dalla pratica della guerra, quella di uccidere i loro prigionieri indifesi. Da allora questa consuetudine brutale è stata seguita più o meno fedelmente da coloro che hanno represso tutti i movimenti popolari in Europa e in India. In questo modo essi hanno fornito la prova che questa consuetudine costituisce veramente un "progresso della civiltà"! D'altra parte i prussiani, in Francia, avevano ristabilito la pratica di prendere ostaggi, uomini innocenti che dovevano rispondere a loro con la propria vita delle azioni degli altri. Quando Thiers, come abbiamo visto, rimise in vigore sin dall'inizio del conflitto la consuetudine umanitaria di uccidere i prigionieri comunardi, la Comune, per proteggere la loro vita, fu costretta a far ricorso alla pratica prussiana di prendere ostaggi. La vita degli ostaggi era stata condannata più di una volta dalle continue uccisioni di prigionieri perpetrate dai versigliesi. Come potevano essere risparmiati più a lungo dopo il massacro con cui i pretoriani di Mac Mahon celebrarono il loro ingresso a Parigi? Si doveva dunque far diventare una semplice burla anche la presa degli ostaggi, ultima garanzia contro la ferocia senza scrupoli dei governi borghesi? Il vero assassino dell'arcivescovo Darboy è Thiers. La Comune aveva offerto ripetute volte di scambiare l'arcivescovo, e molti sacerdoti per giunta, col solo Blanqui, allora nelle mani di Thiers. Thiers rifiutò ostinatamente. Sapeva che con Blanqui avrebbe dato alla Comune una testa, mentre l'arcivescovo gli sarebbe stato più utile come cadavere. Thiers agì secondo il precedente di Cavaignac. Quali grida d'orrore non gettarono Cavaignac e i suoi uomini dell'ordine nel giugno 1848 per infamare gli insorti come assassini dell'arcivescovo Affre! Essi sapevano perfettamente che l'arcivescovo era stato ucciso dai soldati dell'ordine. Il signor Jacquemet, vicario generale dell'arcivescovo, testimone oculare della cosa, ne aveva fornito loro le prove subito dopo il fatto.
Tutto questo coro di calunnie che il partito dell'ordine, nelle sue orge di sangue, non manca mai di lanciare contro le sue vittime, prova soltanto che i borghesi dei nostri giorni si considerano successori leggittimi del barone di un tempo, che trovava legittima nelle sue mani ogni arma contro il plebeo, mentre nelle mani del plebeo ogni arma era per sé un delitto.
La cospirazione della classe dirigente per abbattere la rivoluzione mediante una guerra civile combattuta con l'aiuto di un invasore straniero - cospirazione che abbiamo seguìto fin dal 4 settembre sino all'ingresso dei pretoriani di Mac Mahon per la porta di St. Cloud - culminò nel macello di Parigi. Bismarck rimira con soddisfazione le rovine di Parigi, in cui egli vede forse il primo passo di quella distruzione generale delle grandi città per la quale aveva pregato il cielo quando era ancora un semplice rurale nella Chambre introuvable prussiana del 1849. Egli rimira compiaciuto i cadaveri del proletariato di Parigi. Per lui ciò non è solo lo sterminio della rivoluzione, ma l'estinzione della Francia, oggi in realtà decapitata, e per opera dello stesso governo francese. Con la superficialità caratteristica di tutti gli uomini di stato fortunati, egli non vede che l'apparenza esteriore di questo tremendo avvenimento storico. Quando mai prima d'ora nella storia ha offerto lo spettacolo di un vincitore che corona la sua vittoria trasformandosi non soltanto in gendarme, ma in bravo prezzolato del governo vinto? Non vi era stato di guerra tra la Prussia e la Comune di Parigi. Al contrario, la Comune aveva accettato i preliminari di pace, e la Prussia aveva dichiarato la sua neutralità. La Prussia non era dunque parte belligerante, essa faceva la parte del bravo, e di un bravo vile, perché non correva nessun pericolo; di un bravo prezzolato, perché aveva stipulato in anticipo il pagamento di 500 milioni, prezzo del sangue, alla caduta di Parigi. E così, alla fine, appariva il vero carattere della guerra ordinata dalla Provvidenza come castigo della Francia atea e corrotta per mano della pia e morale Germania! E questa violazione senza precedenti del diritto delle genti, anche se inteso al modo dei giuristi del vecchio mondo, invece di spingere i governi "civili" d'Europa a dichiarare fuori legge il governo fellone della Prussia, semplice strumento del gabinetto di Pietroburgo, li incita solamente a discutere se le poche vittime sfuggite al duplice cordone che circonda Parigi non devono essere consegnate al carnefice di Versailles!
Il fatto che dopo la guerra più terribile dei tempi moderni l'esercito vincitore e l'esercito vinto fraternizzano per massacrare in comune il proletariato, questo fatto senza precedenti non indica, come pensa Bismarck, lo schiacciamento finale di una nuova società al suo sorgere, ma la decomposizione completa della società borghese. Il più alto slancio di eroismo di cui la vecchia società è ancora capace è la guerra nazionale; e oggi è dimostrato che questa è una semplice mistificazione governativa, la quale tende a ritardare la lotta delle classi e viene messa in disparte non appena la lotta di classe divampa in guerra civile. Il dominio di classe non è più capace di travestirsi come una uniforme nazionale; contro il proletariato i governi nazionali sono uniti .
Dopo la Pentecoste del 1871 non vi può essere né pace né guerra tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro. La mano di ferro di una soldatesca mercenaria potrà per un certo tempo tenere le due classi legate sotto una stessa oppressione; ma la battaglia tra di loro dovrà scoppiare di nuovo in proporzioni sempre più grandi, e non può essere dubbio chi sarà alla fine il vincitore: se i pochi appropriatori o l'immensa maggioranza lavoratrice. E la classe operaia francese non è altro che l'avanguardia del proletariato moderno.
Mentre i governi europei attestano così, davanti a Parigi, il carattere internazionale del dominio di classe, essi si scagliano addosso all'Associazione internazionale degli operai - controrganizzazione internazionale del lavoro contro la cospirazione cosmopolita del capitale - accusandola di essere la fonte prima di tutti questi disastri. Thiers l'accusò di essere il despota del lavoro, pretendendo di esserne il liberatore. Picard dette l'ordine di tagliare tutti i collegamenti dei membri francesi dell'Internazionale con quelli dell'estero; il conte Jaubert, il mummificato complice di Thiers del 1835, dichiara che il grande problema di tutti i governi civili è di sdradicarla. I rurali urlano contro di essa, e tutta la stampa europea fa coro alle loro urla. Uno scrittore francese stimato, completamente estraneo alla nostra Associazione, si esprime in questo modo: "I membri del Comitato centrale della Guardia nazionale, e così pure la maggior parte dei membri della Comune, sono le menti più attive, intelligenti ed energiche dell'Associazione internazionale degli operai... uomini profondamente onesti, sinceri, intelligenti, devoti, puri e fanatici nel senso buono della parola." Lo spirito borghese, imbevuto di pregiudizi polizieschi, si figura naturalmente che l'Associazione internazionale degli operai funzioni al modo di una cospirazione segreta, con il suo organismo centrale che ordina, di quando in quando, esplosioni in diversi paesi. La nostra Associazione in realtà, non è altro che il legame internazionale tra gli operai più avanzati dei differenti paesi del mondo civile. Dovunque, in qualsiasi forma e in qualsiasi condizione, la lotta di classe prenda una certa consistenza, è semplicemente ovvio che i membri della nostra associazione siano al primo posto. Il terreno su cui essa sorge è la stessa società moderna. Essa non può venire sradicata da nessun massacro, per quanto grande. Per sradicarla, i governi dovrebbero sradicare il dispotismo del capitale del lavoro, condizione della loro stessa esistenza di parassiti.
Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l'araldo glorioso di una nuova società. I suoi martiri hanno per urna il grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori, la storia li ha già inchiodati a quella gogna eterna dalla quale non riusciranno a riscattarli tutte le preghiere dei loro preti.
 
(Karl Marx, La guerra civile in Francia, Opere scelte, Editori riuniti, pagg. 905-932)
 

24 marzo 2021