Superati i 105.000 morti
La strage del coronavirus grava sulle spalle del capitalismo e dei suoi governanti
L'Italia per mortalità ai primi posti al mondo
Dai dati ufficiali l'Italia ha superato i 105mila morti a causa del Covid-19 da quando, il 21 febbraio 2020, si registrò il decesso di Adriano Trevisan a Vo' Euganeo, il primo a essere stroncato in Italia da questo male.
A fare le dovute statistiche ci ha pensato l'Istat nel suo rapporto del 1° marzo, quando i decessi erano ancora 96.149.
Riguardo alla distribuzione geografica dei deceduti, l'Istituto superiore di sanità ha diviso il suo lavoro in tre fasi, corrispondenti ad altrettanti periodi dell'epidemia, la prima da febbraio a maggio 2020 in coincidenza della prima ondata, la seconda è quella della bassa incidenza da giugno a settembre 2020, mentre la terza corrisponde alla seconda ondata, cioè da ottobre 2020 agli inizi di marzo 2021.
La prima ondata ha colpito nel modo più violento quasi esclusivamente l'Italia settentrionale fino a quasi tutta la Provincia di Pesaro Urbino (compresa la Repubblica di San Marino, che ha dovuto registrare il primato mondiale di mortalità a causa della pandemia rispetto alla popolazione, con 0,181% deceduti – pari a 61 - su 33.574 abitanti), ma si può dire che a sud dell'Appennino settentrionale, complessivamente, la diffusione del virus è stata molto più ridotta, anche se non sono mancati focolai nell'Italia centrale, in quella meridionale e nelle Isole. In questa fase la Lombardia da sola ha contato il 47,7% dei decessi, seguita dal 12,6% dell’Emilia-Romagna e dall’11,6% del Piemonte, ma anche Veneto e Liguria hanno contato ciascuna oltre il 4%.
Il secondo periodo, da giugno a settembre, è stato quello in cui c'è stata una bassa incidenza della malattia, e comunque anche in tale arco temporale la Lombardia ha continuato ad avere la percentuale più alta di decessi con il 32,9% seguita dal Veneto con il 13,5%, l'Emilia-Romagna col 9,4% e il Lazio con l’8%, mentre tutte le altre Regioni hanno avuto percentuali minori.
Nella seconda ondata, iniziata a ottobre e ancora in corso, si può dire che il contagio ha interessato in modo diffuso quasi tutto il territorio nazionale: in Lombardia si è registrato finora il 18,6% dei decessi, in Veneto il 12,7%, in Emilia-Romagna il 10,1%, nel Lazio l’8%, in Piemonte il 6,9%, e anche in Sicilia e Campania si è superato il 6%, mentre tutte le altre Regioni hanno avuto percentuali minori.
Dall’inizio dell’epidemia a oggi in Lombardia si sono registrati 28mila morti, mentre sia in Emilia-Romagna sia nel Veneto circa 10mila, corrispondenti in percentuale rispettivamente al 29,2%, all’11% e al 10,2%, ossia a più della metà die morti in Italia, mentre tutte le altre 17 Regioni hanno avuto complessivamente meno della metà di tutti i decessi.
Per ciò che riguarda l’età media dei deceduti è di 81 anni e le donne sono il 43,9% delle vittime, mentre i pazienti deceduti con meno di 50 anni sono stati in totale 1.055, l’1,1% di quelli totali, la quasi totalità con patologie gravi pregresse.
Nel 2020 l'Italia ha registrato 75.891 decessi causati dal Covid-19, valore assoluto che pone il nostro Paese al primo posto nell'Unione Europea e ai primi posti al mondo. Anche il tasso di mortalità è altissimo, edè a pari a 1.738 morti per milione di abitanti.
Finora abbiamo esaminato soltanto i dati tragici relativi al nostro Paese, ma di fronte a questa tragedia che ha assunto dimensioni mondiali – al 22 marzo 2021 sono oltre 2 milioni e 729mila i morti nel mondo - non possiamo non porci domande sul ruolo che il capitalismo, anche quello ormai radicato profondamente in Cina da decenni, ha avuto nell'alimentare la crisi pandemica in atto.
Il modo di produzione capitalistico si è dimostrato letale per la natura e per l’umanità sin dalla sua origine nel XIV secolo, con una forte impennata dall'epoca delle grandi scoperte geografiche e all'imperialismo che ne seguì soprattutto nelle Americhe, dove le malattie portate dall'Europa provocarono un numero catastrofico di morti. La rivoluzione industriale del XVIII secolo, innestandosi nel sistema capitalista già prospero, ha poi fatto il resto, e i cambiamenti climatici ai quali assistiamo ne sono una diretta conseguenza.
Per ciò che riguarda le epidemie, esse hanno ovviamente caratterizzato tutta la storia dell'umanità ben prima del sorgere del capitalismo, ma l’imporsi del modo di produzione capitalistico a livello globale, la cosiddetta globalizzazione imperialista, ha creato le condizioni perché gli agenti patogeni possano raggiungere ogni angolo del mondo nel giro di poche settimane, e questo è effettivamente avvenuto.
L’accumulazione di capitale comporta inevitabilmente, da secoli, il saccheggio del territorio e dell'intero pianeta: il risultato non è stato solo il riscaldamento globale, ma anche la contaminazione dell’aria e dell’acqua, la deforestazione e la distruzione di interi ecosistemi, e tutto ciò inevitabilmente ha favorito, e continua a favorire, la generazione e la diffusione di agenti patogeni.
Come è stato autorevolmente evidenziato dal biologo Rob Wallace nel suo testo Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science
(New York, 2016) nuove industrie agroalimentari e nuove grandi fattorie sono state costruite in aree che precedentemente non erano state invase dall'uomo, con la conseguenza che le naturali fasce di contenimento dell’ecosistema delle foreste e dei boschi vengono distrutte, permettendo ai virus di passare facilmente dalle specie selvatiche all’uomo, come certamente è avvenuto anche per il Covid-19, diffusosi dalla città cinese di Wuhan. Quest'ultima città contava nel 1953 meno di un milione e mezzo di abitanti, ora ne conta oltre 11 milioni, e il territorio boschivo della provincia di Hubei, di cui è capoluogo - grande poco più della metà dell'Italia ma con gli stessi abitanti di quest'ultima - è stato negli ultimi decenni fagocitato da una insensata conduzione capitalistica del territorio.
Se il capitalismo è chiaramente responsabile della diffusione del coronavirus in tutto il mondo, esso ha mostrato i suoi limiti anche per ciò che riguarda la risposta sanitaria al virus soprattutto nei Paesi dove la sanità pubblica di fatto non esiste (l'esempio più eclatante è quello degli Stati Uniti, che hanno avuto finora oltre 550.000 morti e oltre 29 milioni di contagi) o come in Italia dove la sanità pubblica certamente esiste ma è stata massacrata negli ultimi decenni dalla frammentazione regionale, dalle privatizzazioni, dai sempre più pesanti tagli, dalle chiusure di tanti ospedali e di tanti presidi di pronto soccorso, oltre che dai tanti sprechi e inefficienze dovuti al malgoverno a tutti i livelli. Responsabili dei tanti, troppi morti in Italia sono innanzitutto il governo Conte 2 e i governi regionali e locali, che non hanno saputo fronteggiare l'epidemia e proteggere adeguatamente la popolazione, un fallimento che si estende all'intera macchina statale borghese, costruita intorno alla necessità di difendere il sistema economico e politico capitalistico e non certo il proletariato e le masse popolari.
È quindi urgente prendere coscienza che il sistema capitalista deve essere sostituito con quello socialista, anche per le conseguenze sulla popolazione e sull'ambiente che sta provocando, come già un grande Maestro del socialismo scientifico aveva lucidamente intuito: “noi riusciamo solo gradualmente
– scriveva Engels nella Dialettica della natura
- ad acquistare una chiara visione degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva, attraverso una lunga e spesso dura esperienza, e attraverso la raccolta e il vaglio del materiale storico; e così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti. Ma per realizzare questa regolamentazione, occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso”
(F. Engels, Dialettica della natura
, Editori Riuniti, 1971).
24 marzo 2021