Altri studi rilanciano in prospettiva i preoccupanti dati del report dell'Istat
Sarà la povertà la vera pandemia dei prossimi anni
Oltre dieci milioni di persone a rischio. Impennata del 50 per cento delle assistenze della Caritas in molte città italiane
Il quadro di fondo di un peggioramento generalizzato delle condizioni di vita negli strati più deboli della popolazione era ormai una costante negli ultimi decenni, da quando certi dati statistici si sono resi disponibili; tuttavia l'allarme gridato dal recente rapporto preliminare dell'Istat uscito il mese scorso (e che anche noi abbiamo trattato su Il Bolscevico
n. 12 del 1 aprile) metteva in luce le impennate senza precedenti nell'impoverimento trasversale della popolazione residente in Italia, seppur con ovvie specifiche variazioni territoriali.
Al di là del costo della vita differente per aree, dal quale dipende direttamente la determinazione della soglia di povertà, il dato di fondo incontrovertibile è che nel 2020 le persone in povertà assoluta sono state un milione in più rispetto all'anno precedente, per un totale di 5,7 milioni; quelle prossime a questa condizione però, che già nel 2019 erano più di un quinto dell'intera popolazione italiana, rischiano l'esplosione col perdurare della crisi pandemica.
Dieci milioni e mezzo a rischio povertà nel prossimo futuro
Di recente, anche il centro studi di Unimpresa, cartello nazionale di imprese private poco avvezzo a interessarsi del sociale, in un suo report ha spiegato che gli “italiani” a rischio povertà a causa della crisi innescata dal Covid-19 sono ben dieci milioni e mezzo. Tra questi, i quattro milioni di disoccupati e i 6,3 di lavoratori precari, le cui condizioni di vita e di lavoro sono diventate sempre più inaccettabili. Unimpresa chiarisce che secondo loro la soluzione sarebbe “mettere le imprese in condizione di trattenere i lavoratori e di tornare a crescere per assumere, solo così non avremo più poveri nel nostro Paese”; una proposta naturalmente padronale e pertanto inaccettabile, ma i dati di analisi rimangono e sono spietati.
In Italia i lavoratori poveri sono aumentati di oltre il doppio della media europea
Anche una analisi della Confederazione Europea dei Sindacati offre una visione prospettica ampia e preoccupante, dimostrando che dal 2010 al 2019 i "lavoratori poveri" – cioè coloro che sono scesi per reddito sotto la soglia di povertà – dei 16 Paesi dell'Unione Europea sono aumentati del 12%, ma in Italia sono addirittura passati dal 9,5% al 12,2% della popolazione lavorativa, con un aumento spaventoso di ben il 28%.
Secondo lo studio, solo quattro Stati membri hanno salari minimi legali al di sopra della soglia salariale considerata a rischio di povertà. La Confederazione rivendica alcune misure immediate, fra le quali impedire che il salario minimo venga fissato al di sotto della soglia di povertà aggiornato, il divieto di erogare fondi pubblici ad aziende che rifiutano ai propri lavoratori il diritto alla contrattazione collettiva e porre fine all'esclusione di alcune categorie di lavoratori come i collaboratori domestici o i giovani, dal salario minimo stabilito per legge.
Misure positive, delle quali auspichiamo la conquista e l'applicazione, ma senz'altro parziali e insufficienti secondo noi per risolvere il problema della povertà, proprio perché lasciano inalterati i rapporti di lavoro capitalistici che portano in sé l'illimitato sfruttamento dell'uomo sull'uomo e l'assenza del diritto al lavoro stabile, a salario pieno e sindacalmente tutelato.
Lo sblocco dei licenziamenti di giugno inasprirà il tasso di disoccupazione già in aumento
Sempre secondo l'Istat, nemmeno gli ultimi numeri sulla disoccupazione
lasciano ben sperare poiché nel corso dell’ultimo anno ne sono andati in fumo ben un milione, in attesa delle conseguenze della fine del blocco dei licenziamenti che il governo del banchiere massone Draghi ha detto di voler interrompere nel prossimo giugno, liberando le aziende da questo vincolo e dando loro mano libera nell'espulsione delle lavoratrici e dei lavoratori a loro inutili nel post-crisi.
Il tasso di disoccupazione stimato al 10% (ben lontano da quello reale molto più alto) è naturalmente edulcolorato anche dalla crescita di oltre 700 mila unità degli “inattivi”, che non solo non hanno un lavoro ma neppure lo cercano. Tasso che sale al 30% dei giovani e delle giovani in età lavorativa e al 50% per le donne. Dati sconcertanti poiché va ricordato anche che tutta quella serie di lavoratori poveri, precari e sottopagati, rientrano fra gli occupati.
Rispetto a un anno fa in sostanza, il tasso di occupazione generale è più basso di 2,2 punti percentuali
e quelli di disoccupazione più alto di quasi un punto; dati sconcertanti poiché va ricordato anche che tutta quella serie di lavoratori poveri, precari e sottopagati, rientrano fra gli occupati.
Raddoppiano gli interventi delle associazioni caritatevoli
Ad avvertire di questa spaventosa deriva, vi sono gli allarmi della Caritas che
ormai non si contano. Nelle grandi città la povertà è una dimensione, che aggredisce fasce sociali che fino a poco fa erano “al sicuro” o quasi, che prima “ce la facevano” a far fronte a mutui, bollette, spese condominiali, prestazioni sanitarie e generi alimentari
e che adesso non sanno che pesci pigliare; una prospettiva ben conosciuta e denunciata fin da Marx, quando parlava della tendenza all'impoverimento generale della popolazione lavoratrice e dello scivolamento nella classe del proletariato della piccola borghesia e degli strati intermedi.
Ad esempio, il rapporto 2020 della Caritas sulle povertà presentato lo scorso dicembre, spiegava che a Roma il 18% dei residenti è a rischio povertà, il 10% va in crisi per spese fisse o improvvise e il 7% vive in condizioni di grave deprivazione abitativa, con incrementi a tre cifre per il sostegno relativo ai beni alimentari, specialmente alla fine della scorsa primavera.
Anche a Firenze, nella Toscana del vantato quanto inesistente “buon governo” della “sinistra” borghese, si è verificato un crollo delle visite specialistiche, che significa seminare potenziali patologie non intercettate in tempo, con un aggravio delle spese pubbliche di cura molto più alte di quelle della prevenzione.
Duplicati quasi ovunque i ricorsi ai pasti delle mense caritatevoli, come a Genova o Milano dove le file composte da anziani, madri sole, padri separati, colf e badanti, italiani, stranieri e giovani che non riescono a sopravvivere con lavori precari, lavoratori autonomi ultracinquantenni per i quali è impossibile accedere ai pur modestissimo contributi. I responsabili delle mense hanno affermato che era dall’ultima guerra che non si vedevano richieste così massicce di aiuti primari e la sensazione è che si sia solo all’inizio di un processo sempre più grave ed esteso del secondo dopoguerra.
Le bugie dei governi Conte e Draghi
La spietata realtà dei fatti sta spazzando via le proiezioni di falso ottimismo del governo Conte e dei suoi ministri, raccolte e rilanciate da Draghi senza cambiare minimamente la sostanza degli inconsistenti “ristori”, che sono andati in larga parte a beneficio di grosse aziende, lasciando alla mercé delle chiusure disposte in contrasto della pandemia tutta la parte economica più debole dei lavoratori dipendenti e delle partite Iva.
Le misure adottate dal governo Draghi sono largamente insufficienti e incapaci di invertire questa tendenza all'impoverimento della popolazione. Il Fondo Povertà, depauperato dal Reddito di cittadinanza e precipitato a meno di 600 milioni di euro per il 2020 è una briciola in confronto a ciò che servirebbe oggi, e cioè 1.200 mensili per tutti e il mantenimento degli ammortizzatori sociali per tutta la durata della pandemia. Altro che “luce in fondo al tunnel”, come vanno cianciando i governanti borghesi come Speranza. Non c'è nessuna luce in fondo al tunnel del capitalismo e del suo governo Draghi.
Rivendicare e conquistare misure immediate è dunque il compito delle masse popolari oppresse, ma esse - e in particolare la loro parte politicamente più avanzata - dovrebbero anche porsi la questione del potere politico e la necessità che esso passi nelle mani del proletariato, come ha indicato in occasione del 44° compleanno del nostro Partito il Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi. È questa in ultima analisi la condizione per cancellare definitivamente la povertà e le ingiustizie sociali.
14 aprile 2021