Recandosi in visita a Tripoli
Draghi prova a ottenere più spazio per l'imperialismo italiano in Libia
Nelle comunicazioni del 17 febbraio al senato sulle dichiarazioni programmatiche del governo, il presidente del consiglio Mario Draghi nel pur sintetico capitolo sui rapporti internazionali non aveva mancato di sottolineare, assieme alla fede europeista e atlantista, la "forte attenzione e proiezione" verso le aree di "naturale interesse prioritario" fra le quali il Mediterraneo allargato, con "particolare attenzione" alla Libia e al Mediterraneo orientale. Un impegno tradotto nella pratica neanche due mesi dopo, il 6 aprile, quando Draghi è sbarcato a Tripoli assieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio per l'incontro con il da poco insediato premier del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah. La prima visita di Stato all'estero è stata appunto in Libia, sottolineava lo stesso Draghi a dimostrazione dell’importanza di un legame storico tra i due Paesi, o meglio a conferma delle ambizioni egemoniche dell'imperialismo italiano che prova a ottenere uno spazio maggiore e recuperare dalla posizione di seconda fila nella spartizione del controllo del paese risultata dall'irruzione nella crisi e nella guerra civile dall'arrembante imperialismo turco, che lo ha sostituito nel sostegno alla parte di Tripoli e ha ingaggiato il confronto con la parte di Tobruk appoggiata dalla Russia.
Questo "è un momento unico per ricostruire, per guardare al futuro e per muoversi con celerità e con decisione", dichiarava Draghi a Tripoli per "ricostruire quella che è stata un’antica amicizia”, un legame che non ha mai conosciuto pause, sottolineava ricordando che l’ambasciata italiana è stata l’unica aperta durante tutto il conflitto. Il momento è unico perché resiste il cessate il fuoco e si è insediato il 10 marzo scorso, con il voto di fiducia del Forum di dialogo politico, il nuovo premier libico, l'imprenditore di Misurata Dbeibah, che ha il compito di gestire la fase di transizione verso le elezioni presidenziali e legislative programmate per il prossimo 24 dicembre. Dbeibah ha già partecipato in passato a costruire quel "legame storico" tra i due paesi: nel 2008 ha seguito il negoziato che portò all'accordo di amicizia e partenariato raggiunto tra il regime di Gehddafi e l'allora premier Berlusconi e che tra le altre comprendeva il contributo italiano alla costruzione dell'autostrada costiera di quasi 2mila chilometri tra il confine egiziano e quello tunisino. Un accordo che Draghi ha rievocato per inserire il progetto dell'autostrada tra i settori interessati alla cooperazione, quelli infrastrutturale, sanitario, culturale e soprattutto energetico.
Per cementare questa partnership definita "una guida per il futuro", il presidente del consiglio italiano non lesinava gli elogi sul tema delle migrazioni a una Libia che non esiste, "esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi", come se non avessimo una documentatissima lista di criminali arrembaggi e affondamenti dei barconi dei migranti e una serie infinita di morti per opera di quella marina libica che l'Italia si vanta di aver addestrato e equipaggiato fin dai tempi dei governi di Gentiloni e Minniti. E di atti repressivi e illegali del governo italiano contro le ong e i giornalisti che le denunciano.
Ma Draghi scorreva veloce sugli argomenti e dalle poche ma significative parole sui migranti passava a sottolineare che il problema non nasceva solo sulle coste libiche ma si sviluppava anche sui confini meridionali dove "l’UE è stata investita del compito di aiutare il governo libico" anche in questa area. Guardava dalla Libia alla regione del Sahel, messa nel mirino dell'intervento dell'imperialismo europeo, di Francia e Italia in particolare.
Come aveva spiegato bene il ministro della Difesa Renzo Guerini in una recente intervista alla compiacente Repubblica
"la Libia è la nostra priorità strategica" e "la Difesa può rappresentare una leva importante per il ritorno del protagonismo italiano in Libia", "come Difesa continueremo a portare avanti la collaborazione tecnico-militare, concentrandoci soprattutto nell’addestramento" in base "all’accordo firmato a dicembre con il mio collega Al-Namroush e che dobbiamo implementare" perché quell’accordo "ha segnato il primo passo per un ritorno dell’Italia nelle dinamiche del Paese, dopo due anni in cui le autorità libiche si erano rivolte a altre nazioni". Si riferiva a altri paesi come la Turchia.
L'imperialismo italiano rivuole il suo posto in Libia e avvisa le concorrenti, con Draghi che sceglieva il paese per la sua prima visita ufficiale all'estero e lanciava segnali quali l'attacco frontale al presidente fascista turco Erdogan, definito pubblicamente nella conferenza stampa dell'8 aprile un dittatore non tanto per lo sgarbo diplomatico alla presidente della Commisione Von der Leyen relegata su un sofà laterale nell'incontro ufficiale della delegazione Ue guidata dal presidente del consiglio europeo Charles Michel a Ankara del 6 aprile. Un dittatore che deve essere trattato usando la franchezza del dissenso e la necessità di cooperazione, precisava Draghi, utilizzando il nuovo "metodo diplomatico" inaugurato dal presidente americano Biden che aveva definito in una compiacente intervista televisiva il rivale Putin un assassino. Ma piuttosto perché la Turchia di Erdogan si presenta per l'imperialismo italiano come un pericoloso antagonista militare e politico sul suolo libico, in particolare nella capitale e in Tripolitania.
14 aprile 2021