In un'ampia e compiacente intervista al “Manifesto” trotzkista rappresentato da Castellina
Landini rilancia il “sindacato di strada”, ma l'obiettivo è una Cgil ancora più istituzionale e cogestionaria
Il leader della Cgil non spende nemmeno un parola contro il governo Draghi e il capitalismo
Occorre invece un sindacato unico basato sulla democrazia diretta
Sul “Manifesto”, quotidiano che ancora oggi si fregia, in maniera del tutto impropria, dell'aggettivo comunista apposto sopra il logo della testata, è apparsa un'intervista al segretario generale della Cgil da cui possiamo trarre molti spunti di riflessione. E' stata definito più un “dialogo”; in effetti tra Luciana Castellina, storica penna del giornale e antica trotzkista, e Maurizio Landini, che si è disfatto velocemente dei panni del capopopolo ancor prima di raggiungere il vertice del più grande sindacato italiano, è più un gioco delle parti.
Lo scopo di questo teatrino è quello di veicolare un messaggio dove si invita a riporre le speranze nella Cgil, presentando Landini come paladino dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e il suo sindacato come il soggetto che potrà rappresentare tutta la sinistra (borghese), al cospetto del fallimento e dell'irrilevanza dei partiti politici che si richiamano alla socialdemocrazia, intesa come espressione del riformismo storico.
Esordisce la Castellina: “In questo anno di pandemia abbiamo tutti imparato molte cose che non sapevamo. Adesso sappiamo che la terra è molto malata, che la stessa umanità è a rischio estinzione. E anche il capitalismo che fino a ieri appariva trionfante, è ormai privo delle sue arroganti certezze”. Non lo sapevamo? Ma è lei che adesso cade dal pero e si accorge, forse, delle inconciliabili contraddizioni di questa società. Non ci meravigliamo più di tanto visto che il suo giornale è da un bel po' di anni che ha abbandonato qualsiasi velleità rivoluzionaria e anticapitalista, arrivando a sostenere apertamente governi come quello di Prodi, dell'ultimo Conte, e perfino quello attuale del banchiere massone Draghi.
Quando partono le domande sul ruolo del sindacato oggi, Landini dà delle risposte generiche e inconsistenti, nelle quali si lamenta della riduzione della democrazia, della precarizzazione del lavoro, del disastro ambientale, del tema di “cosa produrre, come produrre, per chi produrre”. Insomma, discorsi che potrebbe fare benissimo, forse anche in maniera più incisiva, papa Bergoglio, elencando alcuni mali del capitalismo ma senza mai tirarlo in ballo ne tanto meno metterlo in discussione. Anche per lui vale quanto detto per la Castellina: ma dov'era fino ad ora? Il precariato non è davvero esploso all'improvviso assieme alla pandemia, sono decine di anni che sta avanzando, e con il concorso di colpa dei sindacati confederali.
Poi si addentra nella questione ambientale, dalle energie rinnovabili all'economia circolare. Ma la sua non è una critica al modello capitalistico di sfruttamento della natura e delle persone, bensì appare più un sostegno alla cosiddetta “transizione ecologica” del governo Conte 2 e poi di Draghi che si traduce in finanziamenti a colossi come Eni che di ecologico hanno ben poco ma che assieme ad altri soggetti che producono energia si battono per ottenere, anche attraverso i loro deputati di riferimento in parlamento, i finanziamenti pubblici.
Più avanti invece ritorna su due proposte che la dicono lunga su quale sia nel concreto la linea della Cgil. La prima è quella di “pensare a nuove forme di democrazia economica, di sperimentare nuove forme di codeterminazione nelle imprese”. Una vecchia proposta cogestionaria e neocorporativa che più volte abbiamo denunciato sul Bolscevico
. In altre parole un nuovo “patto sociale” che leghi il sindacato al governo e alle imprese e ne faccia un interlocutore pienamente istituzionalizzato.
Non a caso Landini a un certo punto dice che “la Costituzione non rimanga fuori dai cancelli dei posti di lavoro”. È chiaro il suo riferimento ai due articoli della Costituzione, il 39 e il 46 mai applicati completamente. Quest'ultimo sancisce il “diritto” dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, “in armonia con le esigenze della produzione”, vale a dire a rinunciare alla lotta di classe e all'arma dello sciopero in nome degli interessi superiori della produzione e dell'economia nazionale capitaliste, esattamente come nel sistema corporativo mussoliniano.
Immediatamente dopo fa un indiretto riferimento all'articolo 39 che sancisce il riconoscimento giuridico da parte dello Stato dei maggiori sindacati e delle organizzazioni padronali come unici soggetti ammessi alla contrattazione, tramite la loro registrazione e il controllo di conformità dei loro statuti, escludendo perciò i sindacati minori e quelli che rifiutano di asservirsi e vogliono restare indipendenti.
Lo fa quando chiede “una legge sulla rappresentanza che recepisca gli accordi interconfederali, sancisca il diritto di voto delle lavoratrici e dei lavoratori per approvare gli accordi che li riguardano, che certifichi la rappresentanza delle controparti padronali”. Questa legge, il Tur, che recepisce l'accordo tra Confederali e Confindustria è la tomba della democrazia sindacale, sancisce il monopolio di Cgil-Cisl-Uil ed esclude i sindacati più combattivi, chi non firma gli accordi a perdere e le stesse rappresentanze aziendali che non seguono la linea dei vertici sindacali.
Verso il termine della sua intervista, imbeccato dalla Castellina, Landini ci fa il suo sermone sul “sindacato di strada”, che dal nome sembrerebbe in contrapposizione al sindacato burocratico e dei compromessi con il governo e i padroni, che recuperi “la frantumazione del lavoro che ha fatto seguito alla controffensiva capitalista degli anni '80 mettendo in difficoltà la nostra stessa capacità di rappresentanza”, con uno stretto rapporto con Cisl e Uil che i dirigenti della Cgil “ritengono fondamentale”. Non è assolutamente credibile.
Questa offensiva capitalista, ricordiamo a Landini, è potuta andare avanti anche grazie ai sindacati Confederali, che hanno lasciato campo libero accettando, e in certi casi addirittura proponendo, la politica dei sacrifici per i lavoratori portata avanti da Lama e dai segretari successivi con la cancellazione della scala mobile, la “politica dei redditi”, la “moderazione salariale”, i salari legati alla produttività e alle variabili del mercato capitalistico, la concertazione, la flessibilità, la limitazione del diritto di sciopero e del conflitto, la privatizzazione delle agenzie di collocamento e la liberalizzazione del mercato del lavoro, la sostanziale accettazione delle controriforme pensionistiche, Fornero compresa, e ci fermiamo qui ma l'elenco sarebbe ancora lungo.
In sostanza, come già avvenuto nel recente passato con il Patto per il lavoro, la Carta dei diritti, il Patto per la fabbrica e il sindacato unitario con Cisl e Uil si propone un sindacato fortemente istituzionale e neocorporativo, che partecipi sia alle scelte di politica nazionale, sia a quelle aziendali, naturalmente da posizione subordinata. Con la “codeterminazione” va a finire come negli USA, dove i maggiori sindacati sono dentro i consigli di amministrazione delle aziende, hanno centinaia di dirigenti ben pagati, campano non solo con le tessere ma sopratutto con i soldi dei fondi pensionistici e degli enti bilaterali, modalità che inizia a essere una realtà anche in Italia.
Altro che “sindacato di strada”, al di là dei proclami quello di Landini è un sindacato dove i suoi dirigenti sono ben abbarbicati alle comode poltrone della Confederazione, burocrati che poi magari, smessi i panni del sindacalista, li ritroviamo tra i consigli di amministrazione delle aziende pubbliche e private, delle municipalizzate, di qualche ente statale, come sindaci di qualche grande città o nel parlamento, magari a votare leggi antioperaie. Si pensi, solo per fare un esempio a Mauro Moretti che da membro della segreteria nazionale della Federazione Italiana Lavoratori Trasporti -Cgil è stato promosso prima ad amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato e poi ad e direttore generale di Leonardo Spa. No non abbiamo bisogno di questo sindacato.
Altra annotazione da fare: ma sull'attuale governo nemmeno una parola? Va bene che l'intervista era sui temi generali, ma Landini non nomina mai Draghi e la Castellina si guarda bene dal fargli una domanda in proposito. Chi tace acconsente dice il proverbio, e in questo caso non è una forzatura perché Landini in tante altre occasioni ha tenuto a precisare che la sua organizzazione sostiene questo governo, che Draghi è una figura di “altissimo livello” (per chi?), che adesso “ognuno deve fare la propria parte”, come se tutti, lavoratori e padroni, avessero lo stesso obiettivo.
Forse in questa occasione era meglio tacere anche per non irritare molti lettori del Manifesto
che al sostegno dato dal quotidiano a Draghi subissarono il giornale di lettere di protesta. Certo è che Landini ha completamente disatteso tutte le speranze di chi vedeva il lui quanto meno un leader sindacale combattivo che avrebbe spostato a sinistra la Cgil. Invece l'ha portata ancora più a destra, sulle stesse posizioni di Cisl e Uil. La sua rapida parabola lo ha portato, ai tempi della Fiom, dalla battaglia contro l'ipersfruttamento e la subordinazione operaia del “modello Marchionne” al patto neocorporativo con Federmeccanica, firmando un accordo a costo zero per i padroni.
Certamente c'è bisogno di un nuovo sindacato, radicato sul territorio e tra i lavoratori, ma di tipo nuovo. Sganciato dai legami istituzionali e partitici, dagli inciuci con il padronato sulla pelle di chi lavora, che parta esclusivamente dalla difesa degli interessi dei lavoratori, che appoggi e organizzi le lotte per la difesa dei diritti e dei posti di lavoro, e non che in nome della “pace sociale” ignori o addirittura attacchi le battaglie contro i licenziamenti e lo schiavismo come quelle degli operai Fedex o Texprint perché non le ha organizzate la Cgil.
Un sindacato che difenda a spada i diritti di chi lavora e un sistema pensionistico e sanitario universale e avanzato, e non che partecipi al suo affossamento con la promozione del welfare aziendale e dei fondi pensione, o che stia soltanto sulla difensiva a mitigare le controriforme come ha fatto con il Jobs Act e la legge Fornero. Un sindacato che difenda veramente il contratto nazionale, anziché vanificarlo firmando accordi che concedono ai padroni il potere di deroga, aggirando e svilendo la sua applicazione. Un sindacato che non accetti i sacrifici ai lavoratori per il bene del capitalismo italiano, un sindacato che non faccia sconti a nessun governo borghese.
Chiaramente non potranno farlo sindacati cogestionari, istituzionalizzati e neocorporativi come Cgil-Cisl-Uil, e nemmeno la galassia sempre più frantumata dei sindacati di “base”. Per questo invitiamo tutti le lavoratrici e lavoratori combattivi ovunque collocati a prendere in considerazione la proposta strategica del PMLI di un unico sindacato basato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati, e non su un sindacato istituzionalizzato, interclassista e conciliatorio, basato sulle burocrazie e sul potere assoluto dei dirigenti che fanno il bello e il cattivo tempo a vantaggio della borghesia e non certo del proletariato.
14 aprile 2021