Poggio a Caiano (Prato)
Operai immigrati sfruttati e picchiati in una pelletteria
Fino a 15 ore di lavoro al giorno per pochi euro
Schiavizzati, oppressi, picchiati, ricattati e costretti a lavorare a nero fino a 15 ore al giorno in cambio di un salario non superiore agli 800 euro, senza alcuna tutela sindacale e sanitaria, senza riposi settimanali, tredicesima e ferie.
Questo è l'inferno che per mesi hanno subito una ventina di lavoratori immigrati, in prevalenza di origine cinese e africana, salvati dalle grinfie dei loro padroni aguzzini dal Nucleo economico-finanziario della Guardia di finanza di Prato e Firenze che il 18 maggio è intervenuto in una pelletteria di Poggio a Caiano (Prato) e ha arrestato con l'accusa di lavoro a nero e sfruttamento della manodopera clandestina i due padroni cinesi e due imprenditori italiani titolari di un'altra pelletteria di Scandicci (Firenze) che subcommissionava le lavorazioni di costosissime borse e accessori per conto della multinazionale Chloé, nota azienda dell'alta moda a livello mondiale.
Le indagini sono scaturite dalla denuncia presentata alla GdF, tramite la Camera del lavoro della Cgil, da tre operai africani che dopo mesi di soprusi e angherie hanno trovato il coraggio di ribellarsi e di denunciare pubblicamente le bestiali condizioni di supersfruttamento a cui erano sottoposti.
Nel rapporto della GdF si trova conferma di turni massacranti di lavoro, fino addirittura a 15 ore al giorno, per sei giorni alla settimana. Di schiaffi e cinghiate che uno dei due kapò cinesi affibbiava ai lavoratori, in particolare a uno degli operai africani, come punizione per la non perfetta esecuzione delle mansioni loro affidate.
Insomma una vera e propria azienda-lager dove i lavoratori venivano rinchiusi e ridotti in schiavitù, senza alcun contatto col mondo esterno, dal momento che molti di loro, non avendo il permesso di soggiorno, erano costretti ad accettare il posto letto “offerto” dai padroni, in un dormitorio sovraffollato, in pessimo stato igienico e sanitario, adiacente all’azienda.
Non solo. Per sfuggire ai controlli e evadere le tasse e i debiti maturati negli anni con l'Erario, i due padroni cinesi spesso cambiavano il nome della ditta e la partita Iva.
Di qui anche il provvedimento di sequestro preventivo a loro carico di oltre 900mila euro, considerati il frutto di una reiterata evasione fiscale; di una villa, un terreno e diverso denaro contante.
Sequestrati anche i macchinari da lavoro risultati privi di qualsiasi dispositivo di sicurezza e in pessime condizioni di manutenzione.
Dalle indagini, hanno sottolineato i finanzieri di Prato, è emerso che “gli amministratori dell’azienda italiana committente erano perfettamente consapevoli – al pari dei gestori di fatto e di diritto della ditta a conduzione cinese – dello sfruttamento cui i lavoratori venivano sottoposti”. Una situazione “molto diffusa nel distretto industriale del tessile e della pelletteria”.
Basti pensare che nei mesi scorsi un'altra mezza dozzina di padroni titolari di di confezioni tessili che operavano a Galciana (Prato), Grignano (Prato) e ancora a Poggio a Caiano sono stati arrestati con le medesime accuse di sfruttamento del lavoro “in condizioni di bisogno” nei confronti di centinaia di lavoratori in gran parte bengalesi e pakistani.
“Lavoravano in condizioni disumane – ha spiegato in una conferenza stampa il procuratore capo di Prato Giuseppe Nicolosi – È una situazione che fa emergere una umanità dolente”.
Una situazione di sfruttamento e di illegalità diffusa in tutto il distretto industriale con la complicità delle istituzionali locali, Comune e Regione in primis, ma anche dei vertici sindacali confederali che spesso fanno finta di non vedere e si girano dall'altra parte come testimonia la durissima vertenza dei lavoratori Texprint in sciopero permanente dal 18 gennaio per rivendicare l'applicazione del contratto nazionale di lavoro, i propri diritti e tutele sindacali.
26 maggio 2021