Provincia di Latina
Braccianti indiani dopati per reggere i ritmi schiavistici e costretti a lavorare anche se malati
Misure cautelari per i quattro dopatori
Lo scorso 26 maggio è finito agli arresti domiciliari, su disposizione del Giudice per le indagini preliminari di Latina, Sandro Cuccurullo, un medico di famiglia di Sabaudia che è stato sospeso dall'esercizio della professione sanitaria per un anno, accusato di avere prescritto farmaci dopanti a 222 lavoratori indiani, per lo più braccianti, allo scopo di renderli più resistenti e dunque lavorare di più.
Nell'ambito della stessa indagine della Procura della Repubblica del capoluogo pontino hanno parimenti ricevuto la misura cautelare della sospensione dalle rispettive professioni per la durata di un anno anche la farmacista Clorinda Camporeale, titolare di una parafarmacia di Sabaudia e Luigi Pescuma, un noto avvocato di Latina, ex poliziotto e da tempo attivo in politica con il ruolo di vicecoordinatore comunale nel capoluogo pontino per Fratelli d’Italia.
Nell'ambito della stessa inchiesta a una donna marocchina, Sihame El Hain, è stata imposta la misura cautelare di divieto di dimora nel territorio della provincia di Latina, mentre altre due persone, l'egiziano Atia Mansour e l'italiano Mario Agnoletti, sono indagati a piede libero.
I reati a tutti loro contestati sono, a vario titolo, di illecita prescrizione di farmaci ad azione stupefacente, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, frode processuale, falso e truffa ai danni dello Stato.
Le indagini erano state avviate ad aprile 2020 e hanno permesso di accertare che il medico di medicina generale, che esercitava in convenzione con l’AUSL di Latina, aveva rilasciato, a 222 propri assistiti di nazionalità indiana e tutti impiegati nel settore agricolo, 872 prescrizioni mediche per la dispensazione totale di 1.585 confezioni del farmaco Delpagos.
Le indagini hanno accertato che il farmaco (ricompreso tra quelli di cui alla sezione “D” della tabella I del DPR 309/90 con principio attivo ossicodone) veniva dispensato e somministrato non per curare patologie degli assistiti, che il medico falsamente diagnosticava, ma soltanto per poter consentire ad essi di effettuare massacranti turni di lavoro nel settore agricolo.
Oltre al danno per la salute dei lavoratori, si è verificato ovviamente un grave danno anche per le casse del servizio sanitario nazionale, il quale ha finora pagato alla farmacista oltre 146.000 euro per i menzionati farmaci da gennaio 2019 fino a ora. La professionista, hanno appurato le indagini, era pienamente consapevole del giro illecito di prescrizioni messo in piedi dal medico, il quale si avvaleva, per meglio frodare la legge, del supporto del legale. I lavoratori indiani venivano consigliati dal medico a rivolgersi esclusivamente alla parafarmacia della dottoressa Camporeale, consentendole lauti guadagni, mentre gli altri professionisti ricevevano compensi direttamente da numerosi datori di lavoro dei braccianti indiani, interessati a farli lavorare come muli.
Gli altri tre indagati - la donna marocchina, l'uomo egiziano e l'italiano - facevano da intermediari tra i datori di lavoro agricoli e i professionisti, cosicché questi ultimi gestivano i loro affari senza spostarsi dalle loro sedi, allo scopo di non dare minimamente nell'occhio.
Il farmaco Delpagos ha una chiara azione psicotropa, riduce la fatica e il dolore ma a lungo andare può addirittura risultare mortale se assunto in dosi eccessive, e la Procura di Latina ora vuole vederci chiaro su alcuni decessi anomali occorsi ad alcuni braccianti indiani, come quello del giovane Harpal Singh, che lavorava nei campi a Sabaudia ed era paziente di Cuccurullo.
La vicenda appena narrata si inserisce in un contesto di sfruttamento che era già emerso in tutta la sua drammaticità il 26 aprile scorso, quando il sociologo Marco Omizzolo in un'intervista pubblicata sul sito dell'agenzia di stampa Adnkronos, nell'ambito di un articolo dedicato al problema della diffusione del virus tra i braccianti pontini, aveva spiegato bene quale è il clima di ricatto nel quale gli operai agricoli indiani sono costretti a svolgere le loro mansioni, con i padroni incuranti persino del fatto che essi abbiano contratto il coronavirus o che ne mostrino chiaramente i sintomi: i lavoratori indiani “vanno comunque a lavorare, alcuni imprenditori li chiamano ugualmente
- dichiarava Omizzolo ad Adnkronos - e loro, pur di non perdere la giornata o rischiare di essere sostituiti, accettano il lavoro anche se sono positivi
”. “Se non hai da mangiare
- concludeva il sociologo nell'intervista - preferisci andare nei campi al di là di come ti senti. Ma in quelle aziende ci sono 100-150 braccianti, anche italiani, e un positivo diventa un vettore del virus. La scorsa settimana nella comunità di Bella Farnia, nel residence che ospita tantissime famiglie, erano 90 i contagi
”.
È facile immaginare quali danni possa provocare la presenza di un bracciante che presenta i chiari sintomi di una simile malattia infettiva nel luogo di lavoro, costituendo ciò un rischio non solo per la propria salute ma anche per quella degli altri lavoratori e dell'intera comunità di quel territorio.
Lo schiavismo più brutale è di fatto stato restaurato nell'Italia governata dal massone Draghi.
2 giugno 2021