Colombia
Spinto dall'ex presidente Uribe, Duque adotta misure fasciste per reprimere le manifestazioni delle masse antigovernative
Continua da oltre un mese in Colombia la rivolta popolare iniziata con lo sciopero nazionale contro la riforma fiscale dello scorso 28 aprile e appoggiata dalle forze popolari e di sinistra del mondo che hanno organizzato manifestazioni di solidarietà in numerosi paesi come ha messo in evidenza la dichiarazione internazionalista formata da una trentina di organizzazioni antimperialiste e che abbiamo pubblicato sul numero scorso. Non si è fermata a fronte della repressione governativa che al 12 maggio registrava 47 manifestanti morti, 1.040 feriti, 548 dispersi e 1.023 arrestati; è proseguita con blocchi, picchetti o presidi sulle grandi strade di comunicazione. E il presidente Iván Duque, spinto dal suo predecessore Alvaro Uribe, in carica per un doppio mandato dal 2002 al 2010, ha deciso di adottare misure fasciste per reprimere le nuove manifestazioni delle masse antigovernative.
Dopo aver ottenuto il 2 maggio il ritiro della riforma fiscale e successivamente le dimissioni del ministro delle Finanze Carrasquilla e il ritiro della riforma della Salute i manifestanti alzavano il tiro e rivendicavano la fine della repressione, un reddito di base, la garanzia del diritto all’educazione e alla salute, un cambiamento radicale delle politiche pubbliche, lo smantellamento del corpo di polizia antisommossa Esmad responsabile degli arresti illegittimi, di torture e violenze, il rispetto degli accordi di Pace firmati nel 2016 e la difesa dei territori minacciati da estrattivismo, paramilitarismo e narcotraffico.
La forza della mobilitazione delle masse antigovernative era evidente anche nelle manifestazioni del 28 maggio nelle decine di cortei, blocchi stradali, concerti, eventi culturali e cucine comunitarie che occupavano strade e piazze in tutte le principali città del paese. La sera stessa il presidente Duque firmava il decreto di urgenza 575 per dichiarare lo stato di emergenza e inviare l'esercito a sostegno della repressione della polizia nelle città di otto dipartimenti, in particolare quelli di Calì e di Valle del Cauca.
Almeno settemila soldati erano inviati nella città di Calì dove la rivolta contava quel giorno 14 morti e 51 feriti, caduti sotto i colpi della polizia e di gruppi di civili armati.
L'attacco poliziesco era fronteggiato nella capitale Bogotà dal servizio d'ordine a protezione delle manifestazioni in diverse parti della città, da Usme a Soacha, a Ciudad Bolívar e Portal Resistencia nella zona di Kennedy, dove era stato organizzato un concerto di protesta con migliaia di presenti. Quasi un centinaio i feriti degli scontri che continuavano per tutta la notte.
La crescente militarizzazione del paese decisa da Duque provocava ovviamente uno stallo nei negoziati che erano in corso sulle garanzie per esercitare la protesta sociale tra rappresentanti del governo con sindacati e organizzazioni sociali. Il Comitato di sciopero confermava le iniziative del 2 giugno, annunciava il ritiro dal negoziato e invitava a nuove manifestazioni a partire da quelle dell'8 giugno in occasione della giornata dello studente.
9 giugno 2021