Inchiesta della procura di Potenza “Giustizia svenduta” per fermare le indagini sull'Ilva
Arrestati Amara e Paradiso, ex collaboratore della Casellati, per corruzione in atti giudiziari
Nella sponsorizzazione di Capristo coinvolti Boccia (PD) e Lotti (PD)
Obbligo di dimora per il corrotto Capristo ex procuratore di Taranto

Sembra non avere confini il marcio che sommerge la magistratura, venuto alla luce prima con l'inchiesta sulle nomine alle procure pilotate dall'ex presidente dell'Anm ed ex membro radiato del Consiglio superiore della magistratura, Luca Palamara e dai politici suoi amici Lotti e Ferri, e più di recente con le rivelazioni del plurinquisito, corruttore di giudici e lobbista, Piero Amara. Una nuova inchiesta di oltre 1000 pagine, denominata “Giustizia svenduta”, della procura di Potenza diretta da Francesco Curcio, ha portato l'8 giugno scorso all'arresto per corruzione in atti giudiziari dello stesso Piero Amara. L'ex avvocato esterno di Eni e dell'ex Ilva di Taranto, anche lui coinvolto nel sistema corruttivo di Palamara, con le sue rivelazioni sull'esistenza di una presunta loggia massonica coperta composta di magistrati, avvocati, militari e politici denominata “Ungheria”, anche per pilotare le nomine nella magistratura, era già al centro dello scandalo che ha travolto la procura di Milano e lo stesso Consiglio superiore della magistratura (vedi Il Bolscevico n. 19/2021).
Insieme a lui è stato arrestato Filippo Paradiso, ex poliziotto, funzionario del ministero dell'Interno fin dai tempi di Buttiglione, passando anche per Salvini, e attualmente in forza al sottosegretario M5S Carlo Sibilia, che lo ha voluto con sé nonostante la sua nota amicizia con Amara. È stato anche membro dello staff della presidente del Senato, Elisabetta Casellati, dall'ottobre 2018 al gennaio 2019. Per Carlo Maria Capristo, ex procuratore di Trani e di Taranto è stato disposto l'obbligo di dimora per corruzione in atti giudiziari. Avrebbe ottenuto il posto a Taranto grazie alla sponsorizzazione di Amara e Paradiso e alle loro relazioni con politici e con membri del Csm. Capristo era già agli arresti domiciliari dal 18 maggio con l'accusa di tentata induzione a dare o promettere utilità, abuso d’ufficio, favoreggiamento personale, falso e truffa allo Stato in merito ad un'altra inchiesta, sempre presso la procura di Taranto, in cui compaiono alcuni dei soliti personaggi, tra cui Paradiso e Amara, come documentato in un altro articolo su questo stesso numero.
Anche in questo caso Capristo, con Amara e Paradiso, aveva costituito un gruppo dedito alla corruzione, alle raccomandazioni e a scambi di favori, basato su un sistema di do ut des che prevedeva il coinvolgimento di pezzi delle istituzioni, della magistratura e della politica. Come scrive il Gip Antonello Amodeo, Capristo gestiva le proprie funzioni di magistrato “nel senso tipicamente corruttivo-collusivo”, ovvero: “Per gli amici, i favori; per gli altri, la legge”.
Ai domiciliari sono finiti anche Nicola Nicoletti, avvocato amico di Amara, già consulente di Eni e poi di Ilva, e Giacomo Ragno, anche lui avvocato, già condannato a Lecce per un'analoga inchiesta sulla giustizia svenduta a Trani. Per lui il Gip ha disposto anche il sequestro di 278 mila euro. Per il Gip, Amara e Paradiso operavano un'“incessante attività di raccomandazione, persuasione e sollecitazione” a favore di Capristo “sui membri del Csm da loro conosciuti direttamente o indirettamente”, mentre il magistrato corrotto garantiva ad Amara e al suo collega Nicoletti “utilità, vantaggi ed agevolazioni professionali”, come consulenze all'Eni e all'Ilva di Taranto durante il periodo commissariale.
 

Il filone Eni e le relazioni col giro Palamara-Lotti-Verdini
Come ricorda il procuratore Curcio, nel 2016 Amara, come avvocato dell'Eni, è anche l'autore di un falso dossier su un complotto ai danni dell'ad di Eni Claudio Descalzi, all'epoca indagato per corruzione internazionale in merito alle tangenti Eni in Nigeria, da cui è stato di recente assolto in primo grado. Il falso fascicolo, istruito nel 2016 dal pm di Siracusa Giancarlo Longo, amico di Amara e condannato per corruzione in atti giudiziari, aveva lo scopo di sabotare il processo all'Eni intentato dalla procura milanese. Per questo falso complotto ai danni di Descalzi, Amara è ancora indagato dalla procura di Milano. Ma prima ancora di Longo fu Capristo, allora procuratore di Trani, ad istruire la falsa pista sulla base di un esposto anonimo di Amara, e poi a trasferire gli atti a Longo “per compiacere la richiesta di Amara”.
Longo ha dichiarato agli inquirenti di aver saputo da Giuseppe Calafiore, avvocato e socio di Amara, che Capristo avrebbe accettato di accreditare la falsa pista costruita da Amara in cambio del suo interessamento per la sua nomina a procuratore generale di Firenze, città dove “Verdini aveva un problema processuale lì”. “Calafiore – si legge nella deposizione di Longo – mi dice che Capristo avrebbe fatto questa attività di trasmissione in cambio della sua nomina a Pg di Firenze, dove si sarebbe occupato dei problemi di Verdini”.
 

La manipolazione delle indagini sui morti dell'Ilva
Arrivato a Taranto grazie alla sponsorizzazione di Amara e Paradiso, Capristo ricambiava il favore adoperandosi per accreditare Amara e Nicoletti presso la dirigenza dell'allora struttura commissariale dell'Ilva. Fu Capristo infatti a far nominare Amara consulente della difesa dell'ilva in due procedimenti e farlo partecipare alla trattativa per l'ipotesi di patteggiamento nel maxiprocesso “Ambiente svenduto”, patteggiamento che poi fu rigettato dalla Corte d'assise. Capristo ottenne anche la nomina di Ragno come difensore di alcuni dirigenti Ilva imputati nello stesso procedimento, incarico che gli fruttò 270 mila euro in due anni.
Secondo gli inquirenti Capristo fece pressione in almeno due casi di morti sul lavoro sui magistrati di Taranto affinché ammorbidissero la linea accusatoria sull'Ilva. Il primo riguarda il sequestro del nastro trasportatore che alimentava l'altoforno 4 (Afo4) e che il 17 settembre 2016 maciullò l'operaio Giacomo Campo di 24 anni, dipendente di una ditta esterna. Amara e il consulente dell'Ilva Nicoletti convincono l'allora legale dell'Ilva, Angelo Loreto (che ha rivelato tutta la vicenda agli inquirenti), che Amara aveva già preso accordi col procuratore per gestire lui la faccenda. Capristo, su indicazioni di Amara, nominò un consulente, Massimo Sorli, fatto venire apposta da Torino con un volo pagato dallo stesso Amara, e che a tempo di record fece sbloccare l'impianto in 48 ore. Inoltre Capristo fece filtrare alla stampa l'ipotesi inventata che dietro l'incidente ci fosse stato un sabotaggio, così da alleggerire le responsabilità della direzione.
Un secondo caso simile riguarda pochi mesi dopo l'Afo2, fatto dissequestrare con un decreto dall'ex ministro Carlo Calenda nonostante vi avesse trovato una morte orribile l'operaio Alessandro Morricella di 35 anni, investito da una fiammata. Un decreto bocciato però dalla Corte costituzionale, che spinse la pm Raffaella De Luca a cercare di rimettere i sigilli, scontrandosi però con la decisa opposizione di Capristo, il quale approfittando poi dell'assenza per ferie della magistrata dispose la facoltà d'uso dell'impianto.
Anche in questo caso Nicoletti, secondo la deposizione di Loreto, tentò di inquinare le prove addossando la responsabilità ad un singolo operatore del campo di colata, scagionando così la catena di comando dell'Ilva.
 

Il filone che porta alla politica e ai vertici delle istituzioni
Secondo l'accusa Paradiso era dedito a “curare, previa retribuzione, le relazioni pubbliche di Amara”. Aveva “una vasta rete di conoscenze e amicizie” in “ambito politico e istituzionale, anche di altissimo livello, che spaziavano dalla Presidenza del Senato, ad appartenenti alla Camera dei deputati, da ministri (fra cui l'onorevole Francesco Boccia) ed ex ministri, congiunti di importanti politici, imprenditori di rilievo (…) e molteplici conoscenze nel mondo della magistratura e dei servizi di sicurezza e informazione”.
La Casellati, che all'epoca della nomina di Capristo a capo della procura di Taranto era membro laico in quota FI del Csm, interrogata dai pm romani come persona informata sui fatti ha dichiarato che “fu Gianni Letta a chiedermi se potevo accoglierlo (Paradiso, ndr) nel mio staff”, negando con tanto di minaccia di vie legali di aver interloquito con lui per la nomina di Capristo, che fu nominato all'unanimità, e aggiungendo di non aver mai incontrato Amara. Ma nel marzo 2018, in risposta al messaggio di un amico che celiava su un “bel messaggio di congratulazioni” da inviare alla presidente del Senato, Capristo scriveva: “Hai proprio ragione, Mimmo caro... spero di invitarla quando potrà. E' una grande donna, come sai bene si è sempre battuta per me... e io non dimentico”.
Anche Giuseppe Calafiore, socio di Amara, avrebbe confermato un incontro tra Casellati e Paradiso per la nomina di Capristo. Inoltre Giancarlo Longo, che ha già patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari, avrebbe dichiarato d’aver incontrato la consigliera Casellati, attraverso l’intermediazione di Paradiso, per caldeggiare la propria nomina a Gela. Interrogata in proposito la presidente del Senato ha detto: “...non ho memoria di tale incontro... non sono in grado di escluderne o affermarne l’esistenza”.
C'è poi il lobbista Fabrizio Centofanti, che avrebbe rivelato ai pm di Perugia, dove è indagato per la corruzione di Palamara e le nomine pilotate alle procure, di aver partecipato a due cene, da lui pagate come tutte le altre che gli organizzava Palamara per discutere delle nomine, in cui era presente la Casellati. Alla prima, nel febbraio 2015 all'Hotel Majestic, per discutere la nomina al Tribunale di Roma, sarebbe intervenuto anche Cosimo Ferri; mentre alla seconda, per discutere la nomina di Capristo, parteciparono la Casellati, Paradiso, l'ex membro del Csm Forciniti, e forse anche Paola Balducci, consigliera del Csm in quota “centro-sinistra”.
 

Con Boccia e Lotti anche il PD dentro il sistema Amara
Per la nomina di Capristo, Amara avrebbe interessato per interposta persona anche l'ex ministro PD agli Affari regionali del governo Conte 2, Francesco Boccia, per premere su Paola Balducci, che fu contattata da Boccia (non indagato) per informarsi sulle possibilità di Capristo di essere nominato capo della procura di Taranto. L'ex ministro, chiamato in causa da Calafiore, è stato interrogato dal Gip di Potenza precisando che si informò e basta, senza fare pressioni, non ricorda se per conto di Capristo o di Paradiso, e che lei gli rispose solo: “E' tra i papabili”. Ma il Gip annota che la richiesta di Boccia era “essa stessa” un appoggio implicito alla nomina di Capristo.
Amara ha raccontato di aver coinvolto anche Luca Lotti, ex ministro del governo Renzi ed ex sottosegretario con Gentiloni, indagato per l'affare Consip in cui è coinvolto anche il babbo di Renzi, Tiziano, per perorare la nomina di Capristo, incontrandolo in un ristorante romano. Incontro negato da Lotti che ha anche querelato Amara, ma confermato da Paradiso. Anche l'imprenditore Andrea Bacci, socio di Tiziano Renzi, che ha conosciuto Amara tramite Paradiso, dice che Amara gli aveva chiesto di sponsorizzare la nomina di Capristo presso Lotti. Amara e Paradiso sarebbero intervenuti anche su Cosimo Ferri, leader della corrente Magistratura Indipendente e deputato di Italia Viva, attualmente sotto processo disciplinare per il caso Palamara. Calafiore afferma che l'aggancio con Ferri sarebbe stato Verdini: “Ferri andava nell'anticamera di Verdini, lo incontra là”.
L'inchiesta di Potenza dimostra che la corruzione nella magistratura e la collusione di interi suoi pezzi con il mondo degli affari illeciti e gli intrallazzi dei politicanti borghesi è un cancro ancora più vasto e profondo di quanto lo scandalo Palamara non abbia già mostrato, e che non solo alligna all'interno del supremo organo di autogoverno dell'ordine giudiziario, il Csm, ma estende le sue propaggini fino alle più alte cariche istituzionali, come la presidenza del Senato. Quantomeno occorre andare fino in fondo nel chiarire ruoli e responsabilità della Casellati e degli altri politici emersi dalle inchieste, nonché fare subito luce sulla vera o presunta loggia “Ungheria”, e rendere pubblici tutti i nomi degli eventuali affiliati. E c'è da chiedersi perché Mattarella, che è il presidente del Csm, continui a tacere su questa inquietante vicenda che si aggrava ogni giorno che passa.

 

(Per assoluta mancanza di spazio siamo costretti a rimandare la pubblicazione dell'articolo che ricostruisce l'arresto del procuratore capo di Taranto Capristo avvenuto un anno fa)


16 giugno 2021