14 ore di lavoro in cambio di tre euro l'ora
Lavoratori schiavizzati nel distretto industriale di Prato
La giungla dei subappalti al massimo ribasso, i salari da fame, il lavoro nero e i contratti pirata la fanno da padrone
I marchi dell'alta moda realizzano profitti da capogiro con la complicità dei vertici istituzionali e dei sindacati confederali
Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Prato
Sfruttati, schiavizzati, picchiati, ricattati e costretti a lavorare a nero fino a 14 ore al giorno per sette giorni su sette, senza alcuna tutela sindacale e sanitaria, senza riposi settimanali, tredicesima e ferie, in cambio di 3 euro l'ora e un salario da fame che non supera gli 800 euro.
Questo è l'inferno che vivono quotidianamente migliaia di lavoratori e non solo immigrati, nelle fabbriche, nei magazzini e nelle officine del distretto industriale pratese.
Un sistema di sfruttamento che addirittura fino a pochi anni fa veniva presentato come “il fiore all'occhiello del modo di governare e di fare impresa” da parte dei governi di “centro-sinistra”, dalla Confindustria Toscana Nord e dagli stessi sindacati confederali che ancora oggi parlano di “realtà marginali” di sfruttamento estranee ad un “distretto sano e di eccellenza”.
In realtà basta vedere gli esiti di alcune indagini della Guardia di finanza e della magistratura per rendersi conto che in tutto il distretto industriale che abbraccia le province di Firenze, Prato e Pistoia vige un sistema di sfruttamento bestiale dove i subappalti al massimo ribasso, i salari da fame, il lavoro nero e a cottimo la fanno da padrone.
Grazie al capitolazionismo e alla complicità dei vertici sindacali confederali, i diritti e le tutele nei luoghi di lavoro sono stati progressivamente azzerati, il contratto nazionale non viene quasi mai applicato, i lavoratori sono vittime di accordi capestro e contratti pirata e sono costretti a subire condizioni di vita e di lavoro sempre più disumane, molto simili, e per tanti versi anche peggio, di quelle dei braccianti e dei migranti sfruttati nelle campagne del Sud Italia.
Il 18 maggio ad esempio una ventina di lavoratori immigrati, in prevalenza di origine cinese e africana, sono stati salvati dalle grinfie dei loro padroni aguzzini dal Nucleo economico-finanziario della Guardia di finanza di Prato e Firenze che è intervenuto in una pelletteria di Poggio a Caiano (Prato) e ha arrestato con l'accusa di lavoro a nero e sfruttamento della manodopera clandestina i due padroni cinesi e due imprenditori italiani titolari di un'altra pelletteria di Scandicci (Firenze) che subappaltava le lavorazioni di costosissime borse e accessori per conto della multinazionale Chloé, nota azienda dell'alta moda a livello mondiale.
Nel rapporto della GdF si legge di turni massacranti di lavoro, fino addirittura a 15 ore al giorno, per sei giorni alla settimana. Di schiaffi e cinghiate che uno dei due kapò cinesi affibbiava ai lavoratori come punizione per la non perfetta esecuzione delle mansioni loro affidate.
Insomma una vera e propria azienda-lager dove i lavoratori venivano rinchiusi e ridotti in schiavitù, senza alcun contatto col mondo esterno, dal momento che molti di loro, non avendo il permesso di soggiorno, erano costretti ad accettare il posto letto “offerto” dai padroni, in un dormitorio sovraffollato, in pessimo stato igienico e sanitario, adiacente all’azienda.
Non solo. Per sfuggire ai controlli e evadere le tasse e i debiti maturati negli anni con l'Erario, i due padroni cinesi spesso cambiavano il nome della ditta e la partita Iva.
Nei mesi scorsi un'altra mezza dozzina di padroni titolari di confezioni tessili che operavano a Galciana (Prato), Grignano (Prato) e ancora a Poggio a Caiano sono stati arrestati con le medesime accuse di sfruttamento del lavoro “in condizioni di bisogno” nei confronti di centinaia di lavoratori in gran parte bengalesi e pakistani.
“Lavoravano in condizioni disumane – ha spiegato in una conferenza stampa il procuratore capo di Prato Giuseppe Nicolosi – È una situazione che fa emergere una umanità dolente” di sfruttamento e di illegalità diffusa in tutto il distretto industriale con la complicità delle istituzionali locali, Comune e Regione in primis, ma anche dei vertici sindacali confederali che spesso fanno finta di non vedere e si girano dall'altra parte come testimonia la durissima vertenza dei lavoratori Texprint in sciopero permanente dal 18 gennaio per rivendicare l'applicazione del contratto nazionale di lavoro, i propri diritti e tutele sindacali.
Proprio in questi giorni il Consiglio di Stato ha confermato l’interdittiva antimafia emessa nei mesi scorsi dalle autorità giudiziarie contro la Texprint. L’interdittiva è legata a un'inchiesta della Dda che vedeva indagato S. Y. Z. detto Valerio, teoricamente dipendente ma di fatto responsabile della stamperia tessile, accusato di aver esportato in Cina somme ingenti frutto di riciclaggio per conto di società vicine alla ‘ndrangheta.
In lotta anche i lavoratori della TopLine che dall'inizio di giugno stanno attuando un coraggioso sciopero degli straordinari organizzato e sostenuto dal Si.Cobas per denunciare la drammatica situazione di sfruttamento documentata anche dalle telecamere del programma “Piazza Pulita” con turni dalle 12 alle 14 ore, paghe fissate a 4 euro l’ora, niente ferie né malattie pagate né tredicesima.
“Lavoriamo 15 ore al giorno. Ci pagano 4 euro l’ora - denunciano alcuni lavoratori fuori dai cancelli - io ho moglie e un bambino che non conosco perché esco la mattina alle 6 e torno la sera quando lui dorme. Ogni mese mancano sempre 100 euro dalla busta paga, ci dicono che non hanno soldi, ma noi così non riusciamo più a mangiare”.
I 40 dipendenti della TopLine e di decine di altre aziende lavorano a “conto terzi” per noti marchi dell'alta moda tra cui Gucci e Terranova che vendono i loro capi a caro prezzo e realizzano profitti da capogiro succhiando letteralmente il sangue dei lavoratori.
“TopLine – denuncia infatti il Si.Cobas - è solo un esempio delle tante 'società usa e getta' che operano in subappalto con la G.D.Srl di cui Giorgio Diddi, imprenditore pratese già noto alle cronache giudiziarie, alla GDF e alla Procura, è l’amministratore unico; società con un pugno di dipendenti che riceve le commesse dai marchi e si serve di fornitori di manodopera: prima la FashionForFashion, poi la Cooperativa Safra oggi la TopLine. Cambiano i nomi e le partite IVA, restano identiche le persone al comando e le condizioni di sfruttamento. In ogni passaggio, però, a perdere i diritti e il lavoro sono sono sempre i lavoratori”.
Uno schema di sfruttamento e di illegalità ben collaudato e in vigore da tempo che la CGIL di Prato-Firenze-Pistoia fa finta di non vedere e di minimizzare ma che è riemerso in tutta la sua drammaticità anche il 10 giugno nel corso dell'operazione “Panamera” della GdF di Firenze che ha portato all’arresto di quattro imprenditori titolari della “Samipell” una pelletteria di Campi Bisenzio con l'accusa di sfruttamento della manodopera attraverso società “usa e getta” in subappalto, bancarotta fraudolenta e frode fiscale.
Gli gli operai, quasi tutti pachistani, bengalesi e cinesi erano costretti a lavorare sette giorni su sette per tre euro l’ora, controllati a vista con le telecamere, confezionavano borse per aziende dell’alta moda. Nell'ambito della stessa operazione sono finiti in manette anche due italiani e una cinese, con altri cinque loro collaboratori accusati di associazione a delinquere, traffico e smaltimento illecito degli scarti tessili dei pronto moda di Prato.
Di fronte a tutto ciò appaiono a dir poco provocatorie le dichiarazioni del neopodestà piddino Matteo Biffoni, del vicepresidente di Confindustria Toscana Nord Francesco Marini, del presidente di Confartigianato, Luca Giusti, del segretario provinciale del PD di Prato Gabriele Bosi e del segretario della Camera del Lavoro di Prato, Lorenzo Pancini, secondo cui “si tratta di casi marginali” strumentalizzati ad arte “per fare propaganda politica negativa contro il distretto pratese, sano e di eccellenza”. Un'eccellenza, sì, ma di supersfruttamento e schiavizzazione della forza-lavoro.
23 giugno 2021