Sul discorso del nuovo imperatore della Cina per celebrare il centenario del PCC
Xi lancia la strategia del "ringiovanimento nazionale", ossia del socialimperialismo cinese
Il segretario generale del partito revisionista e fascista cinese mescola Mao col suo antagonista Deng e chiede ai membri del partito di sostenere la sua '"posizione centrale" nel Comitato centrale e nell'intero partito
La celebrazione il 1° luglio del centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese, è stata sfruttata dal nuovo imperatore Xi Jimping per esaltare la Cina di oggi - che non ha più nulla a che vedere con la Cina socialista finché era vivo Mao ma con quella capitalista dopo la svolta a destra del suo antagonista revisionista Deng Xiaoping - e per lanciare la parola d'ordine nazionalista e patriottarda del “ringiovanimento della nazione cinese”, ossia della proiezione del socialimperialismo cinese nel mondo
Parlando nella storica piazza Tian an men di Pechino davanti a 70 mila persone, il segretario generale del PCC nonché presidente della Commissione militare centrale, ha posto fin da subito il tema del “ringiovanimento nazionale”, tornandoci sopra più e più volte e facendolo diventare nelle sue parole un'aspirazione storica della “grande nazione” cinese, addirittura fin dalla guerra colonialista dell'oppio del 1840: “Da quel momento, il ringiovanimento nazionale è stato il sogno più grande del popolo cinese e della nazione cinese”, ha detto infatti Xi.
E anche la stessa fondazione del PCC nel 1921 ad opera di Mao e di altri 11 comunisti cinesi, pur da lui definita un “evento epocale”, non avrebbe avuto come “aspirazione e missione” la liberazione della Cina dal colonialismo, dal feudalesimo e dal capitalismo e la realizzazione della dittatura del proletariato e del socialismo, bensì un'idealistica e borghese “ricerca della felicità per il popolo cinese” e il patriottardo e imperialista “ringiovanimento per la nazione cinese”: “Tutta la lotta, il sacrificio e la creazione attraverso cui il Partito ha unito e guidato il popolo cinese negli ultimi cento anni sono state legate insieme da un unico tema fondamentale che porta al “grande ringiovanimento della nazione cinese”, ha ribadito infatti l'imbroglione e arcirevisionista Xi.
Disgustosa strumentalizzazione della figura di Mao
A conferma di questa riscrittura in chiave prettamente revisionista, nazionalista e imperialista della storia del PCC, Xi ha cancellato tutta la parte riguardante l'edificazione del socialismo in Cina, la lotta contro il revisionismo moderno, l'imperialismo americano e il socialimperialismo sovietico, e la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria; tutte lotte promosse e dirette personalmente da Mao e che non ha neanche nominate. E questo per saltare dalla Rivoluzione di nuova democrazia (quella fase di transizione al socialismo, subito dopo la liberazione del Paese e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, la quale già di per sé avrebbe “creato le condizioni sociali fondamentali per realizzare il ringiovanimento nazionale”), direttamente alla fase delle “riforme e apertura” promossa dal rinnegato Deng a due anni dalla morte di Mao.
Quella svolta, cioè, dall'economia socialista alla cosiddetta “economia socialista di mercato”, o anche “socialismo con caratteristiche cinesi”, che è in realtà capitalismo della specie più disumana e selvaggia, ma che a suo dire ha “permesso alla Cina di trasformarsi da un'economia pianificata altamente centralizzata a un'economia socialista di mercato traboccante di vitalità e da un paese in gran parte isolato a uno aperto al mondo esterno su tutta la linea. Ha inoltre consentito alla Cina di compiere il salto storico da un paese con forze produttive relativamente arretrate alla seconda economia più grande del mondo e di compiere la trasformazione storica dell'innalzamento del tenore di vita della sua gente dalla semplice sussistenza a un livello generale di moderata prosperità”. Ha permesso in altre parole di passare dal socialismo al socialimperialismo.
Come si vede il nuovo imperatore cinese usa ancora una fraseologia pseudo marxista e pseudo socialista, ma solo per continuare a ingannare il proletariato e le masse popolari cinesi e far passare in realtà concetti tipicamente borghesi e fascisti come l'economia di mercato (che è privata e capitalista per definizione) e il “ringiovanimento nazionale”, ossia il nazionalismo patriottardo di stampo tipicamente imperialista; in questo caso socialimperialista.
Non per nulla Xi indossava con finta modestia una giacca grigia a collo alto simile a quella che Mao usava portare, per far credere di essere il suo attuale erede e che non c'è nessuna cesura tra la Cina capitalista e socialimperialista di oggi e quella socialista di Mao. Infatti, le due o tre volte che ha citato Mao, lo ha fatto sempre accostandolo ai revisionisti Deng e Liu Shaoqui, e ai suoi predecessori altrettanto revisionisti Jiang Zemin e Hu Jintao, che ha messo sullo stesso piano di Mao quali “principali rappresentanti del popolo e della nazione cinese che hanno dato un contributo enorme e storico al ringiovanimento della nazione cinese”: come se ci potesse essere una continuità e un'equivalenza tra il Grande Maestro del proletariato internazionale e quella banda di omuncoli traditori e controrivoluzionari che hanno cambiato colore alla Cina socialista.
“Sostenere il Segretario generale e costruire le forze armate della nuova era”
Fatta questa sporca operazione di contraffazione della storia per dare le basi legali, ideologiche e morali al socialimperialismo, Xi Jimping ha tracciato il programma o i “doveri” per il futuro di quello che è ormai diventato a tutti gli effetti un partito revisionista e fascista, che la cricca socialimperialista di Pechino utilizza come strumento centralizzato di potere e di controllo capillare delle masse e dell'economia capitalistica di Stato. E al primo posto ha messo non a caso il dovere di “sostenere la ferma direzione del Partito”, ovvero sostenere la direzione del Partito sulla società, il nucleo dirigente e il Segretario generale: “Nel cammino futuro - ha detto Xi - dobbiamo sostenere la leadership generale del Partito e continuare a rafforzarla. Dobbiamo (...) seguire il nucleo dirigente e mantenerci allineati con la leadership centrale del Partito. Dobbiamo (…) sostenere la posizione centrale del Segretario Generale nel Comitato Centrale del Partito e nel Partito nel suo insieme, e sostenere l'autorità del Comitato Centrale e la sua leadership centralizzata e unificata”. Il nuovo imperatore della Cina, per quanto si sia assicurato la carica di segretario generale a vita cambiando la Costituzione, non si sente del tutto tranquillo se chiama tutti i membri a sostenere il suo potere assoluto nel Comitato centrale e nel partito.
A seguire, Xi ha indicato il dovere di “continuare ad adattare il marxismo al contesto cinese” e il dovere di “sostenere e sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi”, ossia continuare ad usare termini e simboli marxisti, al posto comunque di marxismo-leninismo-pensiero di Mao, come finta facciata del capitalismo in versione cinese, mentre si intensifica la sua proiezione imperialista all'esterno, soprattutto a livello economico ma anche militare. Non per nulla subito appresso ha indicato il dovere di “accelerare la modernizzazione della difesa nazionale e delle forze armate”. “Un paese forte deve avere un esercito forte”, ha sentenziato infatti, sottolineando che “nel cammino futuro, dobbiamo attuare pienamente il pensiero del Partito sul rafforzamento delle forze armate nella nuova era, nonché la nostra strategia militare per la nuova era, mantenere la leadership assoluta del Partito sulle forze armate popolari e seguire un percorso cinese verso lo sviluppo militare”.
La postura aggressiva e militarista del nuovo imperatore
Una postura, questa assunta dal leader socialimperialista cinese, scopertamente aggressiva e militarista, in linea con le ambizioni imperialiste del regime di Pechino, che subito dopo ha cercato di mascherare dietro la parola d'ordine demagogica di “lavorare per promuovere la costruzione di una comunità umana con un futuro condiviso”, sostenendo che “pace, concordia e armonia sono idee che la nazione cinese ha perseguito e portato avanti per più di 5.000 anni”, che “la nazione cinese non porta nei suoi geni tratti aggressivi o egemonici”, che “la Cina ha sempre lavorato per salvaguardare la pace nel mondo, contribuire allo sviluppo globale e preservare l'ordine internazionale” ecc., citando a dimostrazione l'iniziativa della “nuova via della seta”.
Ma non è riuscito a reprimere del tutto i toni minacciosi, come quando ha sentenziato che “non permetteremo mai a nessuna forza straniera di prevaricare, opprimerci o soggiogarci. Chiunque tenti di farlo si troverà in rotta di collisione con una grande muraglia d'acciaio forgiata da oltre 1,4 miliardi di cinesi”. Secondo l'inviato del Corriere della Sera
, Santevecchi, si tratterebbe di una traduzione edulcorata per i lettori occidentali, mentre in realtà Xi avrebbe detto “chiunque tenti di farlo si romperebbe la testa e verserebbe il suo sangue contro una muraglia d’acciaio forgiata da 1,4 miliardi di cinesi”. Un'immagine che sarebbe suonata particolarmente minacciosa nella piazza della sanguinosa repressione dei moti di ribellione giovanile del 1989 durante il regime del rinnegato Deng.
Minacce ai nemici interni ed esterni
Sia come sia, nella sua ultima parola d'ordine programmatica, quella della “costruzione del Partito della nuova era”, con il corollario di “sostenere l'integrità e combattere la corruzione e sradicare tutti gli elementi che danneggerebbero l'avanzata organizzazione del Partito e la sua natura e purezza, e tutti i virus che potrebbero erodere la sua salute” (segno evidente che la corruzione, da un lato, e l'opposizione politica e sociale, dall'altro, sono tutt'altro che “sradicate”), il leader della cricca revisionista e fascista di Pechino ha mostrato ancora i denti quando ha parlato della decisione di mantenere la “stabilità” a Hong Kong e Macao e di “risolvere la questione di Taiwan”: “Nessuno dovrebbe sottovalutare la risolutezza, la volontà e la capacità del popolo cinese di difendere la propria sovranità nazionale e integrità territoriale”, ha sentenziato infatti Xi, con parole che in quel contesto suonano come una sorda minaccia.
Concludendo in tal modo il suo discorso di un'ora il nuovo imperatore della Cina ha gettato perciò la maschera, e svelato al mondo che la sua dottrina del “ringiovanimento nazionale” non è altro che una sigla di comodo dietro cui celare le mire nazionaliste, espansioniste ed egemoniche del socialimperialismo cinese. Uno slogan demagogico e fascista per spremere fino all'osso le lavoratrici e i lavoratori e le masse popolari cinesi nella competizione economica e militare con la superpotenza americana per l'egemonia mondiale.
7 luglio 2021