GKN non deve chiudere
È in gioco il successo della battaglia generale contro i licenziamenti
Che l'intesa tra i sindacati confederali e il governo non poneva alcun freno allo sblocco dei licenziamenti era chiaro a tutti. Non si è trattato nemmeno di un vero accordo ma solo di “raccomandazioni” perché Confindustria e Governo non avevano preso nessun impegno preciso. Una “presa d'atto”, un “avviso comune” fatto proprio da Cgil-Cisl-Uil che di fatto è stato un via libera alle imprese per ristrutturare, delocalizzare, chiudere, in una parola licenziare o, nella migliore delle ipotesi, riorganizzare la produzione sostituendo lavoratori anziani, con salari dignitosi, con giovani neoassunti ai livelli salariali di ingresso e quindi più bassi e con meno tutele giuridiche.
Già il primo luglio, il giorno successivo alla fine del blocco dei licenziamenti, sono state inviate in varie parti d'Italia le lettere dei padroni che annunciavano la messa sul lastrico di migliaia di lavoratrici e lavoratori, che si andavano ad aggiungere ai 900mila che avevano già perso il posto perché questa misura escludeva totalmente i contratti a tempo determinato e salvaguardava solo parzialmente tutti gli altri. Dopo una settimana la mannaia dei tagli e delle chiusure si è abbattuta su tutti i 422 operai della GKN di Campi Bisenzio.
Centinaia di licenziamenti sull'altare del profitto
La fabbrica produce componenti meccanici per auto e in particolare semiassi, in gran parte per FCA (adesso nel gruppo Stellantis), fa parte di uno storico marchio britannico ora di proprietà di un fondo d'investimento. Il rapporto con la Fiat è di lunga durata perché la GKN nel 1996 si stabilì nell'attuale stabilimento che era stato realizzato dalla casa torinese, che in cambio dello spostamento da Firenze a Campi Bisenzio voleva imbastire una mega speculazione edilizia nella vecchia sede, posta nel quartiere Novoli del capoluogo toscano.
La GKN, per stessa ammissione dei proprietari, è tutt'ora un'azienda sana e, nonostante in passato abbia fatto ricorso sporadicamente alla cassa integrazione, recentemente ha fatto richiesta perfino degli straordinari, mentre il mercato si stava stabilizzando con la possibilità di programmare per il medio-lungo periodo. Ha un impianto produttivo ancora molto efficiente, tra l'altro aggiornato con nuovi sistemi automatizzati istallati e finanziati con soldi pubblici grazie al decreto Renzi-Calenda “industria 4.0”.
Tutte le motivazioni accampate dalla proprietà, come quella della scarsa competitività, non sono altro che dei pretesti, perché in questo caso non c'era nemmeno la scusa di una crisi profonda che si protraeva da tempo. Le lettere di licenziamento, spedite attraverso delle e-mail e senza aver prima aver consultato la RSU e i sindacati, sono state come un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto su quasi 700 lavoratori tra i 422 in azienda, un centinaio dell'indotto diretto (mensa, vigilanza ecc) più quelli delle altre ditte collegate.
In questo caso appare evidente come alla base ci sia l'intenzione di chiudere per aumentare le cedole agli investitori del fondo, o delocalizzare in altri stabilimenti dove ci sono meno diritti per i lavoratori e maggiori opportunità per le multinazionali. Questa vertenza appare per certi versi simile a quella della FedEx. Pur trattandosi di settori e situazioni differenti, c'è la stessa volontà di chiudere luoghi di lavoro altamente sindacalizzati, dove i lavoratori sono riusciti con la lotta a strappare condizioni più favorevoli rispetto alla media per trasferirsi altrove, dove i diritti e i costi sono minori. Tanto per fare un esempio alla GKN, quando Renzi ha introdotto il Jobs Act, gli operai hanno ottenuto che in azienda fosse reintegrato l'articolo 18 come stabiliva lo statuto dei lavoratori.
Non è un caso se la risposta è stata immediata. La fabbrica è stata subito presidiata per impedire alla proprietà di portare via merci e macchinari, con manifestazioni e cortei giornalieri attorno allo stabilimento. Durante il tavolo del Mise (Ministero dello sviluppo economico) convocato il 15 luglio alla Prefettura di Firenze, i lavoratori erano presenti in gran numero e in maniera combattiva, al ritmo incessante di tamburi fischietti e cori che sono arrivati fin dentro la sede istituzionale. Gli slogan “Sciopero, sciopero generale” e “la GKN non si tocca, la difenderemo con la lotta”, sono stati scanditi per tutto il tempo dell'incontro che non ha portato a niente di concreto perché l'azienda, nemmeno presente fisicamente con un suo rappresentante ma solo in videoconferenza, ha confermato l'intenzione di chiudere.
Esemplare solidarietà di classe e di popolo
La lotta per la difesa dello stabilimento ha coinvolto un po' tutti. A partire dagli altri lavoratori che attraverso comunicati e prese di posizione, o presentandosi direttamente al presidio permanente davanti la fabbrica, hanno espresso la loro solidarietà, dalle più grandi aziende Toscane come la Piaggio e la Sammontana (in entrambe si è pure scioperato) a quelle più piccole, agli operai di alcune fabbriche bresciane scesi in Toscana con una delegazione. Oltre a tante RSU, associazioni e all'Anpi, anche i partiti hanno espresso la loro solidarietà. Tra questi il PMLI, attraverso un comunicato del Comitato provinciale di Firenze, una lettera consegnata ai lavoratori, un manifesto con la parola d’ordine principale “Draghi deve impedire la chiusura della GKN” e con la presenza fisica al presidio.
Il 19 luglio c'è stato il riuscitissimo sciopero generale indetto da Cgil-Cisl-Uil dell'area fiorentina e pratese, a cui ha partecipato una rossa e combattiva delegazione del PMLI. Il sostegno alla vertenza GKN è stato massiccio, e al presidio in piazza Santa Croce a Firenze si è toccato con mano la solidarietà, la rabbia e la volontà di lottare delle lavoratrici e dei lavoratori (vedi servizio). Il 24 luglio davanti agli stabilimenti ci sarà invece una manifestazione di carattere nazionale.
Dalle masse popolari e da tutta la comunità è scattato un imponente supporto alla lotta. I circoli Arci della zona hanno portato acqua, cibo e offerto la cena a chi presidia la fabbrica, i lavoratori di Qualità&Servizi hanno preparato e servito il pranzo, Unicoop Firenze ha mandato un camion di viveri, sostegno dalle associazioni cattoliche con la Misericordia che ha stanziato 10mila euro per lo studio dei figli degli operai, singoli contadini della zona hanno portato spontaneamente la frutta e alcune donne il pane.
Anche le figure istituzionali, magari aderenti a partiti e organizzazioni che sono corresponsabili dello sblocco dei licenziamenti, della deregolamentazione del lavoro e della mano libera alle multinazionali, si sono sentiti in dovere di partecipare a questo grande sostegno popolare agli operai GKN. Il sindaco della cittadina di Campi si è messo in prima fila offrendo personalmente viveri, e nel suo ruolo istituzionale promulgando un'ordinanza che vieta il transito ai tir per evitare di portar via i macchinari. La vice del Mise, la 5Stelle Alessandra Todde, ha visitato lo stabilimento assieme agli operai, e uscendo tra le lacrime ha promesso il massimo impegno per non far chiudere la fabbrica.
Vertenza nazionale
La vertenza GKN, come hanno capito bene le operaie, gli operai, le masse lavoratrici, i sindacati di base e anche i sindacati confederali, ha assunto una valenza nazionale, che avrà ripercussioni sulle altre lotte che si stanno sviluppando in tutta Italia. Tesi questa, contestata dal presidente di Confindustria. II falco Carlo Bonomi ha parlato invece di strumentalizzazione perché “le aziende che stanno procedendo a chiusure potevano licenziare anche prima, perché la cessazione di attività era una delle clausole esimenti anche in presenza del blocco dei licenziamenti”.
A livello normativo questo è vero (non sono mancate le serrate durante il blocco), ma allora perché la GKN, la Whirlpool di Napoli, la Giannetti Ruote di Monza, l'Embraco di Torino, l'ABB di Marostica (VI), e la miriade di piccole aziende che tagliano o chiudono senza che se ne abbia notizia hanno scelto proprio questo momento? Perché lo sblocco dei licenziamenti in maniera formale e ufficiale, con la complicità dei sindacati confederali, è stato un chiaro segnale, il via libera ai licenziamenti e alle ristrutturazioni capitalistiche che i padroni metteranno in campo per salvaguardare e aumentare i profitti, attraverso le direttive del governo del banchiere massone Draghi e dell'Unione Europea imperialista.
Per la tempistica dei licenziamenti: a pochi giorni dalla fine del blocco, per il numero di lavoratori coinvolti: almeno 500, per le caratteristiche dell'azienda: moderna ed efficiente, senza particolari problemi finanziari, e per ultimo, ma non d'importanza, la composizione e le peculiarità della manodopera occupata: a contratto indeterminato e fortemente sindacalizzata, tanto che le lavoratrici e i lavoratori della GKN sono protagonisti d'avanguardia delle lotte sindacali dell'area fiorentina. Per tutti questi motivi rappresenta un banco di prova nazionale. Bisogna fare proprio lo slogan del “Collettivo di fabbrica”, anima delle mobilitazioni della GKN: “Insorgiamo insieme”, ripreso dal motto della Resistenza fiorentina.
Come hanno affermato in un loro video: “se sfondano qua, sfondano dappertutto”, per cui “non ci sono in gioco soltanto i nostri 500 posti di lavoro, ma potenzialmente i posti di lavoro di tutto il Paese”. Per questo Draghi deve impedire la chiusura della GKN; certo non lo farà spontaneamente, ma va costretto con la lotta di classe supportata dal sostegno popolare sempre più ampio. Gli operai non chiedono ammortizzatori sociali per rallentare l'agonia, ma di costringere il fondo Melrose a far ripartire la fabbrica, chiamando in causa anche il principale committente, FCA/Stellantis. Se non lo fa lo stabilimento deve passare sotto proprietà pubblica senza alcun indennizzo.
La vertenza GKN rappresenta uno snodo cruciale nella battaglia contro la macelleria sociale scatenata dai padroni, la straordinaria mobilitazione di questi giorni ci dice che le premesse per respingere i licenziamenti ci sono. Però è sempre più impellente e necessario alzare il tiro per mirare ad unificare le varie lotte e dare una risposta forte e compatta ai padroni che vogliono far pagare la crisi del capitalismo, aggravata dal Covid-19, ai lavoratori e alla masse popolari.
La presunta intesa avallata da Cgil-Cisl-Uil per uno sblocco “dolce” dei licenziamenti si è dimostrata una bufala ed è stata superata dagli avvenimenti. Occorre convocare fin da subito uno sciopero generale nazionale con manifestazione a Roma indetto da tutti i sindacati, confederali e di base, che abbia come obiettivo principale il ritiro di tutti i licenziamenti in corso e il blocco permanente di quelli futuri. I sindacati di base si sono già mossi proclamando unitariamente lo sciopero generale per il 18 ottobre “contro i licenziamenti e il governo Draghi”.
21 luglio 2021